
Ripensare il cristianesimo oggi richiede più di una riformulazione dottrinale; richiede un impegno trasformativo dell’intero quadro ermeneutico attraverso il quale la fede cristiana è stata compresa, espressa e vissuta.
La tesi centrale è che il rigido monoteismo ebraico, quando è stato tradotto nel quadro teologico cristiano attraverso la dottrina della Trinità, si è evoluto in una forma relativa di monoteismo. La formulazione trinitaria ha fatto sì che l’essenza divina venne compresa secondo una profonda relazionalità che ai suoi albori (teologia prenicena) suggeriva una struttura più profonda di unità tra il divino e il mondano. Tuttavia, questa intuizione teologica non è stata pienamente realizzata. Il concilio di Nicea – di cui celebriamo i 1700 anni – non ha completato del tutto il suo obiettivo. La teologia cristiana è invitata a fare un ulteriore passo avanti, non allontanandosi dal monoteismo trinitario, ma andando oltre.
In questo ci può aiutare l’altro anniversario che durante questo anno celebriamo: i settant’anni della morte di Teilhard de Chardin. Il 10 aprile 1955, infatti, moriva a New York il gesuita francese, teologo e paleontologo, Pierre Teilhard de Chardin. La sua visione cristologica offre un indizio fondamentale. Secondo Henri de Lubac, Teilhard sognava un nuovo Concilio che completasse quello di Nicea. Se il primo aveva definito la relazione di Cristo con Dio nella Trinità, il nuovo Concilio avrebbe esplorato il legame tra Cristo e l’Universo. Teilhard immaginava una cristologia che integrasse la scienza e l’evoluzione, collegando Cristo non solo alla Trinità, ma anche all’intero Universo in evoluzione, vedendo così il cosmo come il corpo mistico di Cristo[1].
Egli parla di una «terza natura» di Cristo, al di là della tradizionale affermazione delle nature divina e umana, ovvero la natura cosmica. «Questo terzo aspetto del Verbo incarnato non è stato sufficientemente distinto dagli altri due»[2]. La figura di Cristo è stata tradizionalmente interpretata attraverso una doppia lente: l’uomo storico Gesù da una parte e il Verbo eterno, il Logos divino, dall’altra. Tuttavia, questo quadro binario ha oscurato la dimensione universale o cosmica della cristologia. Questo aspetto, sebbene implicitamente presente nella Scrittura e nella tradizione, non è stato adeguatamente integrato nell’immaginario teologico dei fedeli. Specialmente, dopo Nicea.

Eppure, questo Cristo universale è di fondamentale importanza. È in Cristo che tutte le cose sono state create e in lui tutte le cose sussistono − in quo omnia constant[3]. Questo è il Cristo che, lungi dall’essere limitato alla Palestina del I secolo, abbraccia la totalità dell’esistenza e conduce tutta la realtà alla sua consumazione. Tuttavia, alla luce degli sviluppi contemporanei nella scienza, nella metafisica e nella spiritualità, la teologia cristiana è invitata ad attingere a «nuove categorie sviluppate da altre conoscenze» per comunicare la verità della fede in modi fedeli alla tradizione ma criticamente in sintonia con il presente[4]. La categoria che ci permette di riconsiderare criticamente il teismo di Nicea è quella di «relazione», in particolare quando è compresa nella sua articolazione di generazione.
La distinzione tra generato dal nulla (creatio ex nihilo) e generato da Dio (generatio de deo) è stata centrale soprattutto nel confronto tra filosofia greca e pensiero cristiano, prima e dopo Nicea. Generato dal nulla significa che qualcosa viene all’essere senza una materia preesistente. Non implica che ci sia «un nulla» che genera, ma che prima non era e poi comincia a essere. È la concezione tipica della creazione del mondo nella teologia giudaico-cristiana: Dio non plasma un materiale eterno (come il demiurgo platonico con la chōra nel Timeo), ma fa esistere ciò che prima non c’era. Qui si sottolinea soprattutto la dipendenza ontologica della creatura dal Creatore: tutto ciò che esiste avrebbe potuto non essere, e il suo essere è radicalmente donato.
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Generato da Dio è un linguaggio che si applica soprattutto al rapporto intra-divino. Il concilio di Nicea ha voluto «decidere» della distinzione tra creatio ex nihilo e generatio de substantia dei patris (homoousia). Teologicamente, nel cristianesimo, il Figlio è detto generato, non creato («generato dal Padre prima di tutti i secoli»). Qui la generazione è eterna, non ha un prima e un dopo. Non è dal nulla (ex nihilo), ma dalla stessa sostanza del Padre (de substantia divina).
Quando si dice che il mondo è «generato da Dio», bisogna chiarire: o si parla in senso creaturale, e allora significa che Dio lo ha creato ex nihilo; o si parla in senso emanazionista (alla Plotino), e allora il generato procede da Dio per sovrabbondanza, senza rottura, come luce che si diffonde dal sole. Nel modello emanazionista, la sostanza divina è ciò da cui proviene e dipende il mondo (ex deo).
