Lettera al vescovo eletto di San Sebastián

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La Santa Sede ha nominato, lunedì 31 ottobre 2022, il religioso clarettiano Fernando Prado Ayuso, vescovo di San Sebastián (Paesi Baschi), la cui consacrazione è prevista il 17 dicembre prossimo. Il teologo Martínez Gordo gli ha indirizzato la seguente lettera.

Come ben sai, caro Fernando, non ci conosciamo, almeno personalmente. Questo, che senza dubbio è un limite, può cessare di esserlo anche per chi, come nel mio caso, è del tutto in disaccordo con la procedura che, ancora una volta, è stata applicata con la tua nomina.

Con queste righe voglio ricordare, soprattutto a coloro che possono pensare che tu sarai un vescovo dei “nostri”, che puoi non esserlo, almeno non quanto, come mons. Munilla, è stato dei “suoi”.

E vorrei anche ricordare loro che, visto il sistema come sono nominati i vescovi e come si comportano abitualmente – una volta incaricati di una diocesi – non “si montino troppo la testa” e non smettano di avere i piedi per terra e moderino, anche se solo un po’, l’ottimismo che, molto probabilmente, li prende in questi momenti.

Come anche sai molto bene, caro Fernando, sono sempre più numerosi i cattolici che trovano molto difficile accettare un sistema di nomine dei vescovi segnatamente nepotista.

È vero che il sistema attuale è stato, ai suoi tempi, il male minore che ha permesso di superare i tentativi gallicani di controllare la nomina di prelati che, docili ai poteri politici del loro tempo, non avevano alcun problema a pagare il prezzo della loro libertà personale e, comunque, quello della Chiesa, per essere nominati.

Ma è anche vero che, superata quella fase della storia, al Vaticano è piaciuto nominare vescovi persone della sua stessa pasta, cioè della linea tracciata dal pontefice che sta sulla cattedra di Pietro o, cosa da non ignorare, della diagnosi e sensibilità dominanti nella curia vaticana. Essa, infatti, è diventata lo strumento più efficace per muovere – seppur lentamente, molto lentamente – la Chiesa in una direzione o nell’altra, anche se, a volte – nei Paesi Baschi ne sappiamo qualcosa –, si infiltrano alcuni agli antipodi del profilo del papa di turno.

Ed è altrettanto vero che, talvolta, è lo strumento che facilita l’autopromozione di persone che – ottimi conoscitori delle segrete cose romane – “si fanno corteggiare”.

Niente a che vedere con ciò di cui una diocesi può aver bisogno e molto a che vedere con le lotte per il potere che si svolgono nei corridoi, siano quelli della Santa Sede, quelli della Conferenza episcopale o quelli di un qualsiasi ristorante, frequentato con discrezione dai “monsignori” per parlare di (e concordare) alcuni nomi di possibili candidati.

Senza mettere affatto in discussione la loro buona volontà – cosa vuoi che ti dica! – è un modo di procedere che mi richiama come una variante – in questo caso ecclesiastica – il famoso dispotismo illuminato (governo assoluto): “tutto per il popolo, ma senza tenere conto del popolo” o, nel migliore dei casi, contando su ciò che mi dicono “i miei”, che conosco del popolo, o – ciò che è ancor peggio – sulle pressioni di certi “lobbisti”, siano essi a Madrid o in qualsiasi altra parte del mondo.

Alla luce di questa preoccupante contestualizzazione, che – te lo confesso apertamente – mi piacerebbe vedere irrefutabilmente cancellata, credo che le aspettative a tuo riguardo siano che tu sia un “uomo di Francesco” e, quindi, un’estinzione di un modello di vescovo che, ereditato dai pontificati di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI, è stato caratterizzato da una lettura apertamente involutiva del Vaticano II (agli antipodi di quanto approvato dalla maggioranza conciliare), nonché a favore (e nostalgica) di un regime di neo-cristianesimo in nome dei diritti della “verità” o della cosiddetta “legge morale naturale” o, persino, dell’“unità” (ovviamente giacobina) della Spagna.

Sai benissimo che non ti sarà facile. Per questo, le presenti righe non vogliono essere altri bastoni tra le ruote più di quanti ne hai già solo per aver accettato di essere vescovo di San Sebastián, ma solo parole che, a metà tra lo sfogo e il desiderio che tu riesca, ricordano, a me stesso, che tu agirai con successo, almeno su quattro punti, una volta terminato il tempo di grazia che, spero, ti sia concesso.

Il primo: la capacità che hai di recuperare – ma non ad ogni costo – ciò che lascia come eredità mons. Munilla. E a coloro che, negli ultimi anni, sono rimasti inerti, chiederai ad essi, personalmente, la loro collaborazione o lascerai che le cose vadano avanti in un’inerzia corrosa dalla frustrazione?

Il secondo: il modo in cui devi prendere le decisioni: con l’ossessione di rispettare alla lettera il Codice di diritto canonico o con il coraggio – cosa molto strana negli attuali vescovi – di promuovere una sua applicazione che sia corresponsabile e sinodale?

Il terzo: essere un vescovo con l’“odore delle pecore” che, proprio per questo, visita tutti gli angoli di Gipuzkoa, dimenticando il carrierismo nel quale, a quanto pare, hanno finito per cadere negli ultimi anni tutti i vescovi presenti nei Paesi Baschi. E che, ovviamente, “sposi” – come si diceva agli albori del cristianesimo – la tua diocesi, e nessun altro.

E, infine, che recuperi – dopo il periodo disastroso del tuo predecessore – i rapporti con la società presieduti dall’inestimabile apprezzamento della convivenza, fondata sul pluralismo e sull’incontro tra diversi.

 

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