«Il rispetto della vita e la pari dignità di ogni creatura sono beni al cuore della fede cristiana che ci invita ad abbattere i muri che discriminano, escludono, emarginano le donne. Come comunità cristiane rivolgiamo un appello alle istituzioni scolastiche ed educative, alle agenzie culturali e pubblicitarie, agli organi di stampa perché anch’esse promuovano un’immagine della donna rispettosa della sua identità, della sua dignità e dei suoi diritti individuali. Ma soprattutto le comunità cristiane in Italia sentono urgente la necessità di impegnarsi in prima persona per un’azione educativa e pastorale profonda e rinnovata che, da un lato, aiuti la parte maschile dell’umanità a liberarsi dalla spinta a commettere violenza sulle donne e, dall’altro, sostenga la dignità della donna, i suoi diritti e il suo ruolo nel privato delle relazioni sentimentali e di famiglia, nell’ambito della comunità cristiana, così come nei luoghi di lavoro e più in generale nella società» (Dall’Appello ecumenico alle Chiese cristiane sottoscritto al Senato il 9 marzo 2015 da cattolici, protestanti e ortodossi).
Il 6 febbraio 2018 è stata approvata all’unanimità la relazione finale della Commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio, nonché su ogni forma di violenza di genere, istituita con deliberazione del Senato della Repubblica del 18 gennaio 2017.[1]
Un corposo documento (449 pagine!) di grandissimo interesse che, strutturato in dieci capitoli, offre una fotografia ampia e documentata di un fenomeno che, nella sua stabilità, evidenzia il carattere strutturale della violenza di genere. Un’indagine inedita, che contiene indicazioni preziose di lavoro per il nuovo Parlamento, le forze dell’ordine, la magistratura e tutti i soggetti che, a diverso titolo, hanno competenze in materia.
Perché una Commissione parlamentare di inchiesta sulla violenza di genere
Le ragioni di carattere generale che il 26 ottobre 2016 avevano indotto un gruppo di senatrici e senatori a proporre l’istituzione della Commissione di inchiesta si fondavano innanzitutto sui dati dell’Organizzazione mondiale della sanità (OMS). Infatti, secondo quelli risalenti al 2002, la prima causa di uccisione nel mondo delle donne tra i 16 e i 44 anni è l’omicidio da parte di persone conosciute, in particolare da parte di partner ed ex partner.
Secondo il rapporto dell’OMS del 2013 (141 ricerche effettuate in 81 Paesi), la violenza contro le donne costituisce una questione strutturale globale: il 35% delle donne subisce nel corso della vita qualche forma di violenza. Tali fenomeni criminali colpiscono le donne in maniera specifica nell’ambito familiare. Spesso le motivazioni poggiano su una cultura discriminatoria e patriarcale, presente in tutti i Paesi del mondo.
La proposta di istituzione della Commissione era poi stata giustificata dal fatto che il nostro Paese, nonostante il recepimento di numerosi provvedimenti normativi internazionali ed europei, risulta carente quanto alla verifica della capacità di esercitare in maniera adeguata la dovuta diligenza nel prevenire e nel contrastare la violenza maschile sulle donne secondo gli standard internazionali.
Più in particolare, con riferimento a quanto previsto dalla Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica,[2] e nel prendere atto delle criticità del sistema di raccolta dati capace nel rilevare tutti gli indicatori richiesti degli organismi europei e internazionali per il funzionamento del database sulle violenze di genere, l’istituzione della Commissione era stata ritenuta necessaria anche per rilevare in maniera adeguata le reali dimensioni del femminicidio in Italia, i fattori di discriminazione strutturale ad esso correlati e la risposta istituzionale a tutte le forme di violenza che lo precedono. Ciò, al fine di identificare, in maniera puntuale, le modifiche normative e le ulteriori misure necessarie a rimuovere gli ostacoli materiali che impediscono un’efficace prevenzione del fenomeno, un’incisiva protezione delle donne e un celere risarcimento del danno.
Compiti e lavoro della Commissione
In questo contesto il 18 gennaio 2017 il Senato aveva quindi deliberato l’istituzione di un’apposita Commissione parlamentare d’inchiesta monocamerale.[3] Sulla base della delibera istitutiva, la Commissione aveva il compito di:
a) svolgere indagini sulle reali dimensioni, condizioni, qualità e cause del femminicidio, inteso come uccisione di una donna, basata sul genere e, più in generale, di ogni forma di violenza di genere;
b) monitorare la concreta attuazione della Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, fatta a Istanbul l’11 maggio 2011 e ratificata ai sensi della legge 27 giugno 2013 n. 77, e di ogni altro accordo sovranazionale e internazionale in materia, nonché della legislazione nazionale ispirata agli stessi principi;
c) accertare le possibili incongruità e carenze della normativa vigente rispetto al fine di tutelare la vittima della violenza e gli eventuali minori coinvolti;
d) analizzare gli episodi di femminicidio, verificatisi a partire dal 2011, per accertare se siano riscontrabili condizioni o comportamenti ricorrenti, valutabili sul piano statistico, allo scopo di orientare l’azione di prevenzione;
e) accertare il livello di attenzione e la capacita d’intervento delle autorità e delle pubbliche amministrazioni, centrali e periferiche, competenti a svolgere attività di prevenzione e di assistenza;
f) monitorare l’effettiva destinazione alle strutture che si occupano della violenza di genere delle risorse stanziate dallo Stato;
g) proporre soluzioni di carattere legislativo e amministrativo al fine di realizzare la più adeguata prevenzione e il più efficace contrasto del femminicidio e, più in generale, di ogni forma di violenza di genere, nonché di tutelare la vittima della violenza e gli eventuali minori coinvolti.
La Commissione[4] si è riunita per la prima volta il 19 aprile 2017. Ha svolto 38 sedute in sede plenaria, mentre l’Ufficio di presidenza, integrato dai rappresentanti dei Gruppi parlamentari, si è riunito 10 volte. Al fine di acquisire tutte le informazioni necessarie per adempiere alle finalità previste nella delibera istitutiva, la Commissione ha audito in sede plenaria 67 persone, tutte, a vario titolo, esperte della materia.
Appare significativo che la prima audizione sia stata quella di Lucia Annibali, l’avvocatessa di Pesaro sfregiata nel 2013 con acido da due uomini (mandante l’ex fidanzato), che, con la sua testimonianza, ha dato alla Commissione la possibilità di conoscere direttamente dalle sue parole l’esperienza dolorosa dalla stessa vissuta, anche nei suoi riflessi giudiziari e mediatici, e il percorso per reagire caratterizzato dal personale impegno in ambito istituzionale.
In questa sede dei contenuti della relazione finale della Commissione parlamentare di inchiesta verranno tralasciate le dimensioni del fenomeno già diffusamente riferite dalla rivista nei mesi scorsi.[5]
Della relazione, invece, verranno presi in esame, in questa sede, solo tre temi:
- il costo economico della violenza;
- i risultati dello studio delle oltre 400 sentenze di omicidio di donne emesse tra il 2012 e il 2016;
- le proposte che la Commissione consegna al nuovo Parlamento al fine di realizzare, con soluzioni di carattere legislativo e amministrativo, la più adeguata prevenzione e il più efficace contrasto del femminicidio e, più in generale, di ogni forma di violenza di genere.
Il costo economico della violenza
Fermo restando che la vita e la dignità di ogni donna non hanno prezzo, con riferimento alle dimensioni del fenomeno italiano della violenza di genere è istruttivo, in primo luogo, metterne in rilievo l’impatto economico anche al fine di attuare efficaci interventi di supporto e, soprattutto, preventivi, non ulteriormente procrastinabili.
Secondo la Commissione, infatti, il problema è di entità tale da richiedere interventi che, in termini di costi e rispetto ai vincoli di bilancio pubblico, sono meno onerosi delle conseguenze derivanti dagli atti di violenza.