La distinzione introdotta da Nicea (generato, non creato) è dunque essenzialmente questa: «dal nulla» riguarda l’origine delle creature, che ricevono l’essere senza alcuna materia o principio intrinseco; «da Dio», invece, riguarda l’origine del Figlio e dello Spirito «dalla stessa essenza divina» del Padre. Va tenuto presente che questa origine dal Padre è di «dipendenza», necessaria e non aggiunge nulla a Dio. Queste tre caratteristiche: (1) dipendenza, (2) necessità, (3) che non aggiunge nulla, qualificano tanto la generazione intra-divina che quella extra-divina (creatio). Ciò che le differenzia è che per la prima (intra-divina), è il Figlio della stessa sostanza del Padre (homoousia), mentre per la seconda “non” è dalla stessa sostanza del Padre.
La decisione di Nicea ha introdotto un’epocale scissione (decisione) tra Dio e mondo. L’uomo Gesù è stato isolato dalle altre creature, per riconoscerne così la sua divinità. Il risultato è che il Dio è stato pensato «senza» la creatura. Questa decisione nicena ha per così dire preparato l’humus per quell’affermazione di Nietzsche in Così parlò Zarathustra, «Le isole beate», che dice: «Se vi fossero degli dèi, come potrei sopportare di non essere dio! Dunque, non vi sono dèi». Da Nicea a Nietzsche, il passo è logicamente breve.
Alla domanda perché non si possa dire che il mondo è generato dalla sostanza di Dio, la risposta tradizionale è che se il mondo fosse generato dalla sostanza di Dio, allora il mondo sarebbe Dio stesso o almeno una sua parte. Ciò contraddirebbe la trascendenza, perché Dio non si confonde con la creazione ma ne resta distinto. Implicherebbe una forma di panteismo o di emanazionismo, incompatibile con la fede monoteista classica. Solo il Figlio e lo Spirito sono «dalla sostanza di Dio». Il mondo è creato ex nihilo per libera volontà, non per necessità naturale. Inoltre, se il mondo fosse dalla sostanza di Dio, questo significherebbe che Dio si divide o che la sua sostanza è comunicabile. Ma la sostanza divina è intesa come semplice, indivisibile, infinita: non può cedere una parte di sé senza corrompersi. Il mondo non può avere in comune con Dio la sostanza, ma solo la dipendenza causale.
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Queste obiezioni, tuttavia, non reggono, poiché anche per la generazione del Figlio potrebbero essere sollevate. Tuttavia, la teologia nicena ha ampiamente risposto, dicendo che la generazione dal Padre non implica una diminuzione dell’essenza divina. Il nucleo centrale della questione rimane quello della scissione tra Dio e mondo, decisa a Nicea.
La contingenza del mondo è da fondare non tanto sul libero arbitrio divino (avrebbe potuto anche non creare il mondo) quanto sulla “dipendenza” del mondo da Dio. Come il Figlio è stato generato dal Padre non per arbitrio, cioè poteva anche non generarlo, e nemmeno per costrizione esterna, ma per sua spontanea volontà (necessità «interna»), così il mondo è stato creato non per necessità esterna e nemmeno per arbitrio divino. Il mondo è stato creato dall’essenza divina (ex essentia dei). Il Figlio dipende dal Padre, così come il mondo da Dio.
La visione emanazionista come quella neoplatonica, in cui si immagina l’Uno che emana il mondo come luce dal sole, potrebbe essere un’alternativa. L’Uno resta oltre ogni emanato: non si impoverisce, non si divide. La teologia cristiana ha respinto questa immagine perché introduce un processo necessario: Dio non può non generare il mondo. La contingenza del mondo, tuttavia, non è data dal «poter-non-essere» del mondo, in quanto effetto di una decisione libera. In Dio non c’è un prima e un dopo – in quanto eterno. Il poter agire altrimenti non si dà in Dio. La sua libertà coincide con la sua necessità.
Le obiezioni secondo cui il mondo non è generato dalla sostanza di Dio, perché ciò implicherebbe panteismo, divisione della sostanza divina e una necessità naturale, non reggono. Affermare che il mondo è creato ex nihilo non contraddice che sia stato creato ex Deo. L’idea di creazione ex nihilo implica che il mondo dipende in tutto da Dio ed è sostenuto continuamente da Lui. Solo in questo preciso senso, il mondo è contingente (cum-tangens), cioè «accade insieme» a Dio. Così, sebbene la tradizione cristiana sottolinei la differenza infinita tra Dio e mondo, si può anche dire in un certo senso che la creazione è ex Deo, senza cadere nel panteismo, intendendo con questo che tutta l’essenza della creatura è da Dio «ex Deo essentia» (Tommaso d’Aquino, Summma theologiae, I, q. 41, art. 2, ad secundum).
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C’è da chiedersi: affermare che il mondo esiste «ex essentia Dei» significa identificare Dio con il mondo?
Ritengo di no. Il mondo non aggiunge nulla a Dio. La sostanza divina non ha bisogno del mondo per essere Dio. Allo stesso tempo, Dio e mondo si co-appartengono eternamente. Ciò che distingue Dio e mondo è che «Dio» è Dio assolutamente, mentre il mondo è «Dio da Dio», relativamente.
