La religione del mio tempo

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Fabrizio Sinisi (Barletta, 1987) è drammaturgo, poeta e scrittore. Collabora con i maggiori teatri europei. Ha ottenuto la menzione dell’American Playwrights Project (2017), il Premio Testori per la Letteratura (2018) e il Premio Nazionale dei Critici di Teatro (2021). Collabora con il quotidiano Domani. Il prodigio è il suo primo romanzo (Mondadori, 2025). Ha scritto per Appunti di Stefano Feltri questo pezzo che condensa le riflessioni alla base del suo romanzo.

Quando dico ad amici e conoscenti che il protagonista del mio primo romanzo, Il prodigio, è un prete cattolico, vengo accolto da uno strano stupore. Qualcuno s’incuriosisce, qualcuno tira una battutaccia; qualcuno dice: idea originalissima, personaggio spiazzante.

Per molte persone che hanno meno di quarant’anni nel 2025, un prete non è simbolo di niente: piuttosto una figura stravagante e bizzarra, culturalmente esotica, certo più enigmatica, più misteriosa, più sessualmente drammatica di un cartomante o un guerriero maori, ma quasi altrettanto priva di visibili ricadute nel mondo reale. Un prete, oggi, in molti non sanno neanche più bene cosa sia, cosa faccia, come ragioni o cosa amministri.

Un amico cattolico mi ha detto: «Bello un prete come protagonista, in libreria te lo metteranno nella sezione fantascienza».

copertina

È da questo sconcerto, da questo vago senso di esotismo che vorrei partire per questa sommaria escursione nel sentimento religioso della mia epoca: di cui questo romanzo aspira ad essere una parabola.

I lettori più anziani ricorderanno che, fino a quarant’anni fa, la presenza di un sacerdote cattolico – in un romanzo d’invenzione così come in un qualsiasi ambiente pubblico – funzionava come un dispositivo automatico di setaccio ideologico: da un lato i pro, dall’altro i contro, con poca gradazione nel mezzo.

La diarchia Peppone-Don Camillo, per quanto grossolana e un po’ triviale, è stata a lungo un dignitoso strumento di lettura per interpretare l’Italia. A una compatta massa di cattolici – più o meno convinti, più o meno ferventi – se ne opponeva un’altra, forse più esigua, forse anche più appassionata, di empiristi fanaticamente fiduciosi nell’esclusività dell’universo materiale, che di salvezze ultramondane non voleva neanche sentir parlare.

Da un lato, la resurrezione di Gesù, dall’altro, l’insuperabilità dell’atomo: tanto basta a definire il panorama antropologico di un Paese (forse di un’Europa) dove, salvo poche eccezioni, chi non era cristiano era tendenzialmente ateo.

La Chiesa cattolica è stato a lungo un sistema funzionante e omnipervasivo, capace di occupare tutte le gradazioni della scala sociale, trasversalmente alle classi: cattoliche erano le masse popolari, che quasi indiscriminatamente facevano battezzare i propri figli e li mandavano al catechismo a conseguire la trafila dei sacramenti; cattoliche erano le scuole pubbliche, dove il crocifisso troneggiava in tutte le aule ed era frequente, in imminenza delle feste religiose, che le scolaresche celebrassero la messa in istituto e arrivassero plotoni di parroci nelle aule per le confessioni; cattolica era la morale pubblica, dove il divorzio era una pratica rara e stigmatizzata, e cattolici erano la maggior parte dei costumi sessuali, ancora solidamente rotanti intorno a valori di continenza e fedeltà; cattolico era il personaggio più famoso del pianeta, il Papa; e cattolici erano la maggior parte dei mezzi d’informazione, con una RAI che ogni domenica mattina si sintonizzava con l’Angelus del Pontefice e con i TG che, senza esclusioni, ne trasmettevano tutti i comunicati; cattolici erano i vertici istituzionali della politica italiana, e cattoliche spesso le loro direttive, spesso e giustamente accusate di ingerenze; cattolici erano i più importanti momenti collettivi – battesimi, comunioni, matrimoni, funerali; cattolica (o anticattolica, che è la stessa cosa) era gran parte del dibattito intellettuale, quasi sempre incentrato in un acceso frontismo clericale-laicista; e cattolica era la censura, quando una trasmissione, un libro o una mostra passavano il segno consentito; cattolici erano gli uomini politici più importanti (quelli, insomma, che ambivano a governare il Paese), e cattolico era del resto l’unico voto ampio, solido, nazionalpopolare, che un partito poteva aspirare a portare dalla sua; cattolica era, per così dire, la struttura culturale, sociale e politica di un Paese che, ancora al passaggio del millennio, era considerato intriso di clericalismo fino all’osso, al punto da chiedersi se ne saremmo mai usciti – se saremmo mai diventati un «Paese moderno».