Per la stima dei costi economici della violenza contro le donne è stato utilizzato uno studio[6] del 2013 “Quanto costa il silenzio? Indagine nazionale sui costi economici e sociali della violenza contro le donne”, basato sull’Indagine sulla sicurezza delle donne effettuata dall’Istat nel 2006 e patrocinato dal Dipartimento per le Pari Opportunità della presidenza del Consiglio dei ministri.
Va chiarito che la violenza genera costi economici diretti e indiretti[7] non solo nel caso, purtroppo estremo, di femminicidio, ma anche e soprattutto nei casi di violenza perpetrata e reiterata per un lungo periodo, anche dopo l’allontanamento della vittima dall’autore del reato.
Il costo della violenza domestica, stimato per difetto nel 2013, è di 16.719.540.330 euro, a fronte di una spesa per interventi di prevenzione e contrasto pari a soli 6.323.028 euro.
I costi della violenza, seppure di molto sottostimati, rappresentano, dunque, in percentuale del PIL nominale (1.618.904 milioni di euro correnti nel 2013) ben l’1,04 per cento del PIL.
Provocatoriamente – denuncia la relazione – una percentuale maggiore degli investimenti fissi lordi nazionali in mezzi di trasporto (auto, navi, aerei, treni) o degli acquisti degli italiani all’estero!
Costi socioeconomici della violenza: una tipologia
Costi diretti: valore dei beni e servizi impiegati nel trattamento e nella prevenzione della violenza |
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Costi non monetari: dolore e sofferenze |
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Effetti moltiplicatori economici: macroeconomia, mercato del lavoro, impatto di produttività intergenerazionale |
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Effetti moltiplicatori sociali: impatto sulle relazioni interpersonali e sulla qualità della vita |
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Fonte: Buvinic et al. 1999.
Una cifra allarmante, di cui quasi 2,3 miliardi riguardano i costi monetari diretti dei servizi e gli effetti moltiplicatori economici e oltre 14 miliardi di euro quelli umani e di sofferenza, emotivi ed esistenziali sostenuti dalle vittime, dai loro figli e dai familiari, legati alla riduzione della qualità della vita. Una stima che quantifica, dunque, accanto ai danni fisici, anche quelli morali e psicologici (dalla vulnerabilità in cui si ritrova a vivere il nucleo familiare, all’impatto sulle relazioni fino alla trasmissione da una generazione all’altra della violenza).
Analisi delle sentenze dei casi di omicidio di donne
Sotto il profilo strettamente statistico, l’analisi delle oltre 400 sentenze afferenti a vicende criminose risalenti al periodo 2010-2015 ed emesse dalla Corte di Cassazione tra il 2012 e il 2016 evidenzia che la stragrande maggioranza degli omicidi di donne possono essere classificati quali “femminicidi”. In particolare, su 417 sentenze esaminate, 355 (e dunque l’85% di esse) sono state classificate come “femminicidi”, cioè come omicidi di donne maturati in ambito familiare o all’interno di relazioni sentimentali poco stabili.
Ne emerge un quadro drammatico, che ha quasi dell’incredibile.
Ad uccidere le donne sono quasi sempre gli uomini. Nell’88,5% dei casi l’autore del reato è un uomo e la vittima è una donna. In una piccola percentuale di casi, due su cento, è successo che una donna fosse uccisa da un’altra donna. Emerge poi che, nel 9,2% dei casi, gli autori del reato fossero in complicità uomini e donne a danno di altre donne.
Nel 55,8% dei casi tra autore e vittima esiste una relazione sentimentale, in atto al momento dell’omicidio o pregressa. Se a questi si aggiungono i casi in cui tra autore e vittima esisteva una relazione di parentela, si scopre che nel 75% dei casi le donne muoiono nell’ambito familiare, all’interno cioè di quell’ambiente che, quantomeno in prospettiva ideale, dovrebbe essere tutelante.