L’idea che il mondo non aggiunge nulla a Dio salvaguarda la pienezza e autosufficienza divina. La sostanza divina è perfetta, infinita, non manca di nulla. Perciò il mondo non aumenta Dio nel suo essere, né gli conferisce qualità nuove. Si tratta di una dipendenza asimmetrica, cioè il mondo appartiene a Dio, ma Dio non appartiene al mondo. Il mondo è una partecipazione finita dell’essere divino e non c’è creatura senza il Creatore; se Dio crea, allora vi è necessariamente un mondo, ma non perché Dio dipenda dal mondo. Che Dio crei il mondo non è una decisione successiva o consecutiva al suo essere Dio. Dio (x) è l’atto della sua decisione eterna di creare il mondo (x + y).
Dio non è identico al mondo (x ≠ y) ma il mondo è in Dio. Dio trascende il mondo, ma lo include. La co-appartenenza non è reciproca. Benché il mondo sia in Dio come manifestazione e Dio sia nel mondo come presenza che lo sostiene, il mondo non «accresce» o fa «diventare» Dio più Dio. Questo permette di dire che Dio resta immutabile e perfetto. Una formula sintetica è questa: Dio è indipendente dal mondo quanto al suo essere, ma Dio e mondo si co-appartengono (x + y) quanto alla relazione di creazione. Il mondo è totalmente relativo a Dio, Dio è assoluto ed è legato al mondo non totalmente ma relativamente. Questa «co-appartenenza» identifica l’essere di Dio (x = x + y) e fa sì che il mondo sia riconosciuto «Dio da Dio».
Dio e mondo sono i due modi con cui la sostanza divina (θεός) si definisce. Il modo «infinito» della sostanza è il Dio (ὁ θεός). Il modo «finito» della sostanza è la creatura. Ἐν ἀρχῇ ἦν ὁ Λόγος, καὶ ὁ Λόγος ἦν πρὸς τὸν Θεόν, καὶ θεὸς ἦν ὁ Λόγος (Gv 1,1).
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Angela da Foligno esclama con stupore davanti alla pienezza divina che vedeva presente nel mondo: Est iste mundus pregnans de Deo! «Questo mondo è gravido di Dio!». La parola latina pregnans, da cui deriva l’inglese «pregnant», ha origine da prae- (prima, davanti) e gnascī (nascere). Etimologicamente, suggerisce uno stato di essere prima della nascita, un portare avanti, un contenere dentro di sé ciò che non è ancora pienamente manifesto ma è intimamente reale e in fase di formazione attiva.
Dire che il mondo è «pregno di Dio» non è solo un’espressione poetica, ma è affermare una fecondità nascosta nel cuore della realtà. Suggerisce che la divinità non è assente, ma ha in «gestazione» dal suo interno, l’intero creato. Questo mondo, come un grembo materno, porta in sé il mistero di Dio, non come un architetto lontano, ma come fonte interiore di vita, movimento e divenire.
Le parole luminose della Beata Angela da Foligno (1248-1309) offrono più di una visione mistica[5].
La divinità non è una realtà esterna o distaccata, ma la pienezza stessa in cui il mondo vive e si muove. Vedere il mondo come pregnans de Deo significa adottare lo sguardo contemplativo della stessa Angela, uno sguardo che non percepisce solo con gli occhi, ma con l’anima. Significa riconoscere che quanto è stato confessato a Nicea (homoousia) ha bisogno di essere contemplato di nuovo. La Trinità di Dio non solo guarda dall’alto il mondo – come dice Sant’Ignazio di Loyola nei suoi Esercizi Spirituali (n. 106), ma ci riguarda. È un mistero radioso di potenziale divino: la storia, l’umanità e il cosmo sono tutti coinvolti in una dinamica di divinizzazione.
Con questo sguardo contemplativo riprendiamo Nicea. Il Logos è il mo(n)do di Dio.
Paolo Gamberini, religioso gesuita e teologo, ha presentato la sua proposta sistematica di ripensamento «post teista» del cristianesimo nel suo Deus duepuntozero (Gabrielli, San Pietro in Cariano, 2022). Ne ha offerto una presentazione sintetica («Sulla mia proposta “post-teista”: una risposta») qui su SettimanaNews (gamberini.p@gesuiti.it)
[1] Cf. Henri de Lubac, Teilhard: missionnaire et apologiste, Toulouse, Éditions Prière et Vie, 1966, 37-38.
[2] Pierre Teilhard de Chardin, «Suggestion for a New Theology», in Christianity and Evolution (New York: Hartcourt, 1969), 179-180.
[3] Pierre Teilhard de Chardin, Divine Milieu (New York: HarperCollins, 2001), 25.
[4] Papa Francesco, «Motu Proprio: Ad theologiam promovendam», https://www.vatican.va/
[5] Angela da Foligno, «Memoriale VI», in ed. Francesco Santi, La Letteratura francescana. La Mistica, Vol. V [Milano: Mondadori, 2016], 125-127.






