La scelta del CTI per il seminario annuale[1] (22 marzo 2025) è stata anche quest’anno quella di privilegiare la presenza senza confidare nella partecipazione on line e senza neppure poter attendere atti. Esso diventa così vera e propria esperienza, a conferma di una teologia che si pensa come teologia in contesto.
Abituati ad archiviare files al momento si soffre un po’. Ma forse non è un caso che questo tempo liturgico in cui il lezionario romano e il breviario propongono molte letture dell’Apocalisse, appaia in tutta la sua importanza la riflessione del Seminario del 2025 incentrato, appunto, sull’Apocalisse come testo scritturistico, ma anche nella sua accezione ormai più comune di situazione molto grave, in prospettiva di genere.
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Come si diceva, la connessione tra le due modalità di pensare l’apocalisse non è frutto di una bizzarria. Il testo di Apocalisse che offre parole di consolazione e apertura al futuro in un tempo di sofferenza della comunità cristiana, o almeno di una comunità cristiana, ha un linguaggio di forte impatto in cui la vittoria del giusto ha come versus la sconfitta, talvolta vero e proprio annientamento del nemico.
Silvia Zanconato ha colto il parallelismo delle figure femminili Gerusalemme – la sposa / Babilonia e la profetessa. La prima, la buona, ma silente; la seconda, la cattiva, colei che parla. Ed ecco allora il riferimento al dare parola alle donne che viene negato. I due aspetti, violenza del linguaggio e silenzio femminile, hanno interpellato le esegete e le teologhe femministe sino a giungere, da parte di alcune, a una sorta di emendazione del canone, non riconoscendo nell’ultimo libro della Bibbia cristiana la capacità di offrire prospettiva alle donne.
Zanconato ha proposto l’importanza della consapevolezza della questione del linguaggio, se si può dire, qui più che altrove. Come afferma Elisabeth Schlüsser Fiorenza, il linguaggio di Apocalisse è comprensibile se letto in una situazione di cattività, come è la situazione da cui sgorga, ma diventa linguaggio a rischio se assunto da una comunità che non è nella distretta della persecuzione.
In Apocalisse c’è un vincitore, l’Agnello sgozzato, che rende, forse, più precisa la conclusione. Una comunità che non sia nella sofferenza ma che assuma la prospettiva di Apocalisse in toto, senza considerare lo scarto tra chi scrive e chi legge oggi, almeno in alcune parti del mondo, rischia ancor di più di smarrire la visione fondamentale che contiene tutte le altre. In questo senso la violenza descritta è quella desiderata contro chi emargina. Con Dossetti, verrebbe da dire che è la violenza consegnata a Dio, proprio perché si fa Scrittura. E potrebbe così anche essere ricompresa la differenza tra le donne silenti e quelle parlanti.
Tale osservazione diventa fondamentale: il testo propone parole che non possono e non devono diventare realtà.
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Antonio Autiero ha condotto la riflessione etica che per forza di cose ci ha portato in un linguaggio più pacato e ha mostrato, ancora una volta, che la riflessione di genere non è e non deve essere esclusiva delle donne. La riflessione ha coniugato etica e antropologia per sondare la possibilità della costruzione del singolo e del collettivo. La lettura dell’essere al mondo e del farsi umani e la lettura della città sono i due poli che si toccano nella ambivalenza dell’apocalittica.
C’è l’aspetto negativo che fa correre verso l’immagine alla catastrofe; e c’è l’altro aspetto, che è una sorta di sapienza apocalittica, in grado di evitare di essere schiacciati dalle situazioni anche più tragiche. Per la valenza negativa la parola chiave è angoscia. Nonostante possa avere anche un esito positivo, essa innesca un movimento che isola e che a livello sociale diventa la ricerca dei pochi che possono far sortire dalla situazione apocalittica attraverso l’esercizio del potere. Questa è una modalità più maschile.
Veniamo così a mettere in luce, per altra via rispetto alla lettura biblica, la dimensione patriarcale dell’apocalittica, evidenziando che tale dimensione è legata anche all’oggetto vero e proprio, in questo caso l’angoscia, per cui si cerca chi possa far uscire dal devastante sentimento.
Se questo è lo schema culturale, che diventa anche teologico negativo perché paralizzante, il versus positivo è la speranza. Indagata spesso come attitudine di carattere razionale qui è stata ripresa nella sua dimensione di emozione, senza per altro creare contrapposizioni. In quanto emozione mette in moto, rende abili ad affrontare la trasformazione del mondo. Così delineata la speranza diventa molto simile all’esercizio della virtù della speranza.
Essa può essere risorsa per fare i conti con una cultura insensibile al genere: la capacità di parresia nel leggere la storia e ricavare delle prassi di vita dalla speranza, prassi che diventino vero e proprio programma «politico».
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Il pomeriggio è stato dedicato a quelli che potremmo definire esercizi di resistenza.
Anna Maria Bianco si è concentrata sul come trovare il senso per affrontare il cambiamento climatico, che è accompagnato da indifferenza e vari negazionismi, tutti solidali con le ragioni del capitale. La lettura delle esperienze buone, seppur minoritarie, diventa fonte di speranza anche là dove impera il dolore per la triste combinata di indifferenza al clima e attenzione esclusiva alle leggi di mercato.
