
Jeff Bezos e Lauren Sanchez durante il loro matrimonio a Venezia (AP Photo/Luca Bruno)
Magari è un mio problema, ma sono giorni che mi chiedo se esista qualcosa di più triste, malinconico, deprimente, del matrimonio di Jeff Bezos con Lauren Sanchez, che da settimane occupa giornali italiani e globali. Qualcuno usa espressioni come «matrimonio da favola» o «matrimonio regale», ma l’evento che si sta consumando a Venezia in questi giorni sembra più un interessante caso di studio sulle implicazioni della disuguaglianza estrema piuttosto che la celebrazione di un’unione tra due persone che si vogliono bene.
Ogni festa di matrimonio accompagna al lato romantico dell’evento un arido lato contabile, di negoziati sugli affitti delle location, di trattative sui menu, di budget che saltano, di contabilità dei regali ricevuti. Ma nel matrimonio di Bezos e Lauren Sanchez la dimensione economica travolge ogni cosa, i soldi sono al centro di ogni narrazione, anche se pare assurdo commentare il fatto che Bezos spenda 15 o 20 milioni di dollari per il matrimonio quando il suo patrimonio è stimato in 263,8 miliardi di dollari.
L’agenzia di wedding planner Lanza & Baucina ha dichiarato che i suoi principi guida e le istruzioni del cliente impongono di «minimizzare qualsiasi disagio per la città, rispettare i suoi residenti e le sue istituzioni e impiegare in larga misura manodopera locale nell’organizzazione degli eventi». Una dichiarazione programmatica che smonta la narrazione che di solito viene usata per legittimare la disuguaglianza. Certi super ricchi non sono tali per il nostro bene, cioè perché sorreggono e alimentano un capitalismo che diffonde i suoi benefici giù fino agli strati sociali più bassi. Al contrario, la loro ricchezza è un potenziale danno alle città, ai residenti, alle istituzioni.
Il matrimonio di Bezos è come un fenomeno atmosferico estremo che si avvicina a Venezia con mesi di preavviso e che richiede alla città di prepararsi, di definire certi limiti, di prendere precauzioni, perché la ricchezza estrema se lasciata priva di argini e controlli può abbattersi con la forza devastante di un tornado e travolgere tutto.
Le contraddizioni di Venezia
Leonardo Bison è un giornalista specializzato in politiche culturali, basato a Venezia, scrive per Venezia Today e per Il Fatto Quotidiano.
- Qual era il piano originario di Jeff Bezos e del sindaco di Venezia Brugnaro per questo matrimonio, prima che iniziassero le proteste?
Da quello che sappiamo, da quanto è emerso man mano, è stato il sindaco di Venezia Luigi Brugnaro a invitare Jeff Bezos a celebrare le sue nozze a Venezia.
Bezos aveva in mente un piano che prevedeva un matrimonio con cinque maxi yacht posizionati in diverse aree della città, tre giorni di festa e l’evento principale nella Scuola Grande della Misericordia, che si trova nel cuore del sestiere di Cannaregio ed è anche in concessione a una società del gruppo del sindaco Brugnaro.
Questo piano non era stato reso pubblico; anzi, alla stampa erano state comunicate come date quelle del 24 e 26 giugno. Tuttavia, la vera programmazione è emersa perché alcuni contestatori del matrimonio — veneziani comuni che lavorano negli appalti e nell’organizzazione di eventi — hanno riferito che in realtà si sarebbe svolto dal 26 al 28 giugno.
Alla fine, però, la cerimonia si terrà senza il maxi yacht di Bezos, il Koru, quello che ha fatto costruire lui stesso, e senza la festa alla Scuola della Misericordia.
- Chi protesta e cosa contesta esattamente?
I contestatori sono di diverso tipo. Il gruppo principale, «No Space for Bezos», che ha organizzato le proteste, è composto da attivisti storici veneziani che negli anni hanno manifestato per molte cause: dal diritto alla casa, alla protesta contro il DDL Sicurezza, fino alle grandi navi a San Marco.
Di volta in volta, le loro iniziative hanno avuto più o meno forza e visibilità all’interno della cittadinanza. Quindi, si tratta di un movimento locale che riguarda anche lo sfruttamento di Venezia per i grandi eventi privati, come i matrimoni, un business in crescita e, più in generale, il modello turistico che sta mettendo sotto pressione la città e, soprattutto, chi ci vive senza possedere una casa di proprietà.
Oltre a questo gruppo, però, ci sono anche altri movimenti locali e internazionali che stanno sfruttando il matrimonio di Bezos per protestare e dare visibilità a temi come la giustizia sociale, le disuguaglianze e la giustizia ambientale. Greenpeace, ad esempio, ha organizzato un’azione; lo stesso ha fatto Extinction Rebellion. Ci sono poi anche l’ANPI e la CGIL, che hanno espresso la loro contrarietà a questo tipo di gestione della città di Venezia, pur senza partecipare direttamente alle proteste fisiche che si stanno svolgendo o si svolgeranno.