Scusate, non ho titoli di studio, ma mi sono sempre documentato sulle opinioni, dico che ormai sono 2000 anni che cerchiamo delle spiegazioni e delle risposte ancor di più da sant Agostino, forse ci stiamo avvicinando,ma credo che un aiuto può darcelo la scienza anche se la strada è ancora lunga, ricordo un passo del vangelo: chi cerca trova e capirà alla fine anche le pietre comanderemo
La forza di pensiero dell’antico amico Paolo Gamberini è come i grandi whisky: distillandosi lungamente nel tempo, si chiarificano e producono risultati di pregio. A differenza di precedenti tentativi, mi pare che – come già evidenziato da Angela – questo guadagni in chiarezza e potenza di raccordo, pur muovendosi (inevitabilmente e per questo meritoriamente!) su un crinale di cui Giuseppe Savagnone menziona i rischi: ma un rischio non è per forza una caduta.
Augurando a Paolo di proseguire al meglio nella sua distillazione di un così prezioso pensiero, non posso non ricordare come il dramma dei nostri giorni sia una secolarizzazione banalizzante e annichilente che non concede più alcuna possibilità a un cristianesimo anche lontanamente apparentato con la “mitologia” (mi si passi l’uso di un termine così complesso), “mitologia” che invece ascolti ogni volta che riesci ad avere ancora il coraggio di entrare in una chiesa. Non si può offendere l’intelligenza delle persone con un pietismo (quando va bene) o un moralismo (più frequente) infarcito di “mitologia cristiana” prodotta da un modo di parlare di Dio e di Gesù che, semplicemente, induce a uscire di chiesa e a non entrarvi mai più. Con una perdita di incalcolabile gravità e dolorosità, dove l’agnosticismo si presenta come il destino e la tentazione più facile.
Caro Giovanni, grazie del commento. Fa piacere. καλός ὁ κίνδυνος. Non solo di whisky ma di “spirito” condivano i teologi del medioevo – Scoto Eriugena, Cusano, Eckhart – le pietanze del banchetto di-vino. Fedeli erano allo spirito di fede, ma avventurosi nelle selve del pensiero. Si è solitari a volte in questo percorso, ma mi sono accorto che tante sono le persone che nel sottobosco approfondiscono i temi della fede con parrhesia intellettuale.
https://queriniana.it/blog/c-e-vita-nell-universo–590
Segnalo questa intervista a Consolmagno pubblicata proprio ieri sul blog della Queriniana.
Cara angela, grazie per la sua indicazione… Consolmagno … un confratello gesuita, tuttavia un po’ americano conservatore. Come si può affermare che Dio “poi, in modo ancora più misterioso, decide di diventare carne, incarnandosi in un luogo e in un tempo determinati”? Uno scienziato quando dialoga con la fede non può dimenticarsi la METAFISICA. Consolmagno introduce una nozione di tempo e di decisione divina che stride come un graffio delle unghie su una finestra. Questa “imprecisione” metafisica è presente – purtroppo – anche in autori della “Deep Incarnation”. Mancano della mediazione METAFISICA. Forse chi è attento un po’ a questo è Denis Edwards, aiutato dal pensiero di Rahner.
Personalmente ammetto di aver apprezzato il libro si Queriniana sull’Incarnazione profonda per due motivi: amo da sempre il platonismo, amo allo stesso modo la Fisica (pur non avendola studiata in Università.)
Chiunque sia in minimo appassionato sa perfettamente che l’universo è mostruosamente grande sia nel tempo che nello spazio. E diventa vedente complesso pensare al l’incarnazione come un singolo evento su un microscopico pianeta che gira attorno ad un sole particolarmente piccolo. Quindi cercare di vedere il Logos divino presente in modo più esteso mi sembra un buon punto di partenza per conciliare la nostra limitatezza. Ci sono milioni di cose che non conosciamo, ma tutte in fondo sembrano in qualche modo obbedire ad una qualche “razionalità” comune, non a caso il mio fisico preferito è Penrose, uno degli ultimi matematici platonici convinto che il rigore della matematica non sia solo uno strumento utilizzato dagli uomini ma aderire alla realtà stessa. Nello stesso tempo Rovelli insiste molto nella relazionalita’ del mondo subatomico. È possibile quindi riconoscere che tutto l’universo è fatto di Logos relazionale. Poi è un campo minato, dove è molto facile debordare in facili entusiasmi intellettualmente disonesti. Mi sembra solo un buon approccio per uscire dalla Terra senza perdere quel filo che ci portiamo dietro da migliaia di anni, la presenza di un Logos relazionale incarnato di cui troviamo traccia non solo sulla nostra Terra ma nell’Universo. Forse si sono sentiti così gli europei che hanno scoperto l’America e si sono trovati davanti uomini così diversi. Ed è stata la scuola di Salamanca a riconoscere che sono Uomini proprio perché dotati di ragione.
