In Italia gli anziani – cioè le persone oltre i 65 anni di età – sono più di 14 milioni. «Una popolazione che è cresciuta senza ce ne accorgessimo», ha dichiarato di recente mons. Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia Accademia per la Vita e coordinatore della Commissione governativa, che ha presentato e fatto approvare dal Parlamento la legge 33/2023 che riforma l’assistenza agli anziani. Una legge innovativa, che si trova davanti alla strettoia dei finanziamenti per entrare a pieno regime.
Degli oltre 14 milioni di anziani, 7 milioni hanno più di 75 anni; 500 mila vivono in abitazioni senza ascensore dal secondo piano in su; 4 milioni non sono autosufficienti.
Oltre alla legge, sono necessari strumenti di diverso tipo per intervenire in maniera efficace rispetto ai bisogni delle persone, soprattutto per prevenire il decadimento cognitivo.
Su questo importante tema, il prof. Salvatore Grammatico, docente nella Facoltà di Scienze dell’Educazione del Pontificio Ateneo Salesiano di Roma, ha appena pubblicato un manuale per utilizzare e interpretare il Mini Mental State Examination (MMSE).
Pensato per studenti di psicologia, operatori sanitari, psicologi clinici e caregiver, il manuale è una guida nell’uso di uno degli strumenti più diffusi nella diagnosi precoce di deterioramento cognitivo e di demenza. Al prof. Grammatico abbiamo rivolto alcune domande.
– Gentile professore, che cosa è il test MMSE? Cosa vuole misurare?
Il Mini-Mental State Examination (MMSE) è uno degli strumenti più usati al mondo per valutare le funzioni cognitive. È un test breve e standardizzato, che indaga attenzione, orientamento, memoria, linguaggio e capacità visuo-spaziali. Serve principalmente per identificare un possibile deterioramento cognitivo, come nelle demenze, o monitorare il decorso nel tempo.
Non fornisce una diagnosi definitiva, ma rappresenta una bussola clinica iniziale preziosa, soprattutto nei contesti dove serve una valutazione rapida ma strutturata.
– Il libro è presentato come un manuale per studenti di psicologia. Può essere usato anche dagli operatori socio-sanitari che operano nei contesti delle residenze o strutture per persone anziane?
Assolutamente sì. Pur essendo pensato come supporto didattico, il manuale è stato scritto in modo da essere utile anche a educatori, infermieri e operatori sociosanitari che lavorano con anziani. Ho cercato di integrare teoria e pratica, includendo esempi clinici, suggerimenti operativi e indicazioni per una comunicazione rispettosa e centrata sulla persona.
Nelle strutture per anziani il MMSE può aiutare a cogliere i primi segnali di deterioramento o a monitorare la risposta a un percorso di cura.
– Parliamo dell’utilità del test, in rapporto all’invecchiamento della popolazione. Quale è la sua opinione?
Con l’invecchiamento progressivo della popolazione, è fondamentale avere strumenti semplici e affidabili per intercettare precocemente le difficoltà cognitive. Il MMSE permette una valutazione iniziale che può orientare verso ulteriori approfondimenti e favorire una presa in carico precoce.
Non è un test esaustivo, ma resta un punto di partenza utile, soprattutto se integrato con un approccio multidisciplinare. Più che “diagnosticare”, aiuta ad ascoltare e a leggere i segnali che l’anziano ci invia.
– Nell’ambito ecclesiale e politico, in questi anni soprattutto mons. Vincenzo Paglia si è speso per una valorizzazione del ruolo degli anziani, soprattutto attraverso la stesura della legge 33/2023 che riforma radicalmente l’assistenza. Oltre alle normative, servono anche strumenti operativi. In questo senso che utilità può avere il test e quali risorse possono affiancarlo?
La legge 33/2023 offre un’opportunità storica per rivedere in profondità il modello di cura. Ma le leggi hanno bisogno di strumenti per diventare prassi. Il MMSE, se usato in modo corretto, può facilitare il raccordo tra servizi sociali e sanitari, tra famiglie e operatori, diventando un elemento di dialogo e di orientamento. A fianco servono formazione, strumenti relazionali, approcci personalizzati e risorse territoriali. La diagnosi non basta: serve una comunità che si prende cura in modo integrato e rispettoso.
– Lei si rivolge agli studenti, in quanto docente universitario. Che ne pensano degli anziani?
Molti studenti arrivano al corso con l’idea che l’anziano sia “lontano” da loro, ma durante le lezioni e i tirocini iniziano a coglierne la profondità. Quando comprendono che la vecchiaia non è solo decadimento ma anche storia, dignità e memoria collettiva, qualcosa cambia. Insegnare a guardare l’anziano come una persona, non come una patologia, è parte del nostro compito educativo. E spesso sono proprio i più giovani a sorprendere per sensibilità e apertura verso il mondo della fragilità.
– In conclusione, che messaggio vorrebbe trasmettere a chi si occupa di persone anziane, a partire da questo manuale?
Il messaggio centrale è che gli strumenti come l’MMSE sono utili solo se inseriti in una relazione di cura che mette al centro la persona. Un test può indicare un deterioramento, ma non può misurare la dignità, la storia o la capacità di entrare in relazione. Anche quando le funzioni cognitive calano, restano bisogni profondi di affetto, riconoscimento e umanità. Per questo il manuale integra aspetti scientifici e psicoeducativi: per offrire non solo competenze tecniche, ma anche uno sguardo empatico e rispettoso verso l’altro.
Da medico, condivido pienamente lo spirito dell’intervista: il MMSE è uno strumento cruciale, ma è il come lo si usa a fare la differenza. Proprio per questo ho trovato il manuale una risorsa eccellente, chiara e concreta anche per un non specialista.
Lo consiglio agli studenti perché va dritto al punto: insegna a padroneggiare il test senza mai perdere di vista la persona. È una guida che non forma semplici esecutori, ma professionisti capaci di unire competenza e umanità.