Si può dire che, salvo rare eccezioni, per anni l’esperienza del cristianesimo in Italia e, per molti aspetti, anche in Europa, si è sovrapposta a quella della religiosità tout court, al punto da coincidere quasi completamente con essa. Fino a ieri, è stato quasi impossibile in Europa pensare le categorie del misterico, dello spirituale, del religioso al di fuori dell’impostazione cristiana.

La fine dell’egemonia

Oggi quell’egemonia è un lontano ricordo. Quella presenza culturale, sociale e politica così pervasiva da non lasciare, di fatto, alcuno spazio esterno, non esiste più. I dati ISTAT indicano che ormai solo il 30-35% degli italiani si dichiara cattolico, e, di questi, meno della metà frequenta abitualmente la messa domenicale. Va da sé che i numeri, su un tema come questo, sono parziali e non dicono tutto; tanto più che, dopo l’epidemia di Covid, diocesi e parrocchie sono molto più reticenti nel comunicare statistiche relative alle amministrazioni dei sacramenti.

chiesa

Più visibile (e significativo) è il vertiginoso calo delle ordinazioni sacerdotali, che in Europa sono ai minimi storici. Le autorità ecclesiali non ne parlano volentieri. In uno sfogo quasi rassegnato, il vescovo di Bolzano Ivo Musser, ha dichiarato: «Il calo delle vocazioni sacerdotali e religiose è drammatico, quello dei credenti è ancora più grande e drammatico». Per poi aggiungere: «Ma non perdo la speranza, altrimenti non sarei cristiano».

Certo il dato è eloquente: quasi dalla sera alla mattina, senza traumi né catastrofi apparenti, come un cedimento che arriva al termine di una frattura consumatasi invisibile per molti anni, la religione sembra essere in larga parte scivolata al di fuori dello spazio pubblico e dall’abitudine comunitaria, diventando sempre di più una questione di coscienza del singolo, una rara e sporadica pratica individuale, che solo di rado e tangenzialmente coinvolge la collettività.

Non è certamente, questo, solo un declino mediatico. Chi vive nelle grandi città si sarà già accorto da solo che la Chiesa cattolica è scivolata fuori dalle abitudini della classe media; le chiese sono vuote, e anche in periferia la domenica si fanno altre cose e si seguono altre strade.

Il famigerato voto cattolico – nel Novecento, più una categoria dello spirito che una realtà effettiva – sembra essere completamente disperso.

A non essere più «cattolici» (qualunque cosa questo voglia dire) sono quelli che fino a una generazione fa lo sarebbero stati senz’altro: parliamo di quel famigerato ceto medio la cui crisi economica e politica fa evidentemente tutt’uno con una crisi religiosa e identitaria tout-court. A distanza di quattro anni, ci si rende conto che quella messa pasquale di papa Francesco celebrata durante il lockdown in una piazza san Pietro piovosa e deserta non era solo un episodio, ma un’immagine profetica, un rito luttuoso e finale: molti di quei fedeli trincerati nelle loro case non ne sarebbero mai più usciti. Perlomeno, non per andare a messa.

salvini

Matteo Salvini – che, come spesso accade, è uno strumento utilissimo da consultare per capire dove tira il vento – è stato il primo caso di politico sedicente cristiano a schierarsi contro la Chiesa: e chissà quanto consapevolmente, in quell’oscena estate di navi bloccate nei porti e buffoneschi happening sulla riviera, mentre baciando rosari si scontrava con le gerarchie vaticane e baccagliava su quale fosse il significato più giusto di «accoglienza», avrà capito di aver imboccato una svolta epocale: quella in cui, come in altre più tenebrose stagioni della storia, il valore evangelico dell’accoglienza viene subordinato a quello della «difesa dei confini».

Fino a quarant’anni fa sarebbe stato letteralmente impensabile che un leader politico di area conservatrice pensasse di raggranellare voti andando in contrasto col presidente della CEI. Se poi quello stesso leader politico fa tutto questo appellandosi a ogni piè sospinto al nome della Santa Vergine Maria, si capirà che il tempo è entrato in uno strano cortocircuito: il pensiero magico, lo scongiuro, il gesto apotropaico diventano gesti più politicamente redditizi di quanto possa esserlo il rispetto della persona umana e della pastorale evangelica.

Le cose cambiano, e non nel modo in cui ci aspettiamo.

Si entra in un tempo di scudi, di simboli, di identità guerriere e stregonesche.

La fede cattolica non lascia il posto al laicismo razionalista, come si temeva in passato, ma ad altre più irrazionalistiche forme di pensiero magico.

Ci accorgiamo che il cattolicesimo sta perdendo la sua partita non quando nessuno legge più il Vangelo, ma quando la pubblica evocazione dei santi diventa qualcosa di simile al fare le corna o al toccar ferro.

Che cos’è, dunque oggi, nell’epoca dei fedeli pochi e degli agnostici molti, nel pieno del tanto celebrato tramonto delle ideologie universalistiche, un sacerdote cattolico? Non più dunque un punto di riferimento della vita e della religiosità collettiva, né quello strategico avversario le cui budella sarebbero servite, secondo il noto adagio, a impiccare i padroni.

Un prete è forse, oggi, piuttosto quello che Michel Houellebecq descrive in Serotonina: uno strano essere che vive nella società consumistica pagandone tutti gli scotti ma senza poter godere di nessuno dei suoi vantaggi: una creatura malinconica e passata, che con la sua stessa persona proclama una certa incredibile idea di salvezza; una delle tante anime terrestri che, quando si svegliano ogni mattina, provano a decrittare come possono quel segno indecifrabile che è la misteriosa apparizione del mondo. Ma le risposte della Chiesa mancano, o perlomeno sembrano non bastare più a decifrare il mondo.

L’orizzonte del religioso è cambiato, e sta assumendo nuove e insospettabili forme. Come ha scritto Gramsci: «Il vecchio mondo sta morendo. Quello nuovo tarda a comparire. E in questo chiaroscuro nascono i mostri».

L’alleanza col capitalismo

Sembra che sia successo tutto molto rapidamente: ho trentasette anni, sono cresciuto al Sud, e questo mondo ho ben fatto in tempo a vederlo. Ora, da adulto, mi ritrovo in un altro. Ma davvero una scristianizzazione della società può avvenire così, nello spazio di una generazione?

O stiamo forse parlando di un morbo più sotterraneo, che agisce carsicamente già da molto tempo, e di cui solo ora vediamo il decorso, come una malattia dal percorso latente di cui ci appare solo ora, flagrante, l’ultimo stadio?

