La questione del vescovo di Shanghai Ma Daqin è certamente uno dei grandi gialli delle relazioni bilaterali tra Santa Sede e Cina, e misteriosamente come è nata in questi giorni, altrettanto misteriosamente potrebbe essere risolta. Ciò darebbe una spinta positiva a tali rapporti, al di là di ogni mistero che potrebbe essere tranquillamente lasciato tale a questo punto.
In questi giorni Ma ha scritto che commise un errore quattro anni fa quando dichiarò pubblicamente di lasciare l’Associazione patriottica cattolica, l’organizzazione semi governativa che si occupa delle attività della Chiesa in Cina (cf. Asia News). Ma era stato scelto come vescovo con un accordo bilaterale e quella dichiarazione unilaterale di abbondono dell’organizzazione parve a Pechino come una specie di congiura del Vaticano contro la Cina.
Pechino non chiedeva da Ma, alla sua ordinazione, giuramenti di lealtà o proclami di obbedienza. Eppure proprio per questo il fatto che Ma lasciava l’organizzazione di cui era già parte sembrava una dichiarazione di guerra.
Il vescovo Ma oggi dice che ricevette pressioni allora per fare quelle dichiarazioni. Non sappiamo di chi e a che fine, e di certo a suo tempo tali dichiarazioni rischiarono di fare deragliare di nuovo i delicatissimi rapporti bilaterali. Di fatto ci fu un complesso lavoro di spiegazioni per provare che chiunque avesse detto qualcosa al neo vescovo di Shanghai, questi non rappresentava la volontà del papa, allora Benedetto XVI.
Rimane il giallo di chi fu, se non fu il papa, a dire a Ma Daqin di lasciare l’Associazione patriottica. Giallo è altrettanto oggi certo capire perché il vescovo di Shanghai dopo quattro anni in cui è rimasto di fatto quasi agli arresti domiciliari dica che lasciare l’Associazione patriottica fu un errore. In teoria Ma avrebbe dovuto riottenere la completa libertà a luglio del 2014, ma così non è stato.
In realtà, le trame di misteri e gialli sono sempre fitte quando si parla di Cina o di Santa Sede, figuriamoci se poi li si mette insieme.
Quello che accadde intorno alle dichiarazioni di Ma Daqin quattro anni fa forse va inquadrato intorno alla confusione degli ultimi momenti del pontificato di Benedetto, con le torbide rivelazioni di Vatileaks o certe ingiuriose accuse contro l’ottimo cardinale Paolo Romeo per un suo prudentissimo viaggio in Cina. Oggi sembra chiaro che i Vatileaks intendessero minare il pontificato e la Santa Sede, così come le accuse contro Romeo cercavano di bruciare un ponte importante e significativo che si era allora stabilito.
Allo stesso modo adesso quello che conta è che le dichiarazioni di Ma di fatto rimuovono un ostacolo alle relazioni bilaterali e provano un passo avanti delle relazioni.
Ma l’anno scorso aveva dichiarato di augurarsi un incontro tra il presidente Xi Jinping e papa Francesco, entrambi in America negli stessi giorni. In tale modo il vescovo rivelava un lavorio sotterraneo in corso allora per arrivare a un incontro, che comunque non ci fu.
Francesco Sisci, sinologo, vive a Pechino. Testo raccolto da Francesco Strazzari