La carne dei poveri nella “Dilexi te”

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Il vissuto di chi sta ai margini delle logiche di profitto e di produzione è provocazione per i credenti a lasciarsi misurare da coloro nei quali Cristo sceglie di farsi incontrare e toccare. Da questa carne di Cristo affamata, malata, carcerata, i teologi sono sollecitati a suscitare pratiche capaci di azioni trasformatrici e inclusive. Le riflessioni che seguono sono di Marzia Ceschia, docente di Teologia spirituale presso la Facoltà teologica del Triveneto.

In continuità con l’enciclica Dilexit nos scritta da papa Francesco nel 2024, l’esortazione apostolica sull’amore verso i poveri Dilexi te, la prima a firma di papa Leone XIV, riprende il progetto di papa Bergoglio di porre al centro della riflessione ecclesiale, con la parola autorevole del magistero, la questione della povertà.

Si coglie, da subito, come il documento non intenda ribadire una priorità sociologica ma, piuttosto, evidenziare una precedenza teologica: «Non siamo nell’orizzonte della beneficenza, ma della Rivelazione: il contatto con chi non ha potere e grandezza è un modo fondamentale di incontro con il Signore della storia» (n. 5).

La teologia, quindi, non può prescindere da questo aspetto, dall’attenzione a questo modo di rendersi presente di Dio nel mondo, poiché – dichiarava papa Francesco nell’esortazione apostolica Evangelii gaudium cui l’esortazione di papa Leone rinvia – «occorre affermare senza giri di parole che esiste un vincolo inseparabile tra la nostra fede e i poveri» (cf. n. 36).

I poveri, luogo teologico

I poveri sono, pertanto, luogo teologico per eccellenza, poiché Cristo ha assunto la povertà per essere in mezzo agli uomini. Richiamando quanto espresso, durante il concilio Vaticano II, dal card. Lercaro il 6 dicembre 1962, l’esortazione prosegue evidenziando che «il mistero di Cristo nella Chiesa è sempre stato ed è, ma oggi lo è particolarmente, il mistero di Cristo nei poveri» (cf. n. 84).

Nei poveri viene verificata l’autenticità del culto cristiano: «Per questa ragione sono raccomandate le opere di misericordia come segno dell’autenticità del culto che, mentre rende lode a Dio, hanno il compito di renderci aperti alla trasformazione che lo Spirito può compiere in noi, affinché diventiamo tutti immagine del Cristo e della sua misericordia verso i più deboli» (n. 27).

L’esortazione menziona molte esperienze e testimonianze di quanti, nel corso della storia della spiritualità cristiana, hanno assunto la povertà come via eminente della conformazione a Cristo, come spazio privilegiato di un agire cristiano performativo, capace di sintonizzare il vissuto del fedele con lo stile del Signore.

«La cura dei poveri fa parte della grande tradizione della Chiesa, come un faro di luce che, dal Vangelo in poi, ha illuminato i cuori e i passi dei cristiani di ogni tempo. Pertanto, dobbiamo sentire l’urgenza di invitare tutti a immettersi in questo fiume di luce e di vita che proviene dal riconoscimento di Cristo nel volto dei bisognosi e dei sofferenti. L’amore per i poveri è elemento essenziale della storia di Dio con noi e, dal cuore stesso della Chiesa, prorompe come un continuo appello ai cuori dei credenti, sia delle comunità che dei singoli fedeli» (n. 103).

Nel vissuto ecclesiale

La presenza sacramentale dei poveri nel vissuto ecclesiale interroga i teologi e il servizio che essi svolgono nei confronti della comunità di fede. Significativa a riguardo è l’affermazione che «l’opzione preferenziale per i poveri deve tradursi principalmente in un’attenzione religiosa privilegiata e prioritaria» (n. 127).

L’esperienza e il vissuto di quelli e di quelle che stanno ai margini delle logiche di profitto e di produzione esigono di essere messi a tema non solo come oggetto di iniziative caritative e assistenziali ma come parola che provoca i credenti a lasciarsi misurare da coloro nei quali Cristo sceglie di farsi incontrare e toccare e che orientano – a partire da una “povertà di spirito” assunta come verità del proprio essere cristiani – gli stili e i modi di presenza della Chiesa nel mondo.

La teologia è sollecitata a ricercare, pensare ed elaborare prospettive tali da suscitare pratiche capaci di azioni trasformatrici, inclusive, che non guardino ai poveri solo come destinatari di beneficenza (cf. n. 100) ma anche come soggetti che possono e sanno promuovere uno sguardo alternativo sulla realtà, nel contesto più ampio e fondativo che è l’alternativa proposta dal Vangelo di Cristo.

Occorre per questo – sottolinea papa Leone – una conversione spirituale (cf. n. 98), per riconoscere la necessità di lasciarci evangelizzare dai poveri e accogliere la sapienza che Dio manifesta attraverso di loro (cf. 102).

La teologia, infine, è provocata a entrare davvero in contatto con i misteri che enuncia e indaga: «La realtà è che i poveri per i cristiani non sono una categoria sociologica, ma la stessa carne di Cristo. Infatti, non è sufficiente limitarsi a enunciare in modo generale la dottrina dell’incarnazione di Dio; per entrare davvero in questo mistero, invece, bisogna specificare che il Signore si fa carne che ha fame, che ha sete, che è malata, carcerata» (n. 110).

È questione di vita ed è questione di fede.

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2 Commenti

  1. Giuseppina 12 novembre 2025
  2. Salvatore 6 novembre 2025

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