Credo che l’interessante discussione che ha mosso l’articolo debba farci chiedere: il teismo è l’unica forma dí cristianesimo possibile? Il teismo è l’unica e sola forma della fede cristiana, per cui un non teismo, un’ ana-teismo, un post-teismo o qualsiasi altra forma di concezione di Dio che non sia quella del monoteismo trinitario è per sua definizione incompatibile con il cristianesimo? La storia del pensiero cristiano è molto più ampia e differenziata del monoteismo trinitario dei concili. Celebrare Nicea significa anche rammentare la varietà di questi cristianesimi sottorranei e fecondi
Il nulla semantizzato come assoluto non essere è aporetico. Il nulla relativo non è aporetico.
Cara Angela, il post-teismo – come ormai molti autori lo riconoscono – si dice in molti modi. In prossima pubblicazione, ci sarà un mio volume in cui cerco di dare alcune indicazioni per muoversi in questo galassia post-teistica. Da parte mia, preferisco un modo di post-teismo che è articolato secondo quello che ho chiamato Monismo Relativo. Anche su questo tema, un prossimo volume verrà pubblicato. Cosa intende fare il MR? Ricollegarsi a quella profonda tradizione teoogico-filosofica del neo-platonismo in cui il rapporto tra Dio e mondo è mediato dall’idea di partecipazione. Non c’è altro, oltre Dio ma c’è tutto “in” Dio. Il cristianesimo è stato e può di nuovo essere riletto secondo l’intuizione dell’unione ipostatica: creatum et increatum sunt unum. Preferisco “unum” a “unus” per mantenere la dizione calcedonense (e non neo-calcedonense del Constantinopolitano II). L’unum (x + y) è ciò che il MR indica con l’equazione: x = x + y. Dio (x) e mondo (y) sono unum (+) in Dio. Nicea (325) si è soffermato sulla divinità di Gesù; un altro Nicea (III ?) deve sottolineare la divinità di tutto il creato (il cosmoteandrismo di Panikkar). In questo modo la partecipazione (o divinizzazione) del mondo è TEOFANICA. Il mondo è pieno di dèi (Talete). Il mondo è gravido di Dio (Angela da Foligno).
Grazie, ho già letto Soffia dove vuole di Boff e Incarnazione profonda, per cui mi sembrava di capire che la relazione tra Dio e il Cosmo rimane trinitaria: creazione, incarnazione profonda, Spirito Santo che sostiene, detto molto grossolanamente. Da una parte recupero del medioplatonismo (Anche Origene?) dall’altra dialogo con la fisica contemporanea e risposta alle sfide ecologiche.
Poi vediamo in che direzione andrà…
Mi sembra corretta l’esigenza espressa da Gamberini, sulla scia di Teilhard, di sviluppare e approfondire il rapporto tra Cristo e l’universo. L’impressione, però, che si trae dalla sua riflessione, in questo articolo come altrove, è che il prezzo di questo sia, alla fine, la negazione della unicità e irripetibilità del Figlio – «generato, non creato» -, identificato con il cosmo che, se non capisco male, Gamberini ritiene generato allo stesso modo del Figlio. Il punto è che per lui la creazione dell’universo è necessaria quanto la generazione del Logos: «La contingenza del mondo (…) non è data dal «poter-non-essere» del mondo, in quanto effetto di una decisione libera. (…) Il poter agire altrimenti non si dà in Dio. La sua libertà coincide con la sua necessità». La tradizione cristiana non ha mai accettato questo. Perciò ha sempre ritenuto che la creazione sia un atto libero, nel senso che Dio poteva non creare il mondo. Mentre invece non può non generare il suo Pensiero, il Figlio. Quello che Gamberini dice della generazione del Figlio – «è stato generato dal Padre (…) per sua spontanea volontà» è vero della creazione del mondo, non della generazione del Logos, che non è frutto di un «atto di volontà», ma è il Pensiero connaturale al Padre. Un Dio senza mondo, nella visione cristiana, sarebbe ipoteticamente concepibile, un Padre senza Figlio no. Questo si è sforzato esplicitamente di sottolineare Nicea insistendo sulla differenza tra generazione e creazione.
“identificato con il cosmo” non so bene Gamberini ma per alcuni non si tratta di identificare con il cosmo quanto di pensare ad una incarnazione profonda che non abbracci solo l’uomo ma anche il cosmo. Sulla via più o meno del discorso paolino: ” “tutta la creazione geme ed è in travaglio”.
https://www.settimananews.it/teologia/teologia-della-incarnazione-profonda/
Segnalato anche qua mesi fa.
Cara Angela, grazie della tua nota di commento. Anche per quanto riguarda la corrente teologica della “Incarnazione Profonda” va precisato che non portare alle sue conseguenze ultime ciò che sostiene fa sì che ne sminuisca la novità. Il Logos incarnato non va inteso nella sua esclusività dell’uomo Gesù ma comprende e si estende a tutto il creato. Se da un lato si afferma che “questo” Gesù è Logos, si deve affermare anche che tutto ciò con cui questo Gesù è collegato (carne della sua carne!) è assunto dal Verbo. La grammatica ipostatica (Gesù è il Logos) indica un’identificazione che non si ferma a questo Gesù ma al creato intero. Questa è la dimensione cosmica dell’incarnazione. Per questo è essenziale l’identificazione con il cosmo. “È in Cristo che abita corporalmente tutta la pienezza della divinità, e voi avete in lui parte alla sua pienezza” (Col 2,9-10). La realtà è Cristo” (cf. 2,17).
