Bach: Passione secondo Matteo

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passione secondo matteo

Penso che parlare della bellezza della musica – di una musica così profondamente intessuta di spiritualità come quella della Matthäus-Passion di Johann Sebastian Bach – possa essere un modo per disporsi a ricevere un poco di quella grazia di cui abbiamo tutti bisogno, credenti o meno.

Specie nei momenti bui della vita individuale e della storia. Vorrei dirvi della mia personale relazione con La Passione secondo Matteo di Johann Sebastian Bach per anticipare il tono che desidero conferire a questa conversazione.

Biografia di un ascolto

Ho incontrato la “Passione secondo Matteo” quando avevo circa nove o dieci anni. Mio zio mi regalò un compact disk che conteneva degli estratti dalla Matthäus-Passion. Cominciai a metterlo in sottofondo mentre facevo i compiti, innamorandomi di questa musica. Questa composizione è diventata via via una compagna della mia vita. Ogni anno mi sono imposta – con gioia – di ascoltarla integralmente in Quaresima e nel Triduo Pasquale.

Si tratta di uno di quei grandissimi capolavori della storia, della cultura umana, dell’arte e della spiritualità che man mano che vengono conosciuti e ascoltati entrano dentro, arricchiscono, commuovono. Questo “qualcosa in più” che la Matthäus-Passion continua a donarmi mi investe su diversi piani.

C’è un piano di ingresso affettivo, per cui spesso – lo ammetto francamente – mi sono commossa. C’è poi un piano spirituale, per cui posso dire che – ascoltandola e riascoltandola – ho trovato maggior luce nelle stesse parole evangeliche. C’è poi il piano di ingresso professionale, di musicista, attraverso il quale lo spartito continua ad affascinarmi e a stimolarmi, perché ogni volta vi scopro particolari di cui non mi ero ancora resa ben conto. Tutto questo vorrei poter trasmettere a voi in questa conversazione.

Come ho detto, la Matthäus-Passion è uno dei grandissimi pilastri della cultura umana. A mio modesto parere, sarebbe veramente importante che – come si studia la Divina Commedia nelle scuole – i giovani avessero la possibilità di studiare o semplicemente di ascoltare questa musica, perché si tratta di una di quelle rare realizzazioni che sono in grado di mostrare di che cosa sia capace un essere umano ispirato.

Nella storia della musica – e direi della cultura occidentale – questa partitura si pone su uno spartiacque simbolico, non tanto nell’epoca di composizione, bensì dall’800 in poi, ossia da quando è avvenuto il passaggio della musica cosiddetta sacra: dalla chiesa al mondo intero.

Destino di un’opera

Come probabilmente sapete, Johann Sebastian Bach, dopo la sua morte, avvenuta nel 1750, era pressoché sparito dalla considerazione generale. Non del tutto, naturalmente: i suoi numerosi figli – molti dei quali musicisti a loro volta – hanno continuato a coltivarne la memoria in musica. Così altri suoi allievi.

Non dimentichiamo che Bach è stato un insegnante di altissimo livello e che ha creato un vero e proprio discepolato. E tuttavia era considerato un compositore per compositori, un musicista apprezzato da altri musicisti. Ma, al livello del grande pubblico, non era conosciuto e – di fatto – era pressoché scomparso dall’orizzonte musicale europeo. Soltanto nel secondo venticinquennio dell’800 Bach è tornato sulla scena: proprio con la Matthäus-Passion.

A questo punto permettetemi di raccontarvi una storia che mi ha sempre affascinato: la storia di come la partitura sia riemersa dal dimenticatoio per essere consegnata ai posteri, a noi. Le sue pagine erano state conservate dai figli di Bach. Di due di loro era amica una donna ebrea di nome Sara Levi, una delle donne più intelligenti e più colte della sua epoca. Animava un salotto culturale di altissimo livello. Sara Levi era, tra tanto altro, pure musicista. Fu lei a ritrovarsi tra le mani quel patrimonio immenso di note. Sara Levi era la prozia di Felix Mendelssohn Bartholdy, allora giovane e promettentissimo musicista, appartenente, a sua volta, ad una famiglia di origine ebraica convertita al cristianesimo.

La conversione della famiglia Mendelssohn era risultata, comprensibilmente, molto sgradita, al resto della larga famiglia. La stessa Sara Levi aveva vissuto piuttosto male questa scelta, forse neppure troppo convinta. Si sa che c’era freddezza fra i parenti. Sinché Sara non ha deciso di compiere un gesto altamente significativo: in occasione del Natale – quindi di una festività tipicamente cristiana – ha donato al suo giovane pronipote la partitura della Matthäus-Passion.

Da ