«Per voi sono Vescovo, con voi sono cristiano»

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agostino

Nel tardo pomeriggio del 8 maggio 2025, dalla Loggia delle Benedizioni, si è affacciato Papa Leone XIV, come 267° successore di Pietro, scelto nel Conclave. Un Pontificato dell’unità, espresso particolarmente nel suo motto «In Illo uno unum» e, soprattutto, desideroso di rimettere al centro il primato di Cristo nell’annuncio e la conversione missionaria della Chiesa in ottica sinodale.

Come figlio di sant’Agostino, ha immediatamente riportato in luce una delle più belle espressioni che il teologo utilizza nel Sermone 340, scritto in occasione dell’anniversario della sua ordinazione, «Per voi sono Vescovo, con voi sono cristiano».

Cristiano, a servizio

Nel testo emerge chiaramente l’immagine del Vescovo preposto ai cristiani, ma da cristiano come loro e come compagno scelto per il servizio. È opportuno ricordare a tutti i credenti che il fondamento della Chiesa come istituzione è la funzione apostolica, di cui l’episcopato, presieduto da chi assolve la funzione di Pietro, è la continuazione e l’attuazione più diretta, in modo conforme alla volontà divina. Su di essa, infatti, il Cristo ha fondato la sua Chiesa, conferendo ad essa la sua potestà assoluta (cf. Mt 16,18-19; Mt 18,18).

Quindi non c’è Sinodo generale senza la funzione di Pietro che rappresenta la Chiesa cattolica universale, e non c’è Sinodo locale senza la funzione del Vescovo che rappresenta la Chiesa e il suo fondamento apostolico, esercitando la sua funzione in comunione con il successore di Pietro, che significa la suprema autorità della Chiesa, da cui ha ricevuto il mandato e il potere per elezione e partecipazione (cf. LG 27).

Stabilito il principio, l’espressione di Agostino ribadisce una verità centrale dell’esistenza cristiana: il Vescovo, come il presbitero e il diacono, è innanzitutto «cristiano» e il cristiano è colui che ha ricevuto il nome da Cristo, che porta in sé il suo mistero, che appartiene a lui con tutta la sua umanità e che vive questa sua dignità nella libertà di un figlio di Dio.

Quindi il Vescovo è un membro del Popolo di Dio, ma «scelto tra gli uomini e per gli uomini» (cf. Eb 5,1), per vivere pienamente il suo ministerium come un servizio e un dono del Signore per l’edificazione del suo corpo (cf. Ef 4,11). Il Vescovo, quindi, non pensa al proprio interesse, ma al bene di tutti, in quanto l’elezione non è una promozione ma un servizio da compiere: egli non deve vivere più per se stesso, ma per la comunità a cui è preposto.

Il Vescovo, per l’annuncio del Vangelo

In realtà, la funzione episcopale è stata istituita dal Signore Gesù che, quale inviato dal Padre, ha mandato a sua volta i Dodici nel mondo, affinché, pieni della potenza del suo Spirito, annunziassero il Vangelo a tutte le genti (cfr. Mt 28,19) e santificassero gli uomini con il condono dei peccati (cfr. Gv 20,21-23) per guidarli alla salvezza (cfr. Mc 16,15-16). E, come è noto, i Vescovi sono i successori degli Apostoli, secondo un paragone istituito per primo da Ignazio di Antiochia, ritenuto il teologo per eccellenza della funzione episcopale come centro di tutta l’attività ecclesiale e quale rappresentante dello stesso Cristo. Il Vescovo, infatti, non è colui che dà origine all’ardore missionario del Popolo di Dio, bensì lo pone in atto rendendolo presente e visibile. Come affermava san Giovanni Paolo II nel 1979 quando, rivolgendosi ai Vescovi del Cile, ribadiva che «l’evangelizzazione è il compito permanente ed essenziale del ministero episcopale»[1].

Il Vescovo, principio e fondamento di unità

La Costituzione ecclesiologica del Vaticano II (cfr. LG 23) correla le due espressioni “principio e fondamento” alla tematica dell’unitas, riprendendo l’insegnamento di Ignazio di Antiochia. I Vescovi servono la Chiesa promuovendo e difendendo l’unità della fede e la disciplina, istruendo i fedeli nell’amore, soprattutto quello verso i più poveri. Essi in primis sono chiamati a custodire l’apostolicità della fede e dell’annuncio, garantendo in questo modo il principio di unità e di identità della propria Chiesa.

La cura pastorale del Vescovo

Il munus pastorale e di governo del Vescovo si concretizza nella dimensione della cura, espressa bene dalla Costituzione del Vaticano II (cfr. LG 27). Il fondamento biblico che accompagna la sua funzione pastorale è tratto dall’esortazione della Prima Lettera di Pietro in cui si afferma: «Pascete il gregge di Dio che vi è affidato, sorvegliandolo non per forza ma volentieri, secondo Dio, non per vile interesse, ma di buon animo; non spadroneggiando sulle persone a voi affidate, ma facendovi modelli del gregge» (1Pt 5,2).

I Vescovi quindi sono costituiti pastori dal Signore e chiamati a servire non se stessi ma il gregge, che è la porzione del Popolo di Dio a loro affidata. Essi, perciò, si prendono cura del gregge loro affidato, innanzitutto comunicando la fede mediante l’annuncio del Vangelo e servendo l’intero popolo nella carità.

Per questo la missione che Dio affida all’intero Popolo di Dio è quella di pregare per il nuovo Vescovo e, all’inizio del Pontificato di Papa Leone, lasciamo risuonare le parole di sant’Agostino, che richiamano il primo compito dell’intero Popolo di Dio: «Preghiamo insieme perché il mio episcopato giovi a me e a voi […]. D’altra parte, se avremo pregato di continuo noi per voi e voi per noi, con perfetto slancio di carità, con l’aiuto del Signore, raggiungeremo felicemente la beatitudine eterna» (Sermone 340).

Fabio Nardelli è docente di ecclesiologia alla Pontificia Università Antonianum di Roma


Giovanni Paolo II, Discorso ai Vescovi del Cile in “visita ad limina”, 13 ottobre 1979, in Insegnamenti di Giovanni Paolo II. II,2, 734-735.

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