Il collegamento di Gen 1:1 e Gv 1:1 indica che l’ “in-principio” è il luogo/logos in cui “sta” il mondo. Massimo il Confessore – in particolare – evidenzia come il LOGOS e i logoi sono “uniti” (nel mio testo uso il termine co-appartenenza nel senso della relazione asimmetrica). Sono d’accordo con Lei nell’affermare che l mondo è creato “con” il suo verbo, direi meglio ancora il mondo è creato “nel” suo Logos. Ciò che Nicea non ha sviluppato (a differenza di Massimo il Confessore, ma ancora in modo insufficiente) è il legame tra LOGOS e LOGOI, increato e creato. I logoi (rationes, idee, universali e particolari) sono manifestazioni del Logos, sue teofanie.
«Il Logos di Dio è il creatore del mondo; è unico, ma contemporaneamente è molteplice. In quanto presente nel mondo, è, insieme, unito e distinto dalla differenza che esiste tra le varie cose create, per effetto della loro peculiarità non confusa, l’una con l’altra e con se stesse. E viceversa, i molti logoi sono uno solo, perché essi sussistono, ugualmente non confusi, e tutti vengono ricondotti al Logos che è Dio […] Il Logos divino, infatti, possiede in sé i logoi di ciò che è stato creato» (Claudio Moreschini , “L’immanenza di Dio nel mondo : il Logos e i logoi delle cose nel platonismo cristiano”, in Etudes Platoniciennes, 5 (2008), 101-115).
Riconoscere che il mondo è “da Dio” e “sussiste” nel Logos significa affermare che l’essere del mondo non è altro da Dio, ma è lo stesso essere in modo differente: assoluto “il Dio” e relativo “il mondo”, così come 5×2 (creato) = 10 (Dio). Il 5×2 non è qualcosa di 10 ma è tutto 10. Così il creato è “tutto” Dio, benché non “totalmente”, cioè non lo esaurisce. Su questo si può far riferimento alle riflessioni di Padre Giuseppe Brazaghi O.P. sull’Examplar. Mi limito a citare Bernardo di Chiaravalle): “Deus suum ipsius et omnium esse”
Non si può affatto affermare che il panenteismo è “incompatibile” con il cristianesimo . È vero che il termine “panenteismo” è stato coniato nel XIX secolo da Krause, e non può essere così facilmente retroproiettato. Tuttavia, l’idea che in Dio sia il mondo (così come il corpo è nell’anima) è presente fin dai primi Padri della Chiesa fino ai giorni nostri, appunto fino a Teilhard e oltre lui (cf. John W. Cooper, Panentheism: The Other God of the Philosophers: From Plato to the Present Hardcover, 2006)
Spero che queste idee importanti sul teismo di Nicea siano riprese in altre occasioni.
Atanasio distingue thelo da boulomai, volere per desiderio e volere per scelta. Il padre vuole generare il Figlio (thelo) e sceglie di creare il mondo (boulomai). La libertà intratrinitaria si distingue da quella extratrinitaria per l’origine . Ex Deo ed ex nihilo. La questione è stata riproposta dalla cristologia nel XIX secolo con La riflessione di Jüngel, Moltmann, Rahner e Pannenberg. La questione del generato e creato non è stata risolta. Per quanto riguarda l’unicità di Gesù di Nazareth e l’universalità è stata la distinzione tra Cristo e Gesù nel dibattito sul pluralismo religioso che ha aiutato a riflettere che il Verbo assumendo la natura umana ha assunto non solo il genere umano ma anche il creato. Nel Logos i logoi come afferma massimo il confessore. L’agenda di Nicea non è conclusa. È aperta ad essere approfondita
Piccolissima nota di merito. Grazie di questi tuoi interventi, Paolo: un articolista che non entra in dialogo con i suoi commentatori, fosse anche il Papa, credo sia un articolista poco serio, o forse semplicemente ancora troppo convinto di doversi mantenere nella propria posizione “ex cathedra”. Tu scegli consapevolmente di fare altro, e questo nobilita e mobilita questo spazio. Credo tra l’altro che sia questo il modo migliore per ottenere che i commentatori vadano poi ad autoselezionarsi in modo naturale. Spero che altri autori vadano nella tua medesima direzione.
Grazie, padre Gamberini, della disponibilità al dialogo e dello sforzo fatto per trovare una strada teologicamente seria per includere il cosmo nella prospettiva trinitaria. Ma quella da lei indicata mi sembra esposta in modo grave al pericolo del panteismo. dire che «Dio e mondo sono i due modi con cui la sostanza divina (θεός) si definisce. Il modo “infinito” della sostanza è il Dio (ὁ θεός). Il modo “finito” della sostanza è la creatura» va benissimo per Plotino e per Spinoza, ma non per il teismo cristiano. Il punto è che per lei il mondo è necessario quanto il Verbo ed è sul suo stesso piano e, rispondendo alla mia obiezione dicendo che «Atanasio distingue thelo da boulomai, volere per desiderio e volere per scelta. Il padre vuole generare il Figlio (thelo) e sceglie di creare il mondo (boulomai», in realtà lei conferma che per lui c’è una profonda differenza tra il modo in cui il Padre si rapporta al Verbo e quello in cui si rapporta al mondo. Il mondo poteva non essere creato. non è così per il Verbo. Perciò, scrive Agostino, «in principio era il Verbo. Se il Verbo fosse stato creato, la Scrittura direbbe: “In principio Dio creò il Verbo”, come dice nella Genesi: In principio Dio creò il cielo e la terra. In principio, dunque, Dio non creò il Verbo, perché: In principio era il Verbo. (…). Il Verbo era Dio» (Discorso 119,2). Il mondo , secondo Giovanni non è Dio, mente lo è il Verbo, perciò non è “in principio”, come il Verbo, ma viene creato da Dio col suo Verbo. Sostenere che «Dio e mondo si co-appartengono e che «questa «co-appartenenza» identifica l’essere di Dio e fa sì che il mondo sia riconosciuto “Dio da Dio”», mi sembra francamente in pieno contrasto col testo giovanneo, oltre che col concilio di Nicea.
La sua lettura del Prologo è segnata da quel dualismo che dopo Nicea ha segnato la cristologia. Il dualismo tra generato e creato, così come tra figliolanza di natura e figliolanza adottiva. Gv 1,1 e Gv 1,14, sono uno stesso movimento di Dio: “motus dei” dice Origene nel suo Commento al Vangelo di Giovanni. Così come il Figlio è generato (Gv 1,18) perché noi fossimo generati in lui (Gv 1,12). Il Padre vuole generare il Figlio con la stessa libertà con cui crea il mondo. Non si tratta di due momenti, di cui uno “prima” dell’altro”. Assurdo parlare in tal modo di Dio. Non c’è una generazione eterna e poi ad un certo punto (quando mai, se non c’era tempo prima della creazione) è stato creato il mondo. Assumere il creato nella libertà di scelta (arbitrium divinum) significa rendere non solo irrilevante il mondo per Dio ma rendere il concetto di Dio contraddittorio. Sia Jüngel e per altri motivi Severino affermano che una teologia della creazione che parlasse così di dio si rende insensata. Dio non è soggetto al poter creare e non creare. Dio è “potestas creandi”. Dove c’è la creatura, lì il creatore, e viceversa. Ma non si tratta di PANTEISMO proprio perché è una relazione A-SIMMETRICA. Dio + mondo = Dio. Il mondo non aggiunge nulla a Dio, mentre tutto l’essere del mondo è “da Dio”. Il mondo non è contingente perché poteva anche “non” essere, ma è contingente perché “dipende” totalmente da Dio. Il mondo è “da Dio” totalmente. In questa radicale dipendenza da Dio è “mondo”. Il mondo è “da Dio” (ex Deo). Ma il mondo “sussiste” in Dio. La dipendenza che costituisce l’essere del mondo “sussiste” in Dio. Il mondo fa sussistere la sua dipendenza (= relatività) in Dio. Tale “sussistenza in Dio” è Dio stesso. PAN-EN-TEISMO. Il mondo è “da Dio” in quanto relatività ed è “Dio” in quanto la relatività del mondo sussiste in Dio. “Dio da Dio” Il logos dice la sussistenza del mondo in Dio. “In Lui tutto sussiste” (Col 1,17). Dal punto di vista del finito (sub specie creaturae), il mondo è la dipendenza da Dio in quanto creato. Dal punto di vista dell’infinito (sub specie dei), il mondo non è altro che il Logos di DioUn conto è la sussistenza (generatio) della relatività del creato in Dio, un altro conto è la relatività in quanto tale della creaturalità (creatio). Tuttalpiù si tratta di “pan-en-teismo”.
Grazie della risposta, padre Gambrini, ma lei si rende sicuramente conto che è più un ribadire i suoi argomenti che non un superamento delle difficoltà che vedo nella sua posizione e che a mio avviso la rendono incompatibile con il teismo cristiano (lo sarebbe anche il pan-enteismo, che lei evoca come alternativa al panteismo). Attraverso questo confronto, comunque, abbiamo messo i lettori in grado di riflettere ed è, credo, lo scopo di un dibattito che evidentemente, per la complessità del tema, non può esaururirsi in queste poche righe.
