Sulla mistica

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Antonietta Potente è religiosa domenicana, teologa, docente e scrittrice. L’abbiamo recentemente incontrata nel Giardino delle Beghine di Mantova, ove ha presentato il volume di Wanda Tommasi Vivere Dio qui e ora. La sapienza mistica di autrici del nostro tempo (Paoline, 2023), di cui ha curato la prefazione.

  • Antonietta, cosa si intende per mistica?

Si può intendere la mistica come un oggetto di studio. Per molti è così. Mentre io penso che la mistica non possa essere affatto ridotta ad un oggetto di studio, perché mistica è quella esperienza profonda della vita che è percepibile da parte di tutte le donne e di tutti gli uomini, sia pure in maniere diversificate in relazione ai contesti di vita.

Cercando parole per dirla – io ci sto provando, col mio lavoro, da molti anni – la mistica è riconoscere che la vita ha una sua propria profondità, sentire che nulla è banale, vuoto o “morto” nella vita: nel creato come nella storia.

Parlo di qualcosa che, di per sé, è inesprimibile o ineffabile. L’etimologia aiuta: la radice greca rimanda, infatti, ad una “bocca chiusa”, al silenzio più che a chiare parole dettate dalla pura e dura razionalità.

Perciò la mistica è vissuta più che detta. Tante donne e tanti uomini l’hanno vissuta e la vivono ogni giorno.

Io uso l’immagine dell’albero di cui vediamo il fusto, i rami, le fronde, non le radici che affondano nelle profondità: eppure, il “verde” che noi vediamo dipende da quelle.

  • La mistica, così intesa, ha dignità tra le discipline di insegnamento e di studio?

Al proposito, posso dire che nell’ambiente accademico ho sentito talvolta apostrofarmi: «scrivine, sei molto mistica!». Beh, questa battuta non esprime una seria considerazione della mistica nelle scienze: piuttosto denota come la mistica venga presa ancora oggi come una cosa “a parte”, una sorta di abbellimento, non indispensabile.

Mentre la mistica – nella maniera in cui la intendo – sta dentro tutte le scienze, non solo nelle discipline teologiche, bensì persino nella fisica o nella chimica del mondo.

Un narrazione di donne
  • La mistica è più femminile che maschile?

Proprio perché la mistica non può essere semplicemente detta, definita, se non raccontando la vita – la propria vita nel profondo – penso che tale narrazione riesca meglio alle donne piuttosto agli uomini. Noi donne siamo più portate a raccontarci, raccontando la nostra vita interiore.

Dico poi che la mistica è come il “luogo” ove si nasce e quindi si continua a rinascere: ciò ha molto a che fare con l’utero materno, con la madre, con uno specifico femminile.

Non voglio dire che non esista la mistica maschile. La stessa sensibilità sussiste nell’uomo. Penso, anzi, che gli uomini oggi possano e debbano rendersi conto della preziosità dei loro sensi – sia di piacere che di dolore -, saperli dire senza mascherare o nascondere, come meglio sanno fare le donne, soprattutto senza razionalizzare quelle sensibilità maschili che sono ritenute “troppo femminili”.

  • Questo nostro tempo è difficile per la mistica?

Non so se questo tempo sia più difficile di altri. La mistica sta nelle profondità della vita, ed è, perciò, normalmente, coperta da tanto altro, sempre.

Certamente, tuttavia, la caratteristica che ha preso il sopravvento nel nostro tempo è l’esteriorità, termine che ha un significato opposto a quello della profondità o a quello dell’interiorità, che meglio stanno con la mistica.   

Per altri versi, oggi, si parla sin troppo di mistica. Ho letto, ad esempio, che si parla di una “mistica dell’impresa”: ben venga! Ma mi sembra altro: una moda esibita con un linguaggio che poco o nulla ha a che fare con la sobrietà propria della mistica, delle mistiche e dei mistici: persone che sanno spogliarsi delle mode e delle tante cose superflue che ci ricoprono.

Ciò risulta particolarmente evidente in alcune figure della storia della Chiesa e non solo.

  • La Chiesa – o la storia umana in genere – come ha trattato le mistiche e i mistici?

Anche la Chiesa ha teso a separare la mistica o la spiritualità dalla fisica, incorrendo in quel dualismo che il cristianesimo nega. Non c’è niente di separato, come sappiamo: lo spirito è uno, questo nostro sentire è uno; la storia è una. Nei miei libri descrivo l’umano quale animacorporea, parola scritta proprio così, attaccata: invito tutti a fare altrettanto.

Il criterio col quale guardare all’autenticità della vita mistica è quindi la trasformazione. La mistica trasforma la vita. Trasforma la storia. Una mistica che non trasforma non è mistica.

  • Chi sono, allora, le mistiche e i mistici della Chiesa?

Maestre e maestri di mistica sono, per noi, ora, donne e uomini vissuti secoli fa: in realtà, la caratteristica di queste figure è di essere passate senza ritenersi maestre o maestri di alcuna e di alcuno. Tra le caratteristiche importanti delle figure mistiche è infatti proprio la differenza da ogni forma di affermazione di sé e di arroganza.

Pure un certo senso di insicurezza – o di dubbio – è proprio delle mistiche. Basta leggere il bel libro di Wanda Tommasi. Le certezze assolute sono troppo spesso coniugate con l’arroganza.

Mistica e religione
  • Una vita così misticamente vissuta può prescindere dalle appartenenze religiose?

L’animacorporea non è evidentemente proprietà delle Chiese e delle religioni. Perciò l’esperienza mistica – che è appunto di tutti gli esseri umani – non è proprietà di alcuna Chiesa o religione.

Peraltro, l’islam conosce esperienze mistiche bellissime, così come le religioni orientali; del cristianesimo, naturalmente, sappiamo.

Ciò che qualifica la mistica vissuta non è tanto, dunque, l’appartenenza religiosa, quanto quel “sentire” che salva anche nella notte buia del dolore e della morte: quel sentire che, in fondo, è il regalo più bello e più prezioso della vita.

Le religioni – avendo riconosciuto il “tesoro” – indebitamente, se ne sono appropriate, per vari motivi, del resto facilmente comprensibili: per distinguersi da chi nega l’esistenza del dono, per raffinare il proprio pensiero, per offrire sicurezza. Ma non è semplicemente possibile – e sbagliato – appropriarsi di ciò che è divino: la profondità della vita è il dono divino più grande, che è in tutto ed è in tutti.

La mistica viene da un “principio”, e questo principio, variamente inteso, è divino, non umano.

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  • La mistica può essere dunque il terreno di incontro di tutte le Chiese, di tutte religioni e, persino, di tutti gli umani?

La via dell’incontro nel cosiddetto “dialogo interreligioso” è piuttosto il silenzio interreligioso o semplicemente il silenzio umano di fronte al mistero della profondità della vita.

Penso che sia fondamentale oggi – più che parlare – ascoltare il mistero della vita, negli altri, nelle altre persone e culture: certo, questo significa anche parlare, ma senza pretese, senza avanzare un credo religioso.

  • È questo il tempo opportuno per una mistica sovra-religiosa?

Potrebbe esserlo, ma col criterio che ho detto, che è quello trasformativo. I mistici desiderano ardentemente la trasformazione di sé e del mondo.

Il mio timore – in questo tempo mercantilista al massimo grado – è che, ancora una volta, avvenga la separazione tra la sfera dello spirito (mistica) e la fisica o la storia.

Si, è senz’altro il momento opportuno: ciò non vuol dire affatto che sia un tempo facile. Anzi. Io parlo spesso di parto trasformativo. Nel parto c’è il dolore, c’è la nascita, c’è la gioia.  Nella madre, in realtà, avviene una trasformazione radicale, consapevole, accettata “costi quel che costi”.

La mistica e il mondo
  • Nella mistica non c’è, piuttosto, il rischio del ripiegamento su di sé e dell’allontanamento dal mondo?

Senz’altro, come ho detto, se la mistica diviene una disciplina di studio o un’esperienza di vita religiosa “a parte”. Ma non è questo.

Quando abbiamo una ferita, la sensibilità della nostra pelle aumenta: avvertiamo maggiormente il bruciore e il dolore, eppure è proprio quella sensibilità aumentata a guarirci, a “salvarci”. Similmente, la mistica realmente vissuta ci rende maggiormente sensibili a tutto e a tutti, insieme a noi stessi. Ed è ciò che ci salva.