- Come si inserisce questa vicenda nelle tensioni intorno al modello di sviluppo di una città fragile che non riesce a reggere il peso della propria popolarità?
Questa vicenda si inserisce pienamente e mette in luce le contraddizioni di una città che, dall’alto verso il basso – dall’amministrazione a una parte dei cittadini – non riesce, o forse non vuole, mettere realmente in discussione la crescente dipendenza di Venezia e del suo tessuto economico dal turismo.
Allo stesso tempo, però, si vorrebbe che questo turismo fosse meno invasivo e meno distruttivo per il tessuto urbano e per la vita quotidiana. Ad esempio: si introduce il ticket di accesso, che fa pagare i turisti, ma non si pongono limiti ai posti letto, che continuano invece ad aumentare.
Le grandi navi vengono bandite da Piazza San Marco, anzi, addirittura dalla Laguna, ma una parte della città vuole – e ha bisogno – dei croceristi, e quindi le navi rientrano, sia pure temporaneamente, con moli provvisori, senza però andarsene mai davvero. Lo stesso vale per i matrimoni: il matrimonio di Bezos arriva dopo anni in cui il business dei matrimoni è in costante crescita, anche incentivato dall’amministrazione comunale. Continuano ad aumentare eventi privati, pubblici, istituzionali, ministeriali, che di volta in volta chiudono parti della città. Alla fine, esplode una tensione tra chi ha bisogno di questi eventi e chi invece non li sopporta più.
Il senso della ricchezza
Jeff Bezos è probabilmente una figura di transizione rispetto ai tecno oligarchi della generazione successiva, non necessariamente più giovani di lui ma assai diversi sul piano antropologico, gente come Elon Musk o Marc Andreessen.
Bezos non ha grandi teorie su come cambiare il mondo, salvare l’universo, inseguire l’immortalità o ricreare la vita con un algoritmo di intelligenza artificiale. Ha sempre voluto fare soldi, avere successo, prima con i libri venduti su Amazon, poi con la piattaforma diventata il «negozio per tutto», e con la vera fonte della sua ricchezza, i servizi cloud di Amazon Web Services.
Una congrua parte della sua ricchezza l’ha investita in quelli che gli economisti chiamano beni posizionali, cioè che non danno alcuna utilità proporzionale al loro prezzo, ma che danno al proprietario il piacere di avere qualcosa che soltanto pochissimi possono permettersi.
Il vero beneficio per Bezos di possedere uno yacht da 500 milioni di dollari, il Koru con cui voleva entrare nella laguna di Venezia, non deriva tanto dai servizi che offre o dalla comodità delle sue cabine, che saranno poco diversi da quelli di uno yacht da 250 o 100 milioni di dollari. Il punto è che al mondo ci sono soltanto altri quattro yacht più costosi, secondo una classifica di Sotheby’s.
Anche la gran parte dei suoi beni immobili sono pura esibizione, visto che non può fruirne più di tanto, visto che neppure la ricchezza concede il dono dell’ubiquità: un’isola vicino a Miami da 234 milioni, una villa a Beverly Hills in California da 165 milioni, un complesso residenziale a Maui da 78 milioni.
La vita degli ultraricchi può essere scomodissima, impersonale, pensate a cosa vuol dire dover dividere la propria vita tra mega ville distanti centinaia di chilometri tra loro, per spostarsi ci vogliono jet come quelli che ha Bezos, da 50 a 75 milioni di dollari l’uno, che a loro volta richiedono equipaggi, piani di volo, autorizzazioni.
In fondo, Bezos non è più in grado di fare quasi nulla da solo, non può uscire dal suo appartamento di città e andare nella casa al mare per il weekend, perché tutto deve essere organizzato, pianificato, è una attività di logistica e sicurezza, non un momento di svago privato. E infatti nelle interviste ama ricordare gli inizi, quando guidava auto da poco e come scrivania usava una porta smontata.
Il progetto al quale Bezos sembra tenere di più oggi è il suo business spaziale, con Blue Origin, che però ha per ora molto meno successo del concorrente SpaceX di Elon Musk. Per Bezos lo spazio sembra soprattutto il costoso sfizio di un bambino cresciuto che usa la sua enorme ricchezza per dare concretezza ai sogni di un’epoca nella quale poteva ancora coltivare sogni, prima che i miliardi accumulati con Amazon rendessero il mondo e la vita stessa soltanto un enorme supermercato dove tutto ha un prezzo abbordabile.
I limiti del mercato
I contestatori veneziani chiedono a Bezos di pagare più tasse, anche se così aderiscono a una visione assai poco radicale della disuguaglianza: una imposta patrimoniale o un aumento delle aliquote sul reddito permetterebbe di redistribuire una parte dei soldi accumulati da Bezos. Ma questo cambierebbe davvero qualcosa?
Anche una imposta patrimoniale del 50 per cento sull’intero patrimonio di Bezos non intaccherebbe in alcun modo la sua possibilità di sequestrare Venezia per una settimana per sottometterla alla sua idea di matrimonio. La sua diversità da qualunque altro essere umano, insomma, rimarrebbe la stessa.