L’Apocalisse, in una lettura liberata dalla prospettiva patriarcale e dunque violenta, pone in realtà davanti a una scelta: leggere il creato come ormai finito, oppure custodire e coltivare speranza, per dirla con le parole di Autiero.
Si tratta di avere ben chiari i rapporti di potere che ci hanno portato alla situazione contemporanea e cogliere nella catastrofe i segni di un nuovo inizio. Segni che per forza vengono dalla «fine del mondo», là dove la catastrofe si delinea in modo chiaro, come altrettanto chiaro è il potere che tende a far soccombere. Il valore di rivelazione ci insegna a non temere la crisi e la catastrofe come travaglio. Essa assume il volto della situazione in cui si può mettere in luce la presenza di Dio, perché ci mette a nudo e diventa luogo di nuove configurazioni della comprensione della realtà che contenga il carico simbolico e valoriale dell’evento distruttivo.
Il punto è delicato ed è stato anche discusso in assemblea. L’esperienza mistica di Etty Hillesum pare possa porsi come luogo esplicativo di questa possibilità, nonostante la relazione di Bianco indicasse piuttosto esperienze di lotta per la custodia della terra, esempi di resistenza attiva di comunità che si uniscono per affrontare le sfide etiche e sociali poste dalle catastrofi. Il nostro tempo è caratterizzato dalle catastrofi e per questo è necessario adottare posture che ci facciano stare in essa, per poter giungere a vedere il volto del Dio che rinnoverà la terra.
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La relazione di Isabella Bruckner ha introdotto alla mistica Etty Hillesum, in dimensione spirituale, quale occasione per mostrare come le donne custodiscono ciò che può morire o ciò che può rinascere. Sappiamo che è impossibile definire in termini religiosi l’esperienza della giovane donna olandese. nel legame tra esperienza e vita che ci offre nel suo diario un itinerario di vita difficile, da definire a rischio di tradimento. Per i canoni classici, il suo rapporto con l’amicizia e l’amore, che non separava dall’espressione sessuale, l’ha emarginata. Ma il suo rapporto quasi cristico là dove definisce le proprie esperienze amorose al campo come momenti in cui ha dato “da mangiare il proprio corpo a chi ne aveva bisogno come il pane” sono forse un linguaggio oggi comprensibile.
E sono il primo aspetto dei tre che Isabella Bruckner ha evidenziato: l’esperienza di amicizia e amore, la relazione con Dio, prima scritto tra virgolette e poi realtà cui si rivolge e, infine, la scrittura, non sono aspetti separati.
Essi, in realtà, sono concatenati e hanno permesso a Etty Hillesum di curare l’amore e la poesia mentre si rendeva testimone del proprio tempo, vivendo l’attesa di un tempo nuovo, di un nuovo umanesimo in cui gli orrori della guerra sarebbero finiti e anche Dio, custodito nel cuore, avrebbe potuto farsi presente. Secondo la famosa e forte citazione secondo cui nei tempi bui anche Dio ha bisogno di aiuto.
Quest’attesa che è tempo di salvezza in compagnia di un Dio che non vince con la forza sbaragliando l’umano, ma che si ritrova nel cuore vulnerabile di uomini e donne che attendono una nuova alba, fa della mistica olandese una testimone della capacità tutta femminile di stare nell’apocalisse del tempo come il testo della Scrittura chiede: vulnerabili ma consapevoli del dono promesso.
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Come sempre, la lettura di genere non è un approccio che si possa scegliere o meno e non è neppure per sole donne, ma riesce a indicare vie per tutti. Grazie alla relazione di Zanconato e Autiero si è visto come la lettura di genere aiuta a disinnescare ermeneutiche non consapevoli della violenza patriarcale. Tale lettura mostra come le donne sappiano, per storia e non per natura, vivere meglio la vulnerabilità, custodendo una via che sia vita per tutti, senza cadere nell’opposizione tra l’io e le relazioni.
Questa è stata indicata come prospettiva capace di costruire un’ecclesiologia nuova per la Chiesa cattolica. Davanti però al dramma degli abusi, così terribilmente trasversale, viene da pensare che la capacità di saper ascoltare e accogliere la voce delle vittime, perché possano trovare spazio per dirsi, è un dono per tutte le chiese.
Secondo Segoloni, l’aiuto specifico che viene alla Chiesa cattolica dal riprendere i temi del testo di Apocalisse in una prospettiva di genere è legato al maturare la consapevolezza di essere sempre vulnerabili di fronte alla storia. Negarne l’influsso significa cadere in false ricchezze, come la sicurezza di essere una Chiesa sempre garantita dalla presenza dello Spirito, come Laodicea, che alla fine provoca disgusto.
Interessante la riformulazione dell’infallibilità ecclesiale che ne deriva. Non si tratta di pensare una Chiesa che sia immune dagli errori: la storia smentisce brutalmente questa visione e la Chiesa ha spesso dovuto chiedere perdono per scelte del passato. Si tratta piuttosto di immaginare una Chiesa a cui è offerta sempre la capacità di permanere nell’annuncio del Vangelo, nonostante gli errori.
[1] «Le donne, il drago e le stelle. Dentro le apocalissi di questo tempo», Roma 22 marzo 2025.