Chiesa e fascismo

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L’approssimarsi della ricorrenza centenaria della marcia su Roma (28 ottobre 1922) ha favorito lo sviluppo di una serie di iniziative – convegni, cicli di conferenze, mostre – che intendono richiamare la memoria non solo sulle specifiche vicende che portarono al potere Benito Mussolini, ma anche sull’insieme della parabola del fascismo: dalla risposta alla crisi dello Stato liberale alla costruzione di una dittatura autoritaria fino alla promozione di un sistema politico totalitario.

La vittoria elettorale, per la prima volta nella storia repubblicana, di un partito post-fascista, con la conseguente ascesa di Giorgia Meloni, sua segretaria, alla Presidenza del consiglio ha contribuito a gettare su questi eventi l’interesse dell’attualità politica.

In realtà, messi in cantiere da tempo, nella maggior parte dei casi si proponevano di diffondere le acquisizioni degli studi storici sui risultati cui era approdata la ricerca.

La Chiesa cattolica e il regime fascista

Proprio questo orientamento culturale consente un’osservazione generale sulle iniziative realizzate o in corso. Raramente l’attenzione si è rivolta al rapporto tra la Chiesa e il regime. Eppure la questione non appare risolta. Circolano ancora le due contrapposte interpretazioni storiografiche che, a partire dagli ultimi decenni del Novecento, hanno egemonizzato il dibattito in materia.

Da un lato, Pietro Scoppola aveva sostenuto la tesi della reciproca strumentalizzazione in funzione del perseguimento di obiettivi che restavano sostanzialmente antitetici. Dall’altro lato, Giovanni Miccoli aveva argomentato che, pur restando distinti, i progetti di società disegnati dall’autorità ecclesiastica e dal potere fascista avevano larghi terreni di convergenza. Non solo in quanto individuavano nemici comuni (liberalismo, democrazia, comunismo), ma anche perché condividevano alcuni criteri organizzativi della vita collettiva (ordine, disciplina, gerarchia, sacrificio, nazione).

Un aiuto a sciogliere la questione viene da una mostra che è stata inaugurata a Pisa, nella sede di Palazzo Blu, il 21 ottobre. Si intitola Immagini dal Ventennio. Pisa e il regime fascista (1922-1943). Espone circa duecento fotografie tra le migliaia scattate tra la metà degli anni Venti e la metà degli anni Quaranta da Guido Allegrini, che si può considerare come il fotografo ufficiale della vita pubblica pisana.

Aveva persino il permesso di ritrarre la famiglia reale, che abitualmente trascorreva ogni anno diversi mesi nella tenuta di San Rossore. Basta ricordare che Vittorio Emanuele III nel settembre 1938 vi firmò il primo dei provvedimenti in materia razziale che dava inizio alla persecuzione contro gli ebrei.

Pisa durante il fascismo

L’esposizione intende restituire la realtà di una cittadina durante il periodo fascista; ma le immagini sono state scelte nell’intento di presentare i nessi che legavano specifiche vicende locali agli svolgimenti generali del Ventennio.

Del resto i rapporti tra Pisa e i centri decisionali romani sono assai stretti, sia sul piano politico (il potente sottosegretario agli interni Guido Buffarini Guidi è stato sindaco e poi podestà della città) che su quello culturale (Giovanni Gentile dirige la Scuola Normale, mentre Giuseppe Bottai istituisce all’Università la Scuola di perfezionamento in scienze corporative).

Il percorso espositivo si svolge in diverse sale corrispondenti a distinte sezioni tematiche. Ad un’ampia sezione introduttiva che vuole fornire un quadro generale dell’epoca, seguono le sezioni dedicate al Partito nazionale fascista, all’Università e alla Scuola Normale, alla monarchia, all’architettura e all’urbanistica, all’economia e alla società.

Una sezione è dedicata anche alla Chiesa. Nel Ventennio fu guidata a Pisa da due ordinari diocesani. All’arrivo del fascismo è vescovo il cardinal Pietro Maffi, il cui rilievo è mostrato dal fatto che nel 1922 fu uno dei candidati al papato nel conclave che poi elesse Pio XI. Dopo la sua morte, nel 1931, gli succede la più grigia figura di Gabriele Vettori, che si può comunque considerare rappresentativo della media dell’episcopato italiano dell’epoca.