C’è un episodio, riportato da Pasolini nelle Lettere luterane, intorno a cui possiamo giocare a individuare un momento di svolta. Siamo nel maggio del 1973, e sui manifesti delle città italiane appare uno slogan che, parafrasando il primo dei dieci comandamenti, recita così: «Non avrai altro jeans all’infuori di me».

jeans jesus

L’Osservatore Romano se ne lamenta, invocandone tacitamente la censura. Sul Corriere della Sera Pier Paolo Pasolini pubblica l’articolo «Il folle slogan dei jeans Jesus». Nel pezzo, Pasolini ragiona pressappoco così: nell’ambito del vecchio capitalismo, la Chiesa era così influente da avere il potere di influire sulla cultura pubblica e, alla bisogna, intervenire e reprimere, contraddicendo certe volontà liberali del potere statale: costituiva insomma l’unico potere religioso a fianco del potere statale. Ma col boom economico, il capitalismo compie una metamorfosi, facendosi, da industriale che era, consumista ed edonista. Ed è qui che la Chiesa compie l’errore che le costerà la vita: si allea con lo «Stato borghese», che per Pasolini è sinonimo di potere consumista, di turboliberismo edonista, insomma di un capitalismo che prova a compiere un salto di specie:

«La Chiesa ha insomma fatto un patto col diavolo, cioè con lo Stato borghese. Non c’è contraddizione più scandalosa (…). L’accettazione del fascismo è stato per la Chiesa un atroce episodio: ma l’accettazione della civiltà borghese capitalistica è un fatto definitivo, il cui cinismo non è solo una macchia, l’ennesima macchia nella storia della Chiesa, ma un errore storico che la Chiesa pagherà probabilmente con il suo declino».

In altre parole: nel momento in cui il capitalismo inizia a diventare non solo la forma economica, ma anche la religione principale dell’Occidente, la Chiesa – invece di contrastarlo – si è alleata con esso, sperando di stipulare un nuovo concordato neocapitalista.

Ma l’impero non può avere due religioni: dunque l’ordine neocapitalista, dopo aver usato la Chiesa per definire il suo processo, se ne sbarazzerà come di un oggetto usato, diventando esso «la religione di Stato», e ricoprendo quell’egemonia culturale che una volta era stata una prerogativa cattolica. Il capitalismo diventa il nuovo culto.

Che poi anche oggi, in questi mesi, osserviamo questa trasformazione in uno slogan di jeans – con una Sydney Sweeney musa della nuova eugenetica capitalista – è solo una smorfia ironica dell’epoca, che ci ricorda che, a volte, i fenomeni di costume rivelano lo spirito profondo di un’epoca più di certi apparentemente grandi sommovimenti politici.

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Noialtri possiamo star qui a chiederci dove e quando la Chiesa ha sbagliato il suo aggancio con la Storia, e per quali ragioni. Possiamo dar ragione a Pasolini, e collocare il bivio nel boom degli anni Sessanta; oppure lanciarci in una scorribanda hegeliana all’indietro e pensare che la Chiesa la sua partita l’abbia persa molto tempo prima, agli albori della rivoluzione industriale, rifiutando di allearsi con i poveri e gli operai proprio nel momento in cui il tecnocapitalismo inizia a muovere i suoi primi passi: quando, nel momento cruciale della modernità, dismette la propria funzione evangelica di casa degli ultimi e degli oppressi e diventa, quasi senza rendersene conto, la religione dello status quo, il sindacato spirituale dei padroni. O ancora più indietro, nel processo contro Galileo.

Si può anche arrivare a dire, come scriveva Diego Fabbri, che il cristianesimo inteso come rivoluzione cristiana, palingenesi della storia, non è mai avvenuto: tradito dai suoi fedeli fin dall’inizio, è finora esistito sempre e solo come promessa, come virtualità, come sfida. In questo caso, le possibilità sarebbero ormai tutte perdute, e i treni tutti passati: finita la stagione dei suoi appuntamenti mancati, la Chiesa rimarrebbe oggi una sorta di trasognato vecchio arnese di un mondo che fu, un oggetto solenne e decrepito incapace sia di formulare le domande che di fornire le risposte, che aspetta solo il soffio di vento che la butterà giù.

