
Il discorso di Papa Leone XIV alla Pontificia Università Lateranense, venerdì 14 novembre, va letto integralmente (qui), bene SettimanaNews ha fatto a pubblicarlo intero, è molto importante, è un atto di Magistero e di pensiero pontificio autentico. Un passaggio voglio sottolineare e sviluppare, e poi una prospettiva. Il passaggio riguarda il ruolo della teologia in questa Università pontificia. Ha detto il Papa:
In particolare, la Facoltà di Teologia è chiamata a riflettere sul deposito della fede e a farne emergere la bellezza e la credibilità nei differenti contesti contemporanei, perché appaia come una proposta pienamente umana, capace di trasformare la vita dei singoli e della società, di innescare cambiamenti profetici rispetto ai drammi e alle povertà del nostro tempo e di incoraggiare la ricerca di Dio. Questa missione richiede che la fede cristiana sia comunicata e trasmessa nei diversi ambiti della vita e dell’azione ecclesiale, e per questo ritengo di vitale importanza il servizio svolto dall’Istituto Pastorale.
Qui a mio avviso risuona l’intervento di don Severino Dianich sul «tradimento dei teologi» (qui) su SettimanaNews dell’agosto 2024. Non erano considerazioni estive, erano collegate all’insignificanza della teologia quando resta zitta di fronte ai drammi del presente. E che drammi!
Ed ecco il Papa intervenire nella stessa direzione. Meno male! Era ora!
***
Ma come possiamo aiutare il Papa, la Chiesa, le Facoltà e le Università, le parrocchie e i laici e le laiche?
Dobbiamo incalzare. Dobbiamo dire, scrivere, argomentare che è necessaria una nuova teologia. Che prenda come riferimento il tema etico. Poi sia cristologica, eucaristica, fondamentale, e tutto il resto delle specializzazioni. Ma il tema etico è al centro. Etico, non morale. Non si tratta più di prescrivere ricette e comportamenti. Si tratta di inquadrare il «fenomeno umano» dentro una scelta etica di fondo: prendere sul serio i Comandamenti e soprattutto il «Non Uccidere», nella linea di Fratelli Tutti.
La proibizione del Vecchio Testamento va inquadrata nella legislazione ebraica del tempo, che non impediva l’uccisione in guerra o la punizione da parte delle autorità. Del resto nell’Occidente cristiano è stata legittimata la pena di morte, la tratta degli schiavi, le crociate, le persecuzioni contro eretici e mondo protestante.
Abbiamo la necessità di leggere, rileggere e approfondire Antico e Nuovo Testamento. Contestualizzare e andare avanti. Viviamo tempi in cui diventiamo consapevoli del potenziale distruttivo dei conflitti sul tessuto sociale della convivenza tra popoli, vero l’ambiente; comprendiamo con angoscia le possibilità tutt’altro che remote di una distruzione totale dell’intera umanità. Abbiamo bisogno urgente di un approccio che aiuti a riflettere e prendere coscienza della necessità di mettere fuorilegge non solo la guerra ma l’intera gamma dei comportamenti violenti sul piano culturale, religioso, economico, finanziario, sociale, scientifico e tecnologico.
Aiuterebbe comprendere che la scienza e la tecnologia non sono neutrali. La violenza non dipende dal loro uso. La violenza è insita nel fatto stesso che siamo di fronte ad una scienza e ad una tecnologia votate al dominio by design.
E la rotta va invertita. Un segnale la Chiesa lo ha espresso in modo forte e chiaro con la condanna della pena di morte espressa dalla nuova formulazione del Catechismo.
Nell’ambito di questa riflessione, «non uccidere» e «pace» non sono dei vaghi ideali utopici da enunciare sapendo già che verranno trasgrediti. Tutt’altro. Pace e non uccidere si trasformano nel filo conduttore di una fede che assume i dettami della ragione e della ragionevolezza ed è realmente e concretamente collegata al tempo presente. Di fronte al rischio tutt’altro che teorico di autodistruggerci e distruggere tutto con le armi, con le guerre, con i danni ambientali, mettere la parola fine ad ogni tipo di conflitto è la sola maniera per dare all’umanità una via di uscita nel segno dello sviluppo umano e sostenibile.
Non va considerata un’impostazione poco o tanto utopistica, nel senso deteriore del termine. È una prospettiva che presenta un metodo di risoluzione dei conflitti, sapendo che i conflitti esistono e si determineranno ancora. Però vanno smascherati, analizzati, contrastati, secondo un metodo pacifico e ragionevole, perché i popoli non possono vivere in uno stato di guerra permanente tra di loro. E la comune appartenenza alla famiglia umana deve mettere al bando qualsiasi forma di risoluzione violenta dei contrasti.
***
È un imperativo etico assoluto che la Chiesa – come istituzione globale – può e deve prendere sul serio, impegnando la teologia morale a porre l’etica quale punto focale di una riflessione, dopo la quale potranno venire le altre discipline teologiche, ognuna nel proprio campo.
Su questa riflessione-compito per la teologia, si innesta una prospettiva. Il Papa indica tre strade: «al centro della formazione devono esserci la reciprocità e la fraternità»; aggiunge: «la scientificità, da promuovere, da difendere e da sviluppare. Il servizio accademico spesso non gode del dovuto apprezzamento, anche a motivo di radicati pregiudizi che purtroppo aleggiano pure nella comunità ecclesiale»; chiosa: «Il fine del processo educativo e accademico, infatti, dev’essere formare persone che, nella logica della gratuità e nella passione per la verità e la giustizia, possano essere costruttori di un mondo nuovo, solidale e fraterno».
Come fare in concreto? In concreto è l’etica il collante; è la riflessione etica di una rinnovata teologia morale, a fare da collante tra docenti, discipline, studenti. Non si può frequentare una qualsiasi Facoltà in una Università pontificia, senza più di un esame fondamentale e irrinunciabile di Etica Teologica. E senza che tra i docenti e gli studenti ci sia un dibattito serio e costante e profondo, su questa prospettiva.
Ecco il rinnovamento della teologia, ecco la fine del silenzio (colpevole e dannoso) dei teologi di fronte ad un mondo in disastro ecologico e davanti a politiche e politici insensibili nei fatti ai temi epocali della difesa e promozione dei beni comuni.






Che confusione! Eppure vuole “aiutare il Papa, la Chiesa, le Facoltà e le Università, le parrocchie e i laici e le laiche”. Bisogna capirsi prima e poi volersi far capire
Forse la svalutazione della ricerca e dello studio nella Chiesa che non sia conseguenza anche di un pontificato che ha dato priorità al fare, ai gesti dirompenti ed eclatanti?
Facciamo che a volte si invoca la misericordia a volte il rigore, sempre secondo l’interesse del momento. Almeno la dottrina sociale della Chiesa è coerente. (io dico sempre è rotonda, rispetto al desiderio di prenderne solo uno spicchio..)
In ogni caso Laudato si e Fratelli tutti non bastano? Anche Caritas in veritate, o Populorum Progressio, o Pace in terris, a scelta. Alla fine, aveva ragione anche Bergoglio, è necessario mettere in pratica quanto si conosce già in lungo e in largo..
Interessante… unica cosa: in un bel libretto di qualche anno fa, il noto teologo moralista milanese Angelini definiva bene la differenza tra etica (studio dei comportamenti dei soggetti che si percepiscono come “soci”) e morale (studio dei comportamenti dei soggetti che si percepiscono come “prossimi”). Se è così, mi pare che la morale abbia una prospettiva più feconda dell’etica… solo per approfondire.