Il povero “nascondiglio di Cristo”

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Domenica 15 novembre si celebrerà la 4ª Giornata mondiale dei poveri. Il messaggio dell’arcivescovo di Catanzaro-Squillace, Vincenzo Bertolone.

Sorelle e fratelli carissimi!

“Tendi la tua mano al povero” (Sir 7,32). Queste parole dell’antico libro del Siracide sono state scelte da papa Francesco come tema-guida di riflessione per la IV Giornata mondiale dei poveri, che si celebrerà in tutta la Chiesa cattolica domenica 15 novembre 2020. Per l’occasione, il santo padre ha composto un messaggio che entra direttamente nel drammatico momento che il mondo intero ha vissuto e sta ancora vivendo a causa del Covid-19, e che molti Paesi, compresa l’Italia, stanno ancora combattendo nella fatica di portare soccorso a quanti sono vittime innocenti, ma soprattutto di organizzare strategie per la tutela della salute, la cura dei malati e una ripresa dell’economia e del lavoro.

Desidero anch’io, come pastore di questa Chiesa di Catanzaro-Squillace, indirizzare a tutti voi – presbiteri, diaconi, religiosi/e, seminaristi, fedeli laici – qualche breve pensiero che stimoli la riflessione personale e comunitaria affinché, come più volte ci ricorda papa Francesco, possiamo insieme «avviare processi, più che occupare spazi» (cf. Discorso alla curia romana, 21 dicembre 2019), «superando le barriere dell’indifferenza» (cf. Messaggio per la IV Giornata mondiale dei poveri, 15 novembre 2020).

Il povero, “nascondiglio di Cristo”

Più volte nella mia predicazione, attingendo alla testimonianza di vita e agli scritti del beato Giacomo Cusmano, fondatore della Congregazione a cui appartengo, ho ripetuto che «il povero è il nascondiglio di Cristo».

È lo stesso Cristo che, come leggiamo in Mt 25,31-46, parlando del giudizio finale, afferma: «In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt 25,40). Molti santi della carità sono stati icona vivente di questa pagina evangelica, mostrandoci come davvero, se si vive in grazia di Dio, si riconosce Cristo “nascosto” nel povero. Non ultimo il giovane millennial Carlo Acutis, recentemente beatificato, il quale, attingendo la forza dall’eucaristia, sapeva riconoscere Cristo nel volto dei poveri, non limitandosi solamente ad un’attenzione premurosa bensì cercando di entrare in empatica amicizia con loro.

E la povertà sia “vecchia” che “nuova”, come ci ricorda il santo padre, oggi «assume sempre volti diversi, che richiedono attenzione ad ogni condizione particolare: in ognuna di queste possiamo incontrare il Signore Gesù, che ha rivelato di essere presente nei suoi fratelli più deboli» (Messaggio).

Avendo sullo sfondo questa pagina evangelica, vi invito a guardare alla povertà con uno sguardo tutto soprannaturale, e non semplicemente antropologico o socio-culturale. Dietro ogni povero c’è Cristo: accogliendo il povero, si accoglie Cristo; tendendo la mano al povero, si tende la mano a Cristo. E Cristo promette a quanti, seppur velato, lo riconoscono, l’eredità eterna del Paradiso.

Un “admirabile commercium”

Ciò che avviene quando riconosciamo nel povero il volto di Cristo, potremmo definirlo con le stesse parole con cui i Padri della Chiesa sintetizzavano il cuore del messaggio cristiano e, in particolare, l’eucaristia: un admirabile commercium. Quanto avviene tra il povero e ogni fratello/sorella che gli tende la mano è veramente un mirabile scambio. Uno scambio che si manifesta come utile per tutti, che in esso si riconoscono davvero Fratelli tutti. Esso, infatti, non avviene semplicemente tra un uomo e un altro essere umano, quanto piuttosto tra Cristo Gesù, il Figlio di Dio che si nasconde nel povero, e ogni uomo che, donando quanto gli supera (non il superfluo, ma quanto super est) al povero, lo dona allo stesso Signore, il quale promette sé stesso come eredità!

Un altro episodio evangelico, narrato da Luca al capitolo 16, ci ammonisce ricordandoci che, se questo mirabile scambio non viene operato, si viene esclusi per sempre dalla gioia della beatitudine eterna. La parabola del ricco e del povero narrata dall’evangelista, infatti, ci esorta a stringere amicizia col povero, perché sarà lui ad aprirci le porte del Regno: «Ebbene, io vi dico: fatevi degli amici con la ricchezza disonesta, perché, quando questa verrà a mancare, essi vi accolgano nelle dimore eterne» (Lc 16,9).

Preparare il futuro eterno nel tempo

Celebrare la Giornata mondiale dei poveri, significa, oltre che riflettere e compiere opere di carità e di prossimità, anche elevare lo sguardo al trascendente, al soprannaturale, all’eterno. Significa riflettere sul destino ultimo che accomuna ogni uomo, ricco e povero.

