
Insieme (Giuseppe Corvaglia)
Su L’Osservatore Romano (25 ottobre 2025) il grande scrittore americano William Vollmann, autore di romanzi monumentali e di reportage vissuti sulla propria pelle, legge l’esortazione apostolica di papa Leone XIV Dilexi Te con lo sguardo di chi ha scelto di dare voce nella sua opera ai dannati della terra – poveri, senzatetto, prostitute, alcuni diventati suoi amici. Riprendiamo di seguito il testo per gentile concessione del direttore, Andrea Monda.
«I discepoli di Gesù criticarono la donna che aveva versato sul suo capo un olio profumato molto prezioso (…). Quella donna aveva [però] compreso che Gesù era il Messia umile e sofferente su cui riversare il suo amore: che consolazione quell’unguento sul capo che da lì a qualche giorno sarebbe stato tormentato dalle spine! (…) Nessun gesto di affetto, neanche il più piccolo, sarà dimenticato, specialmente se rivolto a chi è nel dolore, nella solitudine, nel bisogno, com’era il Signore in quell’ora» (Dilexi te, n. 4; Mt 26, 8-9, 11).
Immaginare la crocifissione veramente, in modo verosimile, significa essere non solo ferito dal dolore, ma anche oppresso dalla repulsione. Lo scherno di coloro per i quali questa atrocità era un intrattenimento, le mosche che si posano sul volto di Cristo e strisciano nella ferita sul suo costato, il fetore del Golgota e i teschi sotto i piedi rendono l’idea. E dal momento che la povertà può essere una sorta di crocifissione, e poiché racconterò, da uomo ricco, nella maniera più accurata possibile ciò che ho visto di tutto questo, quanto seguirà conterrà orribili dettagli, per i quali chiedo comprensione. Quando qualcuno viene torturato con una corona di spine, come potrei servire il bene sorvolando sul fatto che sanguina?
Possiedo un edificio in un grande parcheggio, in un quartiere povero di Sacramento, in California. La mia città, con la sua meravigliosa compassione, ha reso illegale per noi dormire nei nostri cortili per più di una notte (1). Lo scopo evidente è di impedire ai senzatetto di stabilirsi da qualche parte. Anche se le loro difficoltà non possono essere paragonate a quelle, per esempio, degli ucraini che schivano droni assassini, essere buttati fuori dalla propria tenda sotto la pioggia può essere letale, specialmente quando il proprio sacco a pelo e tutto il resto viene confiscato. Nel 2022, l’anno più recente per il quale sono riuscito a trovare dati, nella zona di Sacramento sono morti 203 senzatetto. Più della metà è deceduta all’aperto (2). Nessuno sa dire quanti sono morti in modo specifico per assideramento.
Citando le parole di un amico esperto, «ci sono cinque gradi; quando una persona muore per strada e il medico legale le trova dell’alcol nel sangue, chi può decidere che cosa dovrebbe essere scritto sul certificato di morte?» (3). Quello che i certificati di morte dicono, è che nella prima metà del 2022 (4) il 48,7 per cento delle volte ad alimentare il cimitero sono state le overdose di stupefacenti. Molti miei vicini hanno espresso lieve soddisfazione per essersi liberati di quei bipedi implumi. Hanno fatto tutto da sé, vedete, o se la sono cercati, come una donna alla quale viene data la colpa di essere stata stuprata perché indossava una minigonna; scommetto che i soldati romani dispiegati sul Golgota abbiano espresso opinioni simili su un certo «Re dei Giudei», che avrebbe potuto benissimo starsene buono. Quanto al 51,3 per cento assassinato o morto per ipotermia o malattie cardiovascolari, attira più simpatie post-mortem (che fortuna!), ma non troppe, dato che è sconveniente includere i senzatetto nella nostra famiglia umana.
Li disprezziamo perché mendicano, puzzano o abbandonano rifiuti, escrementi, mobili, documenti legali sparsi. Chiedono l’elemosina perché hanno fame o perché la moglie malata potrebbe stare meglio nella stanza di un motel, o perché sono dipendenti dalla «medicina di strada», che rende meno spaventoso sdraiarsi dietro a un bidone dell’immondizia, magari per essere cacciati via o aggrediti nel sonno.