Penso di aver scoperto l’importanza della mistica in America Latina, in un contesto tremendamente, socialmente, forte. Allora ho scritto di mistica e di politica, di mistica politica: due parole apparentemente molto lontane tra loro. Ora preferisco un approccio mistico-sapienziale: una sola parola che riguarda la vita tutta intera, le relazioni, le comunità umane.

Ecco, una volta che questa sensibilità mistica è acquisita – come fa la pelle – allora resta e la si porta ovunque. La mistica è in grado di produrre trasformazione sociopolitica.

  • Nella tua concezione la preghiera cos’è? Può essere un momento “a parte”?

La mia concezione della preghiera è molto vicina agli esicasti: la preghiera è incessante. Penso che la preghiera sia il modo di relazione con le profondità della vita o il modo di stare misticamente nella vita. Ma proprio perché questa vita va sentita, ascoltata, guardata, in silenzio, innanzi tutto, non penso si possa rinunciare ad un tempo nel quale stare semplicemente “seduti”, “senza fare nulla”.

In questo senso, non escludo una sorta di successione temporale: “prima” ci mettiamo “seduti” ad “ascoltare” senza fretta – perché troppi errori abbiamo fatto già e facciamo con la fretta -, “poi” ci mettiamo a fare, “dotati” dell’ascolto.

L’ascolto nella preghiera non è tuttavia qualcosa di astorico: l’ascolto sta anche nell’avvertire il grido dei popoli afflitti dal male nel mondo, popoli vessati da ogni sorta di violenza e di forze di potere.

  • Sono necessarie formule per pregare secondo la tua visione?

Ogni tradizione ha la sua mistagogia, la sua azione – secondo il significato stesso della parola – che verso il mistero della vita. Riti e liturgie tracciano, ma sono l’azione.

Il danno avviene quando tutto ciò diventa una formula che non aiuta più a sentire alcunché: allora si spegne l’afflato dell’animacorporea e per l’animacorporea, a vantaggio del controllo delle “sole” anime, spezzando così gli esseri umani: una parte va alle Chiese e alle religioni e l’altra parte va allo stato. Ma lo stato non è altro che l’unico, nostro, stare nel mondo da umani.

  • Ci sono fatti, eventi, esperienze della vita che più facilmente determinano l’atteggiamento mistico?

Penso a Margherita Porete o a Giovanni della Croce: hanno attraversato l’esperienza che definisco della Assenza-Presenza, l’esperienza della notte oscura del male radicale, senza tuttavia soccombere allo stesso. Il male sta nella percezione della lontananza, dell’Assenza. La Presenza sta nella percezione della vicinanza, dell’Amore. Ai giovani insegno che l’Assenza non è il contrario della Presenza, bensì che l’Assenza sta dentro la Presenza. Penso che in ciò stia l’esperienza mistica più forte.

Il nome e la titubanza
  • Nella mistica “classica”, specie femminile, molto spazio hanno le immagini dell’innamoramento e dell’amore sponsale…

Mi è sempre parso riduttivo e fuorviante – molto maschile – aver voluto rinchiudere la mistica delle donne nell’immagine dell’amore sponsale, anche se – certo – allo sposo si è dato il nome di Gesù. Margherita Porete ha usato altre espressioni: quella, ad esempio, della Dama Amore.

Il grande problema umano – nelle vicende della vita come della storia – è il vuoto di amore. Il male è il vuoto d’amore, l’Assenza. Mentre la divina Presenza è Amore.

  • Si può dire che Dio è Madre anziché Padre?

Provo qualche titubanza a dire semplicemente “Dio”: l’origine della parola – dal sanscrito – porterebbe più propriamente a pronunciare Luce.

Ma la divina Presenza è Amore, come ho detto: allora posso più facilmente dire “Madre” rispetto a “Padre”, perché la mia prima esperienza dell’amore è materna. 

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3 Commenti

  1. Mauro Mazzoldi 8 ottobre 2023
  2. Piero Cappelli 8 ottobre 2023
  3. Salfi 6 ottobre 2023

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