La Chiesa e le regole

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In riferimento alla comunità cristiana una domanda è d’obbligo: cosa sarà rimasto in piedi e cosa sarà ricostruibile dopo il Coronavirus?

La Chiesa è comunemente vista come un’autorità morale; o meglio, lo è il papa con la sua statura personale, con l’esperienza acquisita in un continente nel quale la povertà insegna più dei libri, con l’alone che contorna una figura che, per un secolo, è stata ritenuta dai cristiani infallibile a prescindere, e non solo in materie di fede e morale.

Le leggi della Chiesa…

Ma, accanto all’incarnazione nel pontefice della moralità, resta vero che la Chiesa in quanto tale viene spesso associata a precetti e divieti. Il bagaglio di norme che la Chiesa consegna ai suoi fedeli ancora oggi staziona negli armadi delle persone di mezza età e oltre, specialmente quelle che hanno atteso anni per poter intravvedere uno spiraglio di luce in relazioni matrimoniali ricomposte; o quelle che si sono chieste prima di un rapporto sessuale se fossero rispettose della morale cristiana; o quelle che, per motivi di lavoro o di salute, trovavano difficile assolvere il precetto domenicale e sentivano l’esigenza di confessarsi per potersi accostarsi nuovamente all’eucaristia.

Chiesa dopo Coronavirus

Ne è seguita tutta una disciplina del sottobosco, con indicazioni ufficiose, bugiardini fai-da-te, quando non addirittura allontanamenti dalla Chiesa proprio in relazione alla pesantezza che derivava da norme che alcuni fedeli non potevano o non volevano rispettare.

…e quelle dello Stato

Oggi piombano nella società italiana molte altre direttive che provengono ufficialmente dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, la quale tuttavia si richiama costantemente ad una autorità morale di cui pochi avevano contezza: un Comitato scientifico di esperti che affianca il governo nella gestione della crisi legata al diffondersi Coronavirus. Questo si rifà, a sua volta, all’Istituto superiore di sanità e all’Organizzazione mondiale della sanità, e quindi ad esperti che operano nel campo delle malattie infettive a loro volta inseriti in organizzazioni sanitare pubbliche.

E questo non molto tempo dopo una discussione anche accesa su questioni inerenti la salute quali quelle sui vaccini.

Sarebbe interessante chiedersi in quale modo quegli stessi che, qualche mese fa, rifiutavano il vaccino si comportino oggi; o come l’italiano sia in grado di autoregolamentarsi; o quanto si adatti alle norme con una serie di distinguo e di eccezioni che si rifanno al proprio buonsenso…

Più facile chiedersi in quale modo la Chiesa recepisca queste normative. Va detto che, sebbene a giudizio di qualcuno obtorto collo, la CEI ha accettato le disposizioni del Governo e ha soppresso tutte le cerimonie religiose nelle proprie chiese, le quali comunque restano aperte per consentire una preghiera personale tenendosi a debita distanza gli uni dagli altri.

Persino i funerali non si possono celebrare: tutt’al più una benedizione, in presenza di familiari a loro volta a debita distanza.

Aggirare le regole?

Ma quanto interessa è ancora una volta il sottobosco: quella fantasia che si scatena nei ministri per cercare di celebrare ugualmente delle eucaristie provando ad eludere un decreto che in realtà aggirabile non è (salvo andare contro la legge): «È vietato formare gruppi in luoghi aperti o chiusi». Messe all’aperto, tenendosi a un metro di distanza uno dall’altro, celebrazioni con bambini accanto al presbitero, celebrazioni senza popolo ma con ministri che convengono da luoghi diversi per concelebrare assieme; per non parlare di rosari e altri incontri… E poi tentativi di celebrare battesimi, funerali e altri sacramenti o sacramentali con “tanto” buonsenso.

Qualcuno fa anche notare (e viene a sua volta rimbrottato) che si beve dal medesimo calice, che diaconi o ministri non stanno alla debita distanza tra loro, che ministranti o religiose presenziano a messe che dovrebbero essere senza popolo.

Non è poi così strano che, ad una Chiesa che si è fatta legislatrice e poi giudice di norme che si è data lei stessa, vengano fatte notare le incoerenze quando è lei a viverle.

Chiesa dopo Coronavirus

Forse, come fanno i genitori quando i figli adolescenti li colgono in castagna, questa diventa l’occasione per i ministri della Chiesa di domandarsi se la loro reazione risponda al sentirsi piccati o toccati in valori fondamentali; se non si ritengano al di sopra delle leggi, abituati come sono a legiferare; se lo show must go on valga per la liturgia persino più che per lo sport. Si risponderà che la liturgia non è uno show, ma a volte rischia di diventarlo e forse è questo il motivo per cui non può fermarsi.

Rimane però un interrogativo aperto per una comunità che ha fatto dell’eucaristia il centro e il culmine della propria vita di fede e di comunità: come è possibile vivere da cristiani senza eucaristia? È domanda non nuova, se si pensa a molti luoghi del mondo che definiamo terre di missione; e forse andrebbe appreso da loro come riescano a mantenere viva la fede senza celebrazioni eucaristiche.

Tuttavia, nel nostro occidente, la questione seria riguarda al giorno d’oggi non solo il momento liturgico, ma in generale il vivere la comunità. È facile immaginare che la vita di conventi e monasteri, benché indubbiamente rivoluzionata, abbia subìto molto meno il colpo rispetto a quanto accade a parrocchie e associazionismo.

Viene da chiedersi che cosa accadrà a queste realtà una volta terminata la “guerra”. L’immagine non è originale, e qualcuno l’ha utilizzata; forse perché il Coronavirus, come la guerra, fa morti e lascia macerie. E se questo è vero, cosa sarà rimasto in piedi e cosa sarà ricostruibile dopo il Coronavirus?

Emergenza socio-sanitaria e forme di vita cristiana
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