Hanno un cattivo odore perché a quelli come loro le docce non vengono mai garantite e perché, quando gli si offre la rara occasione di lavarsi, hanno paura di depositare i loro beni dove non possono vederli. Producono montagne di immondizia perché non dispongono del servizio di raccolta dei rifiuti che le persone più ricche comprano, perché vivono di cibo spazzatura, che arriva avvolto nella plastica e viene portato via in buste di plastica, e perché i gabinetti sono disponibili quanto le docce.
Il mio amico William (del quale non ho più notizie dal 2022, e che, dato che eravamo molto uniti e soffriva di cirrosi, presumo sia morto) una volta mi ha raccontato di quando all’inizio, appena diventato un senzatetto, gli era venuta la dissenteria. Alla fine, troppo tardi e senza un paio di pantaloni di riserva, ha trovato una struttura con bagni aperti e si è seduto in uno mentre i membri di una gang lo sbeffeggiavano. Naturalmente, una persona che puzza e che si trascina dietro ovunque un grosso zaino di beni di prima necessità puzzolenti riceve poche offerte di lavoro, ed è proprio per questa sua supposta pigrizia che le persone abbienti la guardano dall’alto in basso.
Quando giro svogliatamente nel mio parcheggio, coprendo i graffiti con la pittura o rimuovendo sacchi di escrementi infestati da parassiti, spesso qualcuno mi chiede: «Per favore, signore; posso fare qualcosa». Quando posso, do loro cinque dollari o anche venti per strappare le erbacce dal marciapiedi, di modo che la città non mi multi. In autunno raccogliamo insieme le foglie, uno con lo spazzolone, l’altro con il rastrello; non distolgo lo sguardo dal rastrello troppo a lungo, perché se me lo rubano devo fare una lunga camminata fino al ferramenta. In realtà la maggior parte di questi uomini fa un lavoro onesto e accurato. Sperano che li assuma di nuovo.
Certo, alcuni senzatetto sono pigri per scelta o a causa di una malattia mentale. Molti rinunciano a sostenersi finanziariamente per quella che gli psicologi chiamano «impotenza appresa». William un tempo era una persona brillante. Lo incontrai per la prima volta quando studiava arte. Per il mio compleanno mi regalò una biografia di sant’Agostino. Parlavamo della politica estera americana, delle Scritture gnostiche (ammirava Il Tuono, mente perfetta), dello scrittore saudita Abdelrahman Munif, e della fotografia analogica, che entrambi amavamo e praticavamo. Quando stare in piedi a lungo sul cemento con scarpe economiche — gentile concessione dei suoi ultimi lavori nella vendita al dettaglio — ebbe ripercussioni sui suoi piedi malandati (all’epoca aveva ancora un appartamento e una ragazza), iniziò ad apprezzare troppo gli antidolorifici.
Dopo essere stato sfrattato, con le sue fotocamere, lenti, negativi, prodotti chimici, libri e stampe gettati in mezzo alla strada, riuscì a trovare un altro lavoro, lo perse, rimase seduto come paralizzato nel suo ultimo appartamento fino a quando fu cacciato fuori, cadendo in una profonda apatia. Nel frattempo era diventato fortemente sovrappeso a causa della sua dieta da uomo povero, fatta di bibite gassate con caffeina, hot dog dei minimarket, e così via, quindi gli serviva più «medicina di strada». (Gli comprai scarpe da lavoro e pantaloni extra; ogni tanto gli davo dei contanti, dopodiché ritenevo di aver senz’altro fatto abbastanza; perché, come ha detto così ragionevolmente Caino: «Sono forse io il custode di mio fratello?»). Sua figlia viveva con la madre, che a volte gli permetteva di vedere la bambina. Quando portava «Keesha» fuori a pranzo, di solito i soldi che aveva bastavano solo per lei, quindi doveva stare lì seduto a guardala mangiare, facendo finta di non avere fame: «Non preoccuparti, tesoro; sono ancora pieno da colazione».
Un tempo lontano era stato un dongiovanni. Ma quante donne vorrebbero uscire con qualcuno che non potrebbe pagare la sua parte? La sua ultima ragazza lo lasciò. Lui leggeva sempre meno. Un’organizzazione per i senzatetto che ammiro molto lo assunse e lo ospitò, ma alla fine fu licenziato, presumo per uso di droghe. Quando lo sfrattarono, la «medicina di strada» lo portò nell’unità di cure intensive dell’ospedale.
A Seattle c’è un posto buio e pericoloso su una pallida collina che si trova letteralmente sotto l’interstatale 5. Viene chiamato «la Giungla». Puzza di fumi di scarico ed è abitato da assassini e stupratori. Il rumore incessante del traffico sopra la testa è fastidioso. Un uomo incontrato lì mi disse che c’era solo un modo per affrontare la notte, ovvero bere fino ad addormentarsi. Si incomincia a capire l’attrazione della «medicina di strada».
Se fossi senzatetto per un mese forse potrei aggrapparmi a quello che ero. Se fossi senzatetto per un anno, potrei benissimo diventare un tossico e sperare in una morte facile per overdose. Mia figlia Lisa è stata senzatetto per alcuni giorni prima di venire accolta in una «casa per i giovani», ma per il resto della sua breve vita (è morta a ventitré anni per alcol e bulimia) l’orrore di quelle notti senza un tetto non l’ha abbandonata. C’era, per esempio una donna violenta e folle che ha tentato di aggredirla nel buio. A differenza della maggior parte dei suoi coetanei, aveva trovato un lavoro ben pagato, ma lo aveva perso per aver rovinato un mucchio di campioni di laboratorio, presumibilmente mentre era ubriaca. Poi, naturalmente, erano successe cose peggiori.
Qualcuno potrebbe definirla un rifiuto umano perché ha rinunciato a lavorare. (Ha trascorso gli ultimi mesi della sua vita soprattutto a letto, consumandosi). Per quanto riguarda l’uomo della Giungla, ha tirato avanti raccogliendo rottami metallici e spendendo i guadagni in birra, cibo spazzatura e metanfetamine, necessarie per placare i morsi della fame. Anche lui era un rifiuto umano? E William? Quanto era inutile? Dio, scrive Sua Santità, «ha particolarmente a cuore coloro che sono discriminati e oppressi, chiedendo anche a noi, alla sua Chiesa, una decisa e radicale scelta di campo a favore dei più deboli» (Dilexi te, n. 16). Quella scelta è radicale perché l’hanno fatta in pochissimi. Io non l’ho fatta.
Quanto ai poveri che di fatto lavorano, è meglio che non siano stranieri illegali, perché allora rubano il lavoro agli americani! (Un tempo pattugliavo il confine tra California e Messico insieme agli agenti della polizia di frontiera, che spesso dicevano: «Penso che siamo tutti dispiaciuti per loro. Fanno i lavori che gli americani non vogliono fare»). Una diceria molto diffusa contro questi lavoratori instancabili che raccolgono angurie, puliscono bagni, fanno i giardinieri, lavano i piatti nei ristoranti e così via, è che usano a scrocco le scuole, gli ospedali, ecc. pagati dai contribuenti. Per chi viene pagato solo in contanti a volte questo è vero.
Ricordo una messicana illegale di nome Marisol morta di cancro lo scorso anno. Ha ricevuto «cure per gli indigenti» — quanta generosità da parte nostra! — che in qualche modo escludeva una adeguata «gestione del dolore», e poiché non era tipo da «medicina di strada» (odiava la marijuana a uso medico che le portavo), negli ultimi giorni di vita ha vissuto fasi di agonia. Supponiamo che il contribuente americano abbia sottoscritto qualunque cosa sia stato fatto per lei. Ma per quanto riguarda i lavoratori migranti che sudano per le società che possiedono la maggior parte di noi — si pensi un attimo ai campesinos che varcano il confine per un lavoro crudele e sottopagato nei campi —; loro ricevono salari effettivi, dai quali il governo detrae le tasse; e essendo illegali, devono fornire numeri di sicurezza sociale falsi, accumulando così fondi per la vecchiaia di qualcun altro. Ho visto buste paga dalle quali è stato prelevato un terzo o più per ordine del Governo statunitense.
