
Il 5 dicembre 2025 l’Ufficio nazionale per le comunicazioni sociale della Conferenza episcopale italiana, con l’introduzione del card. Matteo Zuppi, ha pubblicato una nota pastorale dal titolo Educare a una pace disarmata e disarmante (cf. qui su SettimanaNews), riprendendo il titolo da un discorso di papa Leone XIV ai vescovi della Conferenza episcopale italiana del 17 giugno 2025.
Quant’è difficile una cultura della pace!
È un documento scritto bene, completo e pertinente. Per la verità scritto un po’ in ritardo rispetto alle vicende delle guerre in atto da anni ai confini della nostra Europa e non solo.
Affronta il tema della pace con l’esame dei “venti di guerra” dell’oggi, sottolineando la crisi della cultura della pace, mettendo in risalto i fenomeni dei nazionalismi, con l’aggravante dell’impatto della rete.
Ritorna alla Scrittura, non tralasciando la parentesi del “teorema” della guerra giusta. Fa appello alla dottrina sociale della Chiesa da Benedetto XV all’enciclica di papa Francesco Fratelli tutti. Non dimentica le Giornate mondiali della pace, a partire dall’enciclica Pacem in terris di Giovanni XXIII per proseguire con la Populorum progressio di Paolo VI e gli appelli dei pontefici Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e l’enciclica “Laudato si’ di papa Bergoglio. Si ricorda anche la Nota della CEI Educare alla pace del 1998.
Nella terza parte si affronta il tema dell’educazione alla pace con l’impegno ecclesiale, nella famiglia e nella scuola, appellando alla non violenza. L’attenzione si allarga ai mass media, all’ecumenismo, alla difesa.
La conclusione è significativa: «La pace è, dunque, un lungo percorso, perché è sfida complessa, impegno che tocca molte dimensioni della vita pastorale e sociale e che chiede un discernimento attento. E, tuttavia, la radicalità dell’annuncio evangelico va presa sul serio. La chiamata a essere operatori di pace deve farsi storia e vita delle comunità, per segnare nella storia quello spazio di genuina fraternità cui guardava il n. 37 di Gaudium et spes:
«La Chiesa di Cristo, fidandosi del piano provvidenziale del Creatore, mentre riconosce che il progresso umano può servire alla vera felicità degli uomini, non può tuttavia fare a meno di far risuonare il detto dell’Apostolo: “Non vogliate adattarvi allo stile di questo mondo” (Rom 12,2) e cioè a quello spirito di vanità e di malizia che travolge in strumento di peccato l’operosità umana ordinata al servizio di Dio e dell’uomo».
Una libertà senza confini
Volendo comprendere il perché delle condotte di potere e di violenza così diffuse nella cultura odierna, può aiutare la riflessione del card. Kasper a proposito di ateismo. Egli, nel testo celebre Il Dio di Gesù Cristo [Queriniana, Brescia, 10a edizione 2018, pp. 31-70], affronta il problema dell’ateismo moderno. La modernità ha interpretato l’autonomia per la natura e per le branche profane (cultura, scienza, arte, economia, politica…) in nome della libertà dell’uomo. Non da oggi, ma addirittura da Cartesio (1596-1650) per passare a L. Fuerbach, K. Marx, F. Nietzsche, consolidandosi nel sentire comune.
Non esistono per il moderno ateismo regole generali (legge naturale) né religiose (ateismo) né storiche (tradizioni) che possano dettare linee guide di condotta. Da qui la libertà affidata agli individui e alle loro aggregazioni.
Spesso si attribuiscono ai capi di Stato gli atteggiamenti di supremazia e di dittatura. Essi sono conseguenze della cultura generale che tutela i propri interessi. Recentemente, una variabile sensibile è la ricchezza che sostiene condotte violente. Così le armi, l’inflazione, i mezzi di comunicazione, la rete, la pubblicità, la propaganda.
Invocare la pace presuppone, almeno per l’Occidente, l’adesione convinta e vissuta dei dettami cristiani senza i quali la prospettiva di una società non violenta, attenta ai più deboli, superando le disuguaglianze non si affermerà. Il messaggio evangelico non risponde alla “legge naturale” inficiata dal peccato. Cristo è venuto a salvarci; il Battista sul fiume Giordano ha gridato “Convertitevi”.
Il Vangelo di Matteo che leggiamo quest’anno, al capitolo quinto è lapidario: Siate umili, miti, consolatori, giusti, misericordiosi, sinceri, pacifici, fedeli. Chi non accetta queste indicazioni non creerà una pace disarmata e disarmante. Il mondo cristiano, con i suoi teologi, biblisti e moralisti non ha ancora interiorizzato questa condizione. Continua a credere a una società cristiana che ha ancora tratti di segni religiosi, ma non è più capace o non vuole accogliere il Vangelo.
Come, nella realtà, questa visione, può essere e espressa e proposta è altro delicato problema. Un segno di questo indirizzo è stata l’Esortazione apostolica Dilexi te di Leone XIV: ha affrontato la povertà come nota qualificante della sequela cristiana, perché Cristo era povero. Con parole forti che riguardano la vita reale della Chiesa, compresa l’interpretazione dei testi sacri e le celebrazioni liturgiche. Non si tratta di diventare rigoristi o montanisti: d’altra parte, non si può perdere la sostanza del messaggio evangelico.
Esso porta a una convivenza rispettosa e pacifica: a partire dal quotidiano per transitare alle aggregazioni sociali e politiche senza dimenticare il rispetto del creato.
Una specie di torpore sembra abbia coinvolto le coscienze cristiane che assistono inermi a ingiustizie crudeli e ingiuste. Inutile perdere tempo e attenzioni su dettagli di organizzazione e prassi. È necessario tornare alle radici del nostro sentire di benevolenza e di perdono.