L’economista Thomas Piketty, in un dialogo con il filosofo Michael Sandel appena pubblicato da Feltrinelli, spiega che viviamo in un’epoca meno diseguale di altre passate, con i poveri che − in Occidente e non solo − hanno stili di vita, cure, e istruzione molto maggiori che in tutto il resto della storia umana. Eppure oggi la disuguaglianza è un problema politico e sociale perché è diversa da quella che l’umanità ha conosciuto per millenni:
«Nei regimi del passato, la disuguaglianza poteva essere davvero brutale, ma si avvertiva una sorta di complementarietà tra i diversi gruppi sociali: alcuni erano nobili e guerrieri, altri artigiani e contadini, ma non necessariamente stupidi. Abbiamo bisogno di questa diversità tra gruppi. Non sto decantando quei regimi di disuguaglianza, ma almeno all’epoca non si aveva la presunzione di pensare che i poveri e i ricchi meritassero ciò che avevano».
L’idea di meritocrazia, nata come una parodia, una satira sociale, è diventata senso comune: ognuno ha quello che si merita, e si merita quello che ha.
Michael Sandel, uno dei grandi critici della meritocrazia, nel dialogo con Piketty suggerisce una possibile soluzione diversa dalle solite tasse globali che nessuno riesce poi a incassare: de-mercificare le relazioni sociali, sottrarre alcuni spazi di vita al mercato, in modo da impedire che chi ha un patrimonio sconfinato possa beneficiare di trattamenti privilegiati.
Lo hanno fatto le socialdemocrazie del Novecento, sottraendo l’istruzione o la sanità alle regole del mercato, durante la pandemia da Covid abbiamo scoperto che per raggiungere obiettivi importanti servono regole condivise, anche se meno efficienti: da un punto di vista economico, sarebbe convenuto vendere i vaccini prima ai più ricchi e con quei soldi finanziare la produzione di vaccini a basso prezzo per i più poveri, ma avrebbe generato tensioni tali da far fallire il piano vaccinale.
Il problema, anche a Venezia, non è soltanto che Bezos abbia abbastanza soldi da poter comprare tutto quello che crede, ma anche che tutto sia in vendita al miglior offerente.
- Dal Substack di Stefano Feltri, Appunti, 27 giugno 2025
Troppe polemiche, e sicuramente anche tanta invidia, intorno a questo matrimonio. A me, invece, non ha creato alcun problema: so che da sempre il denaro può comprare praticamente tutto e nutro una profonda ammirazione per quelle persone geniali e coraggiose che, magari dal nulla, costruiscono la loro fortuna. Il fatto, poi, che entrambi gli sposi siano divorziati non mi riguarda minimamente, trattandosi della loro vita privata. I divorziati (e qui parlo in generale, non solo di questo caso specifico) non sono criminali di guerra, ma persone che hanno conosciuto la sofferenza per il fallimento di un matrimonio e hanno tutto il diritto di sperare in una nuova unione più felice, non il dovere di restare soli per il resto della vita, come vorrebbero la chiesa e qualche suo devoto seguace. Auguri agli sposi e complimenti per il loro meraviglioso matrimonio.
Non mi pare si parli del divorzio dei due nell’articolo, che cosa c’entra? nessuno ha detto che Bezos è un criminale.
Non si è scritto che è un male avere tanti soldi quanti ne ha Bezos.
Si è semplicemente fatta una riflessione sul fatto che una città sia stata, di fatto, noleggiata da un multi miliardario, cosi come sono stati inevitabilmente inficiati i diritti dei cittadini residenti, che per vari motivi hanno perso anche l’accesso alle zone pubbliche: ci sono molti casi e video sia di TG che privati di residenti che usciti di casa e ritornati non sono potuti rientrare in casa perché in quella via, in quel momento e per tot ore, passava il carrozzone.
La riflessione è sulla ostentazione della ricchezza, che è definita quasi violenza, rispetto a tutti gli altri. Poi se a lei non dà fastidio, mi scusi, ma chi se ne importa. Nell’articolo non si chiede a nessuno se ha dato o meno fastidio, esattamente come non si è parlato di divorzio.
E io che, da cattolico, pensavo che “Il vero problema col matrimonio di Bezos” fosse che lui è un uomo divorziato.
Ma il divorzio ormai per i cattolici non e’ piu’ un problema . Gli unici problemi sono politici-sociali-ecologici ,non certo morali o spirituali .
Claudio, la solita mentalità retriva. Io invece nel riconsiderare l’antico proverbio rurale italiano che recita “mogli e buoi dei paesi tuoi” ho notato che gli sposi sono ambedue di Albuquerqe dove sono nati e hanno respirato la prima aria, a conferma che la antica sapienza campagnola dei nostri vecchi contadini ha un qualche fondamento di concreta verità . Evidentemente Bezos, maturando lo ha capito. Auguri agli Sposi anche da noi.
Beh se il problema maggiore per lei è questo Papa Francesco è proprio passato invano.