A me sembra piuttosto semplice: se un impianto di lavorazione della carne a Omaha riesce ad attirare solo stranieri per lavori a basso salario in mezzo al sangue e al grasso, allora regolarizziamo quel lavoro. Fino a quando o a meno che diventano residenti permanenti, togliete le tasse, ma non la sicurezza sociale. Invece adesso li raduniamo, se possibile con crudeltà. A volte li raduniamo solo perché potrebbero essere illegali.
Lo scorso mese, il mio amico dell’Oregon Ken Jones, un cittadino americano con una casa, una moglie che ama e un grande cuore gentile, mi ha telefonato sconvolto per il caso del chiropratico iraniano Mahdi Khanbabazedeh, la cui moglie è cittadina americana; aveva fatto domanda per la carta verde e aveva appena sostenuto il primo colloquio. Mentre accompagnava la figlia all’asilo, l’Agenzia statunitense per l’immigrazione e le dogane (nota anche come «ICE») lo ha accusato di aver superato la durata del suo visto, cosa che il suo avvocato afferma essere «completamente falsa». Gli hanno permesso di entrare nel parcheggio dell’asilo. Quando poi si è rifiutato di scendere dall’auto, l’ICE ha rotto il finestrino per tirarlo fuori, proprio davanti alla bambina. È stata intentata una causa federale contro l’ICE (5), per quanto possa servire.
Come ha detto Sua Santità: «Non si può concludere questa riflessione sulle persone private di libertà senza menzionare i carcerati che si trovano in diversi penitenziari e centri di detenzione» (Dilexi te, n. 62). Il signor Khanbabazedeh ora è detenuto in attesa di espulsione, quindi vorrei qui riflettere sulla sua situazione. Il mio consiglio agli agenti dell’ICE è uguale a quello dato da Tolstoj agli ufficiali dell’esercito russo: scusatevi con la gente e dimettetevi.
Riguardo ai senzatetto che mi circondano a Sacramento, suggerirei alle autorità (come ho già fatto) di consentire accampamenti su proprietà pubbliche, private o ecclesiali non utilizzate (la terza sembra essere una categoria giuridicamente distinta, della quale l’organizzazione SHARE di Seattle ha approfittato per creare alcune delle sue tendopoli). Mettete a disposizione docce, bagni, armadietti, sicurezza e alcune regole fondamentali: gli oggetti non reclamati verranno rimossi dagli armadietti diciamo dopo 48 ore; comportamenti molesti, violenti e illegali saranno motivo di espulsione e, se necessario, di arresto.
Poiché anche questa misura blanda sembra una speranza eccessiva, una volta ho chiesto alla polizia il permesso di installare e mantenere a mie spese una fontanella e una toilette. Mi hanno detto che sarei stato citato in giudizio per aver «creato un disturbo attraente». Così sono andato dal sindaco e l’ho supplicato di affittare il mio parcheggio per un dollaro l’anno, trasformarlo in una tendopoli e farlo sorvegliare come preferiva. Mi ha risposto «grazie, Bill, di essere parte della soluzione». Non l’ho mai più sentito. Questo è stato diversi anni fa. Continuo a provarci, ma naturalmente evito di fare una «decisa e radicale scelta».
«È evidente, per chi ama davvero, che l’elemosina non scarica dalle proprie responsabilità le autorità competenti, né elimina l’impegno organizzativo delle istituzioni, e nemmeno sostituisce la legittima lotta per la giustizia. Essa però invita almeno a fermarsi e a guardare in faccia la persona povera, a toccarla e a condividere con lei qualcosa del proprio» (Dilexi te, n. 116), osserva il Santo Padre. E in una concisa riformulazione di questo punto, si rivolge alla mia debolezza fisica, spirituale e civica. «E sempre sarà meglio fare qualcosa che non fare niente. In ogni caso ci toccherà il cuore» (Dilexi te, n. 119).