Nel mio romanzo ho immaginato la Chiesa cattolica che, come un’azienda che dichiara bancarotta, smantella se stessa: le chiese che chiudono, vescovi e parroci che buttano il colletto alle ortiche ed escono dalle uscite di servizio con lo scatolone in mano, come i dipendenti della Lehman Brothers nel settembre 2008; il Papa in conferenza stampa che dice: abbiamo fatto i nostri errori, e ci mettiamo la faccia, ce ne andiamo a casa.

Non avverrà mai, non in questo modo: non è così che muoiono le grandi istituzioni. Ma è lecito immaginarlo: è a questo che servono i romanzi.

La resistenza della religione

Ciò nonostante, non è finita la religione. Anzi: il bisogno di religioso si afferma più forte che mai, tanto più deflagrante, frustrato e sregolato quanto più esso si muove al di fuori della struttura che per secoli ne ha incanalato (e potremmo dire: monopolizzato) le pulsioni, le modalità, i miti e i movimenti.

La progressiva irrilevanza della Chiesa, insomma, non sta rendendo il mondo più laico né tantomeno più razionalista, ma, al contrario, determina una sua folle sacralizzazione dei feticci e dei riti magici, in una sorta di moderno paganesimo neocapitalista: da un lato abbiamo oroscopi, tarocchi, santoni, profezie, cartomanti, pseudoscienze, discipline orientali, guru dell’autoaiuto, resilienze e manifestazioni e apocalissi più o meno imminenti e una lussureggiante varietà di richiami irrazionalistici. È una situazione da basso impero, dove al decadimento del vecchio pantheon segue una babele di culti minori.

Tuttavia, dall’altro lato, in questo sbracato crepuscolo degli idoli, anche una nuova ortodossia inizia a profilarsi: tacita, silenziosa, priva di insegne, ma forse proprio per questo più totalizzante e pervasiva. Il nuovo capitalismo ha compiuto quel salto di specie temuto da Pasolini negli anni Settanta. Il capitalismo è diventato oggi, finalmente, la religione di Stato, l’orizzonte filosofico e culturale che non lascia spazio ad altro che al proprio totalizzante sistema.

Quando Mark Fisher affermava che «è più facile immaginare la fine del mondo che la fine del capitalismo», intendeva proprio questo: un capitalismo che, da sistema economico qual era, prende le forme di un orizzonte di senso che pretende di essere esaustivo, e di rispondere a tutte le domande.

Il nostro ecosistema europeo sta avviando, in modo a mio avviso irreversibile, una religiosizzazione della sfera economica. Segni e fenomeni di questa trasformazione sono sotto gli occhi di tutti. Basterebbe analizzare il discorso di TV e giornali per accorgersi di come i mercati siano diventati nuovi dèi – persino più imprevedibili e capricciosi dei precedenti – la cui gestione è affidata a una élite finanziaria sempre più simile a una teocrazia, i cui movimenti, imperscrutabili ai più, rimangono tuttavia l’indiscussa bussola di riferimento di ogni azione politica.

I mercati, si dice, così vogliono i mercati, lo chiedono i mercati, come se si parlasse di demoni che esigono sacrifici rituali. Emergono nuovi dogmi – produttività, occupazione, innovazione tecnologica, diversificazione – e nuove virtù cardinali: ottimismo, entusiasmo, forza di volontà, resilienza, proactivity. Le vecchie guerre religiose si trasformano, coi dazi, in guerre commerciali.

Le università – soprattutto quelle americane – diventano sempre più simili a delle madrasse del capitalismo, dove ogni finalità di studio non finalizzata alla produttività e al guadagno deve essere bandita, instaurando quel monopolio dell’educazione che era, un tempo, la grande ambizione delle religioni.

Le grandi aziende incorporano asili, palestre, luoghi ricreativi, mentre stabiliscono autonomi codici etici: come le parrocchie di un tempo, puntano a diventare luoghi dove i cittadini possano abitare ventiquattr’ore al giorno, svolgendo in loco quasi tutte le funzioni della loro esistenza.

Basta aprire i social network per vedere come le merci vengano sempre più slegate dalle loro funzioni di bellezza o di utilità, riducendosi sempre più alla loro nuda funzione posizionale: si acquistano oggetti e servizi in relazione al loro valore simbolico; come oggetti sacri, li si acquista non perché ci migliorino la vita, ma perché elevino il nostro corpo e la nostra anima verso stati a cui altrimenti non potremmo accedere. E del resto cosa sono le nuove spericolate (e spesso insensate) invenzioni delle archistar se non monumenti a un marchio o a un ego, templi di una nuova religione?

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Esiste un deserto delle rivelazioni e dei prodigi, la Silicon Valley, ed esiste una Gerusalemme delle tecnologie, Los Angeles. Da anni insorgono nuovi profeti e nuovi messia: cosa sono infatti Mark Zuckerberg, Peter Thiel, Jeff Bezos, Elon Musk, se non i nuovi grandi santi della nuova èra, i modelli di riferimento di una nuova costellazione di valori?

Diversamente da capitalisti vecchio stile come Bill Gates o François Pinault, a contraddistinguerne la popolarità non è l’importanza del contributo dato alla collettività, ma la consistenza e la rapidità del fatturato, che diventa in automatico – come nel pensiero più radicalmente calvinista – il segno indiscutibile della benevolenza del cielo.

Contemporaneamente, le cose economiche stanno diventando sempre più folli, più imprevedibili, più irrazionali. L’economia inizia a risentire di tutti gli sregolamenti, le irrazionalità, le discrasie della pratica religiosa; le isterie, le espiazioni, i deliri che appartenevano al pensiero magico e trascendente, ora si spostano in quello economico.

I social network – a partire dal concetto stesso di community – sono essi stessi un feticcio religioso, il magico portale d’accesso a un aldilà che non è più ciò che sta oltre la materia o dopo la morte, ma ciò che sta al di là della classe e del ceto sociale: il fuori della propria condizione storica.

Il primo titolo di lavorazione di questo libro era Storia della salvezza, un antico concetto teologico che si può riassumere così: la storia umana non è un succedersi meccanico di eventi, una concatenazione di cause ed effetti, ma il misterioso dispiegamento di un processo divino: la manifestazione di una volontà salvifica che, attraverso gli eventi, si rende via via più chiara. La Storia sarebbe dunque questo processo di sviluppo, di travaglio, di progressiva illuminazione del senso, che culminerà nella salvezza del genere umano.

In fondo, ogni religione può definirsi così: è religioso ciò da cui l’uomo attende la propria salvezza.

Sarebbe interessante domandarcelo oggi, mentre termina un lungo, fallimentare processo storico in cui si è pensato che la ragione illuministica avrebbe alla lunga trionfato su tutto, e inizia una nuova indefinibile era oscura: esiste ancora qualcosa da cui l’uomo d’oggi si aspetta salvezza?

  • Dal Substack di Stefano Feltri, Appunti, 27 agosto 2025

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23 Commenti

  1. Paolo 31 agosto 2025
    • Robi 31 agosto 2025
    • Chiara 31 agosto 2025
      • Angela 1 settembre 2025
        • Chiara 1 settembre 2025
          • Angela 1 settembre 2025
  2. Vittorio 30 agosto 2025
  3. Pier Giuseppe Levoni 29 agosto 2025
  4. Chiara 29 agosto 2025
    • Chiara 29 agosto 2025
      • Pietro 29 agosto 2025
        • Chiara 30 agosto 2025
  5. Gustavino 28 agosto 2025
    • Angela 29 agosto 2025
      • Chiara 29 agosto 2025
        • Angela 29 agosto 2025
          • Gustavino 29 agosto 2025
  6. Angela 28 agosto 2025
  7. Giuseppe 28 agosto 2025
    • Adelmo Li Cauzi 28 agosto 2025
  8. Pietro 28 agosto 2025
    • Chiara 29 agosto 2025
      • Pietro 29 agosto 2025

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