Ogni essere umano deve considerare che è sempre il presente sulla terra che prepara il futuro eterno. E il presente deve essere vissuto in piena e perfetta obbedienza alla Legge di Dio, scritta nei cuori dal Padre e promulgata da Gesù Cristo nello Spirito Santo.

La parabola narrata da Luca ci ricorda che Lazzaro è nelle dimore eterne non perché povero, ma perché ha vissuto la sua povertà rimanendo obbediente alla Legge. Così il ricco, non è nei tormenti perché ricco, bensì perché ha vissuto la sua ricchezza non secondo la Legge del Signore.

La via del Paradiso è la Legge del nostro Dio. Sia il povero che il ricco sono obbligati a rimanere nella Legge per tutti i giorni della loro vita. È una grande tentazione pensare che il povero si possa salvare solo perché privo di denaro e di mezzi di sussistenza, e che il ricco si possa dannare solo perché ricco e possessore di beni e denaro. Non sono le condizioni che salvano o dannano, ma è il rimanere o meno nella Legge del Signore, edificando la casa della propria vita sulla Parola di Cristo Gesù (cf. Mt 7,13-27). Solo così la fede, che si radica in questo permanere fruttuoso nella Parola di Cristo, si rende operosa nella carità (cf. Gal 5,6).

Ce lo ricorda ancora papa Francesco nel suo messaggio: «“In tutte le tue azioni, ricordati della tua fine” (Sir 7,36). È l’espressione con cui il Siracide conclude questa sua riflessione. […] abbiamo bisogno di tenere sempre presente la fine della nostra esistenza. Ricordarsi il destino comune può essere di aiuto per condurre una vita all’insegna dell’attenzione a chi è più povero e non ha avuto le stesse nostre possibilità» (Messaggio).

“La misura dell’amore è amare senza misura!”

Questa frase, attribuita a sant’Agostino, ci ricorda che, in fondo, rimanere nella Legge del Signore non significa altro che “amare” pienamente e secondo Dio. E amare significa intraprendere e percorrere un cammino avendo il Signore stesso come guida sicura, crescendo non sotto i canoni fissi degli sterili dogmi umani, ma nella attraente luce della Parola che i popoli ricercano. Amare non significa chiedersi spasmodicamente qual è il comandamento più importante, secondo la legge della deduzione logica e calcolata di categorie gerarchiche della vita, bensì il timido desiderio di chi si avvicina per toccare il midollo e le viscere della vita stessa.

Dobbiamo avere sempre la consapevolezza che i gesti di carità e di solidarietà si fanno se, prima di tutto, c’è un cuore che ama Dio. Prima della beneficenza, viene la benevolenza; prima che fare il bene, viene il voler bene secondo Dio. Come il vero vino che viene dall’uva, così il vero bene viene dal cuore che dimora presso la Parola di Cristo. Ed allora, si coltiva l’amore di Dio con la preghiera, l’adorazione, la contemplazione che diviene sorgente ispiratrice e fonte di carità.

Questo amore verso il Signore diviene oblativo e si apre all’amore verso il prossimo, particolarmente per i più poveri. Un amore che ha quattro lineamenti: è universale, gratuito, totale, radicale (nel senso che non risparmia neppure la propria vita), senza perché, solo per amore.

Alcuni suggerimenti pratici

Nell’ottica di questo amore oblativo, auspico che ogni comunità parrocchiale, con la guida sapiente del parroco e del consiglio pastorale, possa aprirsi con generosità alle esigenze dei più poveri, soprattutto nell’attuale contesto in cui siamo chiamati a misurarci con gli effetti negativi che la pandemia ha generato sul mondo economico e finanziario. Penso a quanti hanno perso il lavoro o vivono il dramma di poterlo perdere da un momento all’altro.

Questo certamente influisce, e ha un peso non indifferente, sulla serenità della vita personale, familiare e sociale. La parrocchia, come “la famiglia delle famiglie”, deve farsi carico di tutto questo: si tratta anzitutto di aprirsi all’ascolto di ogni forma di disagio, materiale e spirituale, prodotto dalla povertà, per organizzare la speranza e la solidarietà. Nel concreto:

  • Invito i parroci e tutti i sacerdoti a rendersi più disponibili all’ascolto dei bisogni dei più poveri; soprattutto di coloro che provano vergogna e disagio nel manifestare la propria condizione. Penso a quanto bene possano fare dei Centri di ascolto ben strutturati e organizzati secondo le esigenze del territorio, sia in presenza che attraverso i social media.
  • Vi invito a consolidare o a istituire, qualora non ci fosse, un gruppo di persone, accomunate dal vivo desiderio di farsi prossimi alle esigenze dei più poveri, capace di essere lievito in mezzo a tutta quanta la comunità per promuovere, organizzare e strutturare iniziative di carità, d’accordo col parroco (distribuzione di beni di prima necessità, mense domenicali, e dove possibili anche giornaliere, visita e ascolto delle famiglie in difficoltà). Questo servizio peculiare può ben essere considerato un ministero di fatto nella comunità parrocchiale.
  • Vi invito ancora a intercettare con estrema delicatezza i bisogni dei più poveri che variano a seconda del contesto territoriale, familiare e sociale, proponendo ai parroci, i primi responsabili e animatori della carità in mezzo al popolo di Dio, strategie di azione condivise dal consiglio pastorale parrocchiale ed evangelicamente fondate.
  • Invito i diaconi, scelti in mezzo al popolo proprio per essere segno sacramentale della carità di Cristo nella premura verso i poveri, le vedove, gli orfani e i deboli, a collaborare in prima persona nell’organizzazione delle azioni della Caritas parrocchiale.

Colgo l’occasione per rendere noto che, con la collaborazione di alcuni sacerdoti e di un nutrito numero di fedeli laici, i quali si impegnano ad offrire in forma stabile il loro tempo e la loro collaborazione, il prossimo 30 ottobre, memoria del beato Giacomo Cusmano, fondatore della congregazione dei Missionari servi dei poveri alla quale appartengo per nascita carismatica, partirà nei locali della Chiesa del Monte a Catanzaro una lodevole iniziativa di carità – cui si aggiungeranno nel tempo altre iniziative di carattere culturale e sociale – che spero possa diventare, nella sua stabile organizzazione, un modello per tutte le parrocchie della nostra diocesi.

Il mio cuore di vescovo, la cui vocazione per origine carismatica appartiene alla Congregazione del Boccone del Povero, non può che gioire, plaudendo soprattutto al coraggio di molte persone che intendono impegnarsi in prima persona, in una vera strategia ministeriale organizzata. Si inizierà con la distribuzione giornaliera dei cestini, col proposito, terminata l’emergenza sanitaria che stiamo ancora affrontando, di poter accogliere nei locali, in forma stabile e quotidiana, chi necessitasse di un piatto caldo a pranzo o a cena.

Conclusione

Mi piace concludere questo messaggio, riportando uno stralcio del discorso di sant’Agostino Nel Natale dei Santi Martiri Scillitani. Credo ci faccia entrare bene nel comprendere in cosa consista quel misterioso scambio a cui sopra accennavo: riconoscere, accogliere e dare a Cristo presente nel povero, per ricevere in cambio la stessa vita divina di Cristo.

Così si ripete ciò che è avvenuto mediante l’incarnazione del Verbo e accade ogni volta che, nel sacramento eucaristico, pane e vino sono trasformati sostanzialmente: «Di chi è estremamente povero si suol dire questo: è di una povertà estrema, non ha di che vivere. In tale stato eravamo tutti, sia poveri che ricchi eravamo così. Infatti, anche il ricco che ignora la vita eterna non ha di che vivere. Fate attenzione: in basso noi, figli dell’uomo, in alto il Verbo, Figlio di Dio.

Noi non avevamo di che vivere, egli non aveva di che morire. Egli in alto, il Verbo, l’unigenito Figlio di Dio, uguale al Padre, eterno come il Padre, noi in basso. Figli degli uomini, mortali, impotenti, bisognosi, pieni di boria, avidi, tristi a ragione, lieti di illusioni, non avevamo di che vivere, né egli di che morire. Che ha ricevuto da noi, che ci ha dato? Ha ricevuto da noi di che morire.

Ci ha dato di che potessimo vivere. Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi. Pur essendo Figlio di Dio, si fece Figlio dell’uomo. Ebbe fame per nutrire, ebbe sete per appagare la sete, dormì per destare dal sonno, si stancò lungo la via per farsi ristoro degli affaticati; da ultimo, subì il disonore per rivestirci di dignità, morì per dare la vita» (Agostino, Discorso 299/F, 2).

Auspico che la celebrazione di questa Giornata non resti un evento isolato, bensì sia stimolo di continuità, per crescere in fraternità e in prossimità verso le concrete esigenze dei più poveri. Tanto bene è stato fatto, tanto si sta facendo, anche nel nostro territorio diocesano, e ci auguriamo che tanto altro possa farsi ancora, con l’aiuto di tutti, in particolare degli esperti di finanza e di economia, che invito a rendersi disponibili nei consigli pastorali, per offrire suggerimenti e possibili strategie operative.

Invoco pertanto su tutti quanti voi, per la potente azione dello Spirito Santo Pater pauperum, la benedizione del Signore. Intercedano per noi Maria Immacolata Madre di misericordia e i santi patroni Agazio e Vitaliano.

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