Una prostituta di colore domandò il permesso di vivere nel mio parcheggio. Le dissi che se voleva poteva rimanervi per tutta la vita. Costruì un’ordinatissima casetta di legno. Sentendo quanto fosse bello il mio parcheggio, sua madre arrivò in autostop dal Mississippi per stare con lei, ma per ragioni a me ignote se ne andò presto. Quanto alla figlia, fu mia ospite, vicina e amica per due anni. Qualche volta cucinavo per lei, ma non la invitai mai a entrare. Quando incominciò a sentire un senso di proprietà iniziò a spazzare l’area e a rimuovere i rifiuti. All’inizio la pagavo per raccogliere l’immondizia (parte della quale probabilmente era sua), poi smise di accettare soldi. I vicini cessarono di lamentarsi della mia proprietà. Una sera arrivò la troupe di un notiziario televisivo per intervistarla e lei disse cose gentili su di me, così uno o due giorni dopo la polizia distrusse la sua casa, la cacciò via (e evidentemente le disse che ero stato io a chiamarla, visto che adesso lei quasi non mi parla) e mi accusò di «degradare il quartiere». Il mio amico avvocato Mark Merin, che è uno dei miei eroi, riuscì a farmi revocare la multa.
Negli anni seguenti, il mio parcheggio fu, con le parole di Mark, «in prima linea». I miei vicini si arrabbiarono, e come biasimarli? Per colpa mia, vagabondi puzzolenti venivano e andavano, a volte lasciando talmente tanta immondizia che dovevo chiamare una ditta di trasporti per portarla via. Dei disonesti ne presero nota e scaricarono, per esempio, montagne di macchinari fuori uso provenienti da cucine commerciali; i miei vicini diedero la colpa di questo ai senzatetto, che difficilmente avrebbero potuto trasportare sulle loro spalle una dozzina di lavandini di acciaio.
I rifiuti umani aggravarono i miei problemi con i topi e gli scarafaggi e di certo non entusiasmarono i commercianti della zona. Chiusi il parcheggio con una catena, il che risolse il problema degli abusivi. Assunsi un uomo di un’organizzazione per senzatetto per pulire una volta a settimana, il che funzionò piuttosto bene fino a quando lui non smise di rispondere alle mie telefonate, forse perché aveva iniziato a sospettare che nel 2016 avevo votato per il presidente Trump. Da allora è il mio amico Seven, un tipo imponente che comanda nella vicina tendopoli di Mark, a occuparsi di tutto per me.
Di conseguenza, sono finiti gli anni in cui invitavo tutti e chiunque a restare. Non mi ritrovo più a intercedere per qualcuno che sta in una tenda mentre la polizia cordialmente mi dice stia indietro, signore; si allontani, SUBITO!
È da un po’ che non subisco furti, anche se per tenere lontani i teppisti e i tossici dal mio tetto a tarda notte, quando cerco di dormire, ho dovuto aggiungere altri rotoli di filo spinato. La mia casa adesso è senza finestre visto che le sbarre sulle sbarre sulle sbarre non erano sufficienti. (Quando i miei genitori erano ancora vivi, chiesi loro come avrebbero reso quel posto più accogliente se avessero dovuto viverci. «Se dovessimo vivere qui — risposero — ci suicideremmo»).
Da quando ho assunto Seven, l’ho reso, come diceva di sé stesso il presidente George W. Bush, «il decisore». Ha ammesso due uomini a fare un provino come campeggiatori sulla mia proprietà; entrambi hanno creato cumuli di sporcizia, che lui ha dovuto ripulire. Da allora, i senzatetto si accampano non invitati, tre o quattro giorni per volta, fino a quando Seven li scopre e li caccia. Per ringraziarmi, defecano sulla soglia di casa mia. Ogni anno qualcuno getta delle lamette da barba a doppio taglio nelle mie grondaie, quindi le pulisco con uno scopino da bagno per evitare di tagliarmi le dita.
Nel frattempo faccio quattro chiacchiere con i miei veri amici ogni volta che li incontro. Essendo già un peccatore, a volte recito la parte del pubblicano invitandoli a bere le loro birre nella mia proprietà. Verso bicchierini di qualunque liquore forte io abbia sotto mano e il clima si fa molto allegro. Per quasi due anni dopo la morte di Lisa ho continuato a scoprire nuovi nascondigli della sua vodka, che aveva occultato e forse dimenticato come potrebbe fare uno scoiattolo con le ghiande che ha sepolto. Ne ho fatto il suo dono per loro, perché sono uno di quei pazzi che a Natale portano alcolici a senzatetto alcolizzati; in quel giorno dei giorni, perché non dovrebbero essere felici? (Nel 2022, quando è morta Lisa, i miei amici hanno pianto insieme a me. Quando Seven mi ha visto con un deambulatore dopo che ero stato investito da una macchina nel 2023 ha pianto e mi ha abbracciato, e questo mi ha reso più orgoglioso di qualsiasi premio letterario io abbia mai ricevuto).