Articolo molto interessante. Questa frase colpisce, tuttavia: “Dio e mondo sono i due modi con cui la sostanza divina si definisce”. In primis rispetto alla Scrittura (penso non solo alla Genesi, ma all’inizio del Vangelo secondo Giovanni), sembra che le spiegazioni dell’autore non bastino a togliere un equivoco che sa di panteismo…
Vero, però è un filone potenzialmente fecondo, che qualcuno porta avanti anche recuperando la visione dei Padri, Ireneo fra tutti.
il panteismo dice dell’identità assoluta tra Dio e mondo (x = y); il Monismo Relativo, invece, dell’identità relativa (x = x + y). Dunque, non è panteismo ma pan-en-teismo o meglio ancora MR. Bisogna ritornare al Commento al Vangelo di Giovanni, Libro II, 17-18 di Origene: «Dio (ὁ ϑεός) è Dio-in-sé (αὐτόϑεος); e per questo anche il Salvatore nella sua preghiera al Padre dice: “Che conoscano te, unico vero Dio”. All’infuori del Dio-in-sé, tutti quelli fatti Dio per partecipazione alla divinità di lui si devono chiamare più propriamente “Dio” (ϑεός) e non “il Dio” (ὁ ϑεός). Tra questi, di gran lunga il più augusto è il “primogenito di ogni creatura”, in quanto, in virtù dell’esser “presso Dio”, per primo trasse a sé la divinità, divenuto poi ministro di divinizzazione per gli altri dèi che sono dopo di lui (e dei quali Dio è Dio, secondo quanto dice la Scrittura: “Il Dio degli dèi parlò e convocò la terra”), attingendo da Dio e comunicando loro abbondantemente, secondo la sua bontà, perché fossero divinizzati. Vero Dio è dunque “il Dio” (ὁ ϑεός) coloro invece che sono dèi, in quanto prendono forma da lui, sono come immagini di un prototipo (εἰϰόνες προτοτύπου). E l’immagine archetipa delle varie immagini è “il Logos che era presso Dio”, che era “nel principio”; egli rimane sempre Dio per il fatto di essere presso Dio; e non avrebbe questo se non rimanesse presso Dio; non rimarrebbe Dio se non perseverasse nella contemplazione perenne della profondità del Padre»
Quando : Dio è tutto in tutte le cose, e, la natura (che siamo) è Dio nelle cose, che necessità avrebbe Dio di modificarsi di evolvere di migliorare se è già Dio ? Allo stesso modo, come potrebbe esistere qualcosa che non è Dio? Qualcosa al di fuori di Esso Significherebbe un Dio parziale, che non è tutto, non assoluto, non completo,un Entità perciò che non potrebbe essere Dio.
paragona Dio al numero 10 e le creature alle sue molteplici operazioni (5×2, 30:3, 12-2, 8+2, etc..) Le creature sono Dio così come ogni singola e tutte le operazioni (5×2, 30:3, 12-2, 8+2, etc..) sono 10, benchè nessuna di esse lo esaurisce. Non è panteismo, dunque, quello che affermo. Ma panenteismo. Il più che è Dio – rispetto alle creature – non del finito ma è l’eccedenza dell’infinito. Dio + mondo = Dio. Il mondo non aggiunge qualcosa a Dio perché sia Dio. così come Di non è originariamente senza il mondo. Che Dio “sia” con il mondo (x = x + y) è la sua struttura originaria. Non si può dire che Dio avrebbe potuto anche non creare il mondo, Ciò sarebbe una contraddizione Dio è Dio senza il mondo e anche senza il mondo. No. Per pensare Dio con il mondo senza far sì che il mondo aggiunga qualcosa a Dio è necessario che l’essere del mondo sia tutto nella sua relazione (creatio) a Dio e questa relazione “sussista” in Dio (= generatio). Dire che il mondo è “generato” da Dio non significa che Dio = mondo. Significa, invece, che Dio = Dio + mondo. Il mondo è “nulla” prescindendo dalla sua relazione a Dio. Questa relazione del mondo a Dio è il modo “relativo” con cui il mondo sussiste in Dio. La relatività (creatio) sussiste in Dio (generatio).
Il concetto di “nulla” è alquanto aporetico. Il nulla: sia il nulla che è e che si può pensare e sia il nulla che non è e che non si può pensare (perché si può pensare solo ciò che è e non ciò che non è) non possono essere altro da Dio. Altrimenti esisterebbe qualcosa; che è e che non è; che ne opinerebbe il Concetto, poiché Dio è tutto totalmente , sia che sia e sia che non sia. Perciò non essendo il nulla Dio, Dio non sarebbe più Dio, perché il nulla sarebbe al di fuori della totalità di Esso. Quindi la creazione ex nihil è sempre; indifferentemente; da Dio, poiché Dio, essendolo, non ha necessità alcuna, non soltanto di agire o non agire verso una finalità, ma anche di “essere” o di “non essere” (anche nel senso distintivo dalle opere di Christoph Schönborn se una pecora, per essere, è una pecora e non una tigre).
Io non credo che mai nessun teologo abbia dichiarato che il nulla non sia Dio, o che lo possa fare. Perciò, oltre il panenteismo, anche gli ateisti che negano Dio nella sua esistenza lo stanno confermando perché la negazione di Dio dimostra che non è… Il discorso comunque sarebbe più lungo.
Bene, mi sembra un articolo un filo più centrato rispetto a quelli pubblicati finora. Gamberini se non ho capito male è un rappresentante della teologia post-teista vedremo come proseguirà il filone.