All’interno della classe di omicidi avvenuti tra partner, il 63,8% dei casi evidenzia che la vittima e l’autore erano coniugi o conviventi, il 12% fidanzati, il 24% aveva intrattenuto una relazione sentimentale terminata per vari motivi qualche tempo prima dell’omicidio.
Per quanto attiene ai luoghi dell’omicidio, quelli consumati all’interno dell’abitazione della vittima sono pari al 35,2% dei casi; nel 34,15% degli omicidi risulta avvenuto in strada, in genere luoghi appartati, parchi, campi agricoli oppure davanti all’ingresso dell’abitazione della vittima. Solo nel 4% dei casi l’omicidio risulta consumato in un esercizio commerciale o in locali pubblici. I restanti omicidi (pari all’8% dei casi) risultano compiuti all’interno di automobili, furgoni o in stanze di hotel.
Per quanto riguarda l’azione omicidiaria, dall’analisi delle 400 sentenze emerge un profilo della condotta che la relazione qualifica “primitivo”, evocativo di una volontà distruttiva e di sopraffazione che si estrinseca nelle modalità di consumazione. Raramente si riscontrano esecuzioni rapide con arma da fuoco (pistola o fucile). Quando succede, pur in presenza di arma connotata dalla massima lesività e idonea a cagionare la morte anche con un solo colpo, le sentenze raccontano che l’azione omicidiaria viene consumata con esplosione di una pluralità di colpi.
Più spesso gli atti processuali descrivono veri e propri ammazzamenti a seguito di colluttazioni corpo-a-corpo in cui l’uomo sfoga una rabbia inaudita. L’arma prevalentemente utilizzata è il coltello, che rimanda all’ambito domestico, all’uso del mezzo che si trova più a portata di mano nel momento del raptus. Nel 40,2% dei casi le donne vengono colpite ripetutamente con arma da punta e taglio (coltelli da cucina, pugnali) per poi essere spesso anche soffocate con le mani o il braccio. Nel 9% dei casi la vittima è aggredita e uccisa senza uso di armi, con pugni, calci e testate e poi strangolata o soffocata. Nel 15,5% dei casi, la donna è colpita e uccisa con oggetti di varia natura: martelli, accette, picconi, bastoni, spranghe e rastrelli. Nel 18% dei casi la vittima è stata sorpresa e strangolata per mezzo di cavi elettrici, fil di ferro, cinture, sciarpe, lacci o mani; a volte il soffocamento è avvenuto tramite cuscini o sacchetti di plastica.
Per quanto riguarda il movente dell’omicidio, nella ricerca si dà atto della difficoltà di una catalogazione. I casi più frequenti sono sicuramente quelli legati alla sfera del rapporto sentimentale: gelosia, amore possessivo e morboso, pretesa di sottomissione. Talvolta, alla base dei dissidi ci sono motivi economici. Vi sono poi casi in cui l’omicidio viene perpetrato per liberarsi della relazione in atto, ovvero per ragioni connesse a relazioni extra-coniugali, ovvero ancora, perché l’autore del reato teme l’emersione di problemi economici cui ritiene di non poter far fronte.
Che cosa potrebbe/dovrebbe fare il nuovo Parlamento
Come già ricordato, la Commissione parlamentare d’inchiesta aveva anche il compito di proporre soluzioni di carattere legislativo e amministrativo al fine di realizzare la più adeguata prevenzione e il più efficace contrasto del femminicidio e, in generale, di ogni forma di violenza di genere.