Diversamente da Mark, che da avvocato civilista coraggioso ed efficace ha aiutato sia i poveri sia altre classi particolarmente emarginate (è grazie a lui che la Contea di Sacramento non può più gettare via i beni dei senzatetto dopo averli cacciati o arrestati), io non sono riuscito a compiere del bene duraturo. La mia schiena malandata è un ricordo di quell’incidente stradale (colpa mia, perché correvo in mezzo traffico con Seven, cercando di allontanare un ladro dal mio tetto); e il cancro al colon mi sta logorando quasi quanto la chemioterapia che mi ha costretto a letto per gran parte dell’anno, quindi non posso più andare in giro allegramente con il mio amico disinfestatore Chris mentre lui versa cemento nell’ultimo tunnel dei topi nella mia camera da letto, e tanto meno chinarmi più volte per raccogliere sacchi di rifiuti umani.
Ma Seven si prenderà cura di me. Se l’antifurto parte a mezzanotte, lui accorre. Come posso appesantire il suo fardello invitando altre persone delle quali poi lui dovrà ripulire il casino? Per questo sto a letto, prendendo ogni tanto un oppiaceo per il dolore (roba da prescrizione medica, non «medicina di strada»), e sperando di essere coraggioso quando arriverà il mio momento. Quindi sono un realista, un ciarlatano o solo un codardo? I vicini ora mi tollerano di più, quindi questo non mi accredita forse come buon cittadino?
(Una serie di vicini in particolare odiava i senzatetto e si prendeva la libertà di cacciarli dalla mia proprietà ogniqualvolta lo voleva. Ricordo soprattutto una coppia lesbica in una tenda; poiché avevano maniere dolci e tenevano pulito, avevo detto loro di rimanere per tutto il tempo che volevano. Quindi perché piangevano? Mi fecero vedere un video, ripreso dal cellulare, di un vicino che diceva loro che la proprietà era sua e che se non se ne fossero andate le avrebbe stuprate. Dissero di aver mostrato il filmato a una poliziotta, la quale aveva risposto che, poiché sostavano lì in violazione dell’ordinanza anti-campeggio, non poteva fare nulla per loro. E io dovetti dire di essere dispiaciuto, di non avere nessun diritto legale per farle restare, e non dimenticherò mai come mi guardarono).
In sintesi, non posso proprio vantarmi di ciò che ho fatto per i senzatetto. Invece racconterò quello che loro hanno fatto per me.
Uno dei miei amici lo chiamerò Esker. Dev’essere quella che i vecchi chiamavano «generazione spontanea» quella sua magia che crea un alone di spazzatura intorno a lui in pochi minuti, una vera e propria montagna in una notte, e dopo una settimana con lui, il vicolo sul lato est era uno spettacolo e i vicini chiamarono la polizia. (Mi scusai con tutti, compresa la polizia, e fu allora che assunsi il mio primo addetto alle pulizie). Quando gli domandai perché accumulava così tanta spazzatura, mi spiegò che faceva quel che faceva e non poteva fare altrimenti. Come potevo obiettare?
Esker è inoltre un piromane. Poiché (come ci si può aspettare) puzza e ha più difficoltà del normale a fare una doccia, come dice lui stesso si «incensa» dando fuoco a cumuli di foglie per poi saltellare in mezzo al fumo. Nelle giornate ventose ha quasi dato fuoco agli alberi e, essendo preoccupato per l’edificio a rischio d’incendio nel quale talvolta dormo, l’ho blandito e avvisato, e un pomeriggio molto ventoso ho chiamato la polizia per lui, cosa che lui mi ha perdonato, e ne aveva ben donde, perché nel giro di due ore era già tornato. Ora, a dire il vero, voglio bene a quest’uomo. Non lo vedo da buoni due anni, quindi potrebbe essere fuori città, morto o rinchiuso, ma lo ricordo e mi manca.