Patti Lateranensi e pietà popolare

Già l’insieme della mostra fa emergere la centralità dei Patti lateranensi nella stabilizzazione del regime; ma sono le immagini relative alla tematica ecclesiale a rivelarsi estremamente significative. Sono collocate nella stessa sala dedicata alla monarchia, in modo da accorpare le due istituzioni che, fruendo di una certa autonomia, avrebbero potuto costituire un argine al disegno totalitario del Duce.

Allegrini, cattolico osservante e devoto, dirige volentieri il suo obiettivo verso le manifestazioni della pietà popolare. Registra così la partecipazione di massa ai riti religiosi.

Ne è una testimonianza inequivocabile una splendida foto – ma occorre dire che quasi tutte quelle esposte presentano un altissimo livello qualitativo – in cui si vede una Piazza dei Miracoli gremita di fedeli che, in ginocchio e a capo chino, sono raccolti in fervente preghiera.

Evidentemente, nonostante i processi di secolarizzazione in quegli anni rilevati con preoccupazione dall’Azione cattolica e nonostante gli sforzi del regime di promuovere una religione politica della nazione alternativa al cristianesimo, la Chiesa incontra ancora largo favore presso la popolazione. Ma l’esposizione palesa anche che questo consenso viene poi indirizzato a sostenere il regime. Le immagini della mostra ne restituiscono almeno tre aspetti.

Vescovi e gerarchi

In primo luogo costante è la presenza degli ordinari diocesani tra le autorità del regime e del partito in occasione di ogni cerimonia pubblica. Non si verifica solo dopo la firma del Concordato, quando la loro partecipazione rende a tutti evidente che le ragioni dell’accordo tra potere civile e potere religioso prevalgono sulle ragioni delle tensioni e degli screzi che pure non mancavano.

Emblematica è la foto che ritrae Maffi e Mussolini in occasione dell’inaugurazione in Duomo del pergamo di Giovanni Pisano, nuovamente installato nel 1926 dopo che era stato smontato all’inizio del Seicento.

Ancora l’anno precedente il cardinale aveva indirizzato al governo vibranti proteste, quando le squadre fasciste avevano devastato la tipografia del giornale diocesano. Qualche mese dopo Maffi e Mussolini si presentano assieme al pubblico, sorridenti e amichevoli, in amabile conversare. La testimonianza è eloquente. Rende noto il ritrovamento di una piena intesa in nome della promozione delle glorie nazionali.

Una successiva istantanea, relativa al solenne funerale del presule, documenta il radicamento dell’accordo: i soldati, con la spada sguainata, rendono al feretro gli onori militari, mentre dalla folla si indirizza alla salma il saluto fascista.

Chiesa e fascismo: convergenze

Le immagini evidenziano in secondo luogo che la convergenza coinvolge il piano istituzionale. La fotografia di un cappellano militare che celebra in caserma la messa con i fucili dei soldati depositati nei pressi dell’altare da campo non ripropone solo in tempo di pace una rappresentazione tipica dell’epoca del primo conflitto mondiale.

Palesa anche l’intreccio della Chiesa con un potere che, ancor prima di promuovere una serie di guerre, fin dal linguaggio politico (battaglia per la lira, battaglia demografica, battaglia per il grano) fa del bellicismo aggressivo la sua nota distintiva.

La compenetrazione tra istituzione ecclesiastica e fascismo è ribadita da un’altra splendida immagine. Ritrae un cappellano della Milizia volontaria per la sicurezza nazionale che, al centro di un gruppo di graduati delle camicie nere, esibisce i segni distintivi di un ruolo che comporta l’iscrizione al Partito nazionale fascista: il fascio littorio sull’abito talare e sul cappello il fascio littorio sormontato da una croce.

Infine, alcune immagini rivelano che l’incontro si traduce anche in una contaminazione della pietà religiosa con il fascismo. Senza dubbio, dall’esposizione non emergono forme cultuali che altrove avevano trovato espressione in raffigurazioni come la “Madonna del fascio” o la “Madonna del manganello”.

Tuttavia una fotografia è rivelatrice. L’icona della Madonna di sotto gli organi – il tradizionale punto di riferimento devozionale per l’espressione dell’identità cittadina – attraversa le vie di Pisa portata in processione da una squadra delle camicie nere.

Immagini dal Ventennio è sotto il profilo estetico una mostra assai godibile; ma presenta anche un valore storiografico, particolarmente (anche, se non solo) su un tema poco trattato nella ricorrenza centenaria della marcia su Roma. Le fotografie esposte, considerate come fonti documentarie, confermano infatti che tra Chiesa e fascismo si è effettivamente realizzata una larga convergenza.

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