Compito puntualmente assolto, con la segnalazione di numerose proposte che saranno consegnate al nuovo Parlamento per essere – si spera! – trasformate in misure operative e che vengono sinteticamente richiamate qui di seguito:
- allestimento di un efficiente sistema di raccolta, a intervalli regolari, di dati statistici disaggregati pertinenti su questioni relative a qualsiasi forma di violenza di genere, con particolare riguardo alla violenza sulle donne con disabilità;
- introduzione di una fattispecie penale ad hoc relativamente alle molestie sessuali nei luoghi di lavoro;
- rivisitazione delle pene attualmente previste per i maltrattamenti in famiglia e gli atti persecutori, con particolare riferimento all’ambito di operatività degli arresti in flagranza di reato e delle misure cautelari;
- definizione più puntuale della violenza assistita sui figli minori (forma di violenza domestica che si realizza nel caso in cui il minore è obbligato, suo malgrado, ad assistere a ripetute scene di violenza sia fisica che verbale tra i genitori o, comunque, tra soggetti a lui legati affettivamente, che siano adulti o minori);
- previsione di sanzioni in caso di violazione, da parte del responsabile del reato, dell’ordine di allontanamento disposto dalle forze di polizia;
- introduzione del reato di “omicidio di identità” o di volticidio[8] (lesioni personali gravissime con deformazione o sfregio permanente del volto, specie se consumate mediante l’utilizzo di sostanze corrosive), con previsioni sanzionatorie fortemente aggravate rispetto a quelle vigenti;
- possibile introduzione di una fattispecie ad hoc in tema di femminicidio, strutturata come omicidio consumato per ragioni “di genere”;
- revisione del sistema di procedibilità per i reati in materia di aggressione sessuale nonché del quadro normativo in tema di misure cautelari;
- revisione totale della materia afferente alla valutazione del rischio per la vita o l’incolumità della persona offesa;
- possibilità di anticipare il ricorso a misure patrimoniali nei procedimenti iscritti per i reati di violenza di genere;
- necessità di attribuire efficacia cogente alle norme relative all’ordine di trattazione dei procedimenti penali aventi ad oggetto reati connessi alla violenza di genere e di ridurre il più possibile le audizioni delle vittime nei vari contesti giudiziari prevedendo una concentrazione dei contributi dichiarativi e/o la previsione di una circolarità dei relativi verbali;
- promozione e incremento di ogni iniziativa utile per aumentare la consapevolezza e la comprensione, da parte del vasto pubblico, delle varie manifestazioni di tutte le forme di violenza, nonché della necessità di prevenirle, includendo nei programmi scolastici di ogni ordine e grado appropriati materiali didattici su temi quali la parità tra i sessi, i ruoli di genere non stereotipati, il reciproco rispetto, la soluzione non violenta dei conflitti nei rapporti interpersonali, la violenza contro le donne basata sul genere e il diritto all’integrità personale;
- responsabilizzazione dei mezzi di comunicazione per rappresentare in modo corretto la violenza di genere e per stigmatizzare stereotipi tuttora diffusi sul ruolo della donna, come oggetto sessuale;
- previsione ed estensione di servizi o centri di ascolto per uomini maltrattanti, disponibili a partecipare a percorsi rieducativi prima, durante o dopo il carcere.
[1] Cf. SettimanaNews n. 9/2017.
[2] Ratificata con legge 27 giugno 2013 n. 77.
[3] La scelta di istituire, con una semplice e più celere risoluzione del Senato, una commissione parlamentare d’inchiesta monocamerale è stata determinata dall’approssimarsi della fine della XVII legislatura e dall’impossibilità di approvare, in tempo utile, una possibile legge istitutiva di una più rappresentativa commissione d’inchiesta bicamerale.
[4] Composta, in proporzione al numero dei componenti dei gruppi parlamentari, da 14 senatrici e 6 senatori.
[5] Cf. SettimanaNews n. 7/2018 e n. 47/2017.
[6] Disponibile on-line al sito www.intervita.it.
[7] Una sintesi schematica dei costi è la tabella qui riprodotta e tratta da: Buvinic M. – Morrison A.R. – Shifter M. (1999): “Violence in the Americas: A Framework for Action” in Too Close to Home: Domestic Violence in the Americas, Morrison A.R. – Biehl M.L. (eds.), Washington DC: Banca Interamericana di Sviluppo.
[8] Cf. SettimanaNews n. 20/2017.
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