Dopo l’emorragia cerebrale di Lisa nel 2022 mi autocommiseravo spesso, quando c’era Esker, che riusciva a mantenere il controllo abbastanza a lungo da comportarsi da fratello con me prima di doversi allontanare per iniziare a ballare la sua danza. Al crepuscolo lui, insieme a uno o due dei suoi amici, stava lì, a fumare sigarette di marijuana rollate a mano, e io, che per dormire potevo entrare nel mio edificio e che avevo l’assicurazione sanitaria e tutti i libri e i soldi che volevo, continuavo a ripetermi che se loro riuscivano a vivere una vita che a me sembrava insopportabile e ciononostante provare gioia (e Esker era allegro anche nei momenti di astinenza da metanfetamina), perché non potevo essere un po’ più come loro? (Ma come avrei mai potuto essere all’altezza del mio amico Tracey, al quale avevano sparato in testa e che aveva perdonato chi gli aveva sparato? Per qualche ragione preferivo evitare di fare quell’esperienza).
C’è stata una sera d’estate in cui Esker mi ha dato uno spinello, dicendo che era perché mi voleva bene, e all’inizio mi sono sentito in colpa ad accettarlo, poi ho capito come comportarmi e gli ho proposto di fumarlo insieme, così ho fatto un tiro e gliel’ho passato, lui l’ha passato al suo amico, il poeta senzatetto, e poiché quei due per me erano come fratelli nel mio dolore (forse riuscivano a percepirlo in me, proprio come il gatto di Lisa, che mi leccava la faccia quando ero triste), mi sono sentito orgoglioso e felice. Abbiamo parlato di cose molto importanti, che ora non ricordo, ammirato il tramonto, e poi io sono entrato mentre loro hanno cercato un boschetto o una banchina di carico dove dormire.
In un’altra occasione Esker ha versato alcuni dei suoi preziosi cristalli marroni di metanfetamina dalla sua mano nella mia, mentre un poliziotto osservava stancamente a due passi di distanza. Li ho riversati nella sua mano perché (è stata questa la mia scusa) ne avevo già messi abbastanza sui cereali della colazione. Come si suol dire, è il pensiero che conta e lui aveva pensato a me, cosa che mi rendeva ricco. E qualunque piccola cosa io facessi per lui, faceva sentire a anche a lui che mi importava di lui. Quando il Santo Padre scrive «nessun gesto di affetto, neanche il più piccolo, sarà dimenticato, specialmente se rivolto a chi è nel dolore, nella solitudine, nel bisogno, com’era il Signore in quell’ora», scrive dei senzatetto e di me nella nostra reciproca solitudine.
Riguardo all’amico-nemico di Esker, Michael, le sue abitudini per me sono state causa di notevole stress e spese, ma poiché gli ricordo lo zio defunto, pure lui mi perdona per aver pulito dietro di lui, anche se la parte del pulire andrebbe espressa al passato, perché su mia richiesta Seven gli ha dato un’occasione per accamparsi sulla mia proprietà e naturalmente l’ha mancata.
Lo vedo ancora spesso nei dintorni. Sente voci, che cerca di tenere lontane sfregando succo d’arancia e dentifricio sulle sue scarpe, con una particolare attenzione per i lacci. Ho incontrato persone con ossessioni ancor più spettacolari, come il barbuto gigante mezzo nudo che ha bruciato carbone misto a schegge di vetro e carbonella in un bidone di benzina da 55 galloni nel tentativo di fare il platino. (Quando dopo la seconda giornata di vento alla fine gli ho chiesto di spegnere le fiamme, si è buttato il bidone infuocato sulle sue spalle nude ed è corso via a velocità sovrumana).
Michael è magro, nervoso… e diffidente come un animale maltrattato, perché viene spesso picchiato. Sudando per la paura, una volta mi sono costretto a frappormi tra lui e tre teppisti che volevano fargli del male e l’ho portato via. Ho corso il rischio, e non posso dire che avrei avuto sempre il coraggio di farlo, perché il mio coraggio va e viene. Ma era una cosa buona da fare e sono contento di averla fatta… e anche grato ai teppisti per averci permesso di fuggire.
Ebbene, col tempo Michael si è preso come animale domestico un passero che teneva nel cappello. «Guarda, Bill, quell’uccello è la mia famiglia», diceva. «Parla con i miei figli perché sappiano che non sono cattivo. Voglio dire io sono cattivo, proprio come quelle voci, ma quell’uccello mi difende». Come era inevitabile, un teppista ha strappato il cappello a Michael per schiacciare sotto i piedi quella indolente «famiglia». Allora Michael ha pianto, e anch’io. «Sul volto ferito dei poveri — scrive Sua Santità — troviamo impressa la sofferenza degli innocenti e, perciò, la stessa sofferenza del Cristo» (Dilexi te, n. 9).
Ferito e innocente, Michael non era forse così? Un giorno, nel bel mezzo dell’epidemia di covid (quindi Lisa doveva ancora essere viva), eccolo lì alla stazione della metro leggera, senza mascherina, naturalmente, perché dove avrebbe mai potuto procurarsene una? Essendo appena sceso, mi ero tolto la mascherina per respirare un po’ di aria fresca. Pieno di gioia mi è corso incontro dal nulla e mi ha abbracciato. Ora, anche se abbraccio Seven, non sono uno abituato ad abbracciare gli uomini, e in quel caso, essendo probabilmente immunodepresso per via del mio primo intervento per il cancro, allontanarlo sarebbe stato giustificabile, ma mi sono reso conto per tempo che un suo abbraccio era una grazia e qualcosa di buono, come quando il gatto orfano di Lisa ha imparato a fidarsi di me e a passeggiare sopra la mia testa facendo le fusa.
Non possedendo niente, Michael mi ha dato ricchezze con la stessa tranquillità e facilità che se non mi avesse dato nulla. Per evitare di contagiare la mia famiglia, sono rimasto nel mio edificio per diversi giorni. E la sera, pubblicano come sono, ho fatto tintinnare bottiglie di birra con diversi amici senzatetto e, come soleva dire mio nonno, abbiamo «risolto tutti i problemi del mondo».
(1) Vedi codelibrary.amlegal.com/codes/sacramentoca/latest/sacramento_ca/0-0-0-24132#JD_12.52.030.Unlawful camping (campeggio illegale)
(2) Vedi abc10.com. Local news: Devin Trubey, 4:52 PST, 25 gennaio 2024, Sacramento County reports 250 homeless deaths in 2022: «Bob Erlenbusch with the Sacramento Regional Coalition to End Homelessness says 203 of the 9,000 people experiencing homelessness in the Sacramento area died in 2022». Cfr. il sito della Sacramento Regional Coalition to End Homelessness, srceh.org [visitato l’8 ottobre 2025], Sacramento County 2022 Mid-Year Homeless Deaths Report. Nei primi sei mesi del 2022, «più della metà delle persone [morte a Sacramento] che vivevano da senzatetto sono decedute all’aperto… sul marciapiede, in un campo, ecc.». Di queste morti, il 48.7% era dovuta a «uso di sostanze», la maggior parte a metanfetamine e fentanyl; il 25.8% alla violenza, soprattutto a trauma cranico da corpo contundente; il 9.7% a motivi «cardiovascolari».
(3) Mark Merin, conversazione telefonica con WTV, 8 ottobre 2025. È possibile contattare Mark all’indirizzo mark@markmerin.com.
(4) Non sono riuscito a trovare analisi dettagliate per la seconda metà dell’anno.
(5) KOIN.com, 11 settembre 2025, Beaverton school joins lawsuit challenging ICE arrests. Questo articolo è associato a un video dell’incidente fornito dalla famiglia e pubblicato su YouTube.






Bellissimo, grazie di cuore
” Non avete mai letto nelle Scritture.. La pietra scartata dai costruttori è divenuta testata d’angolo.. ciò è stato fatto dal Signore ed è una meraviglia ai nostri occhi? ”
Gesù di Nazareth
Ho Fede nel fatto che ogni scarto sia stato.. per un cuore che l’ha incontrato.. una pietra angolare di qualcosa che l’abbia reso migliore.. nel nome di Cristo Gesù.
Grazie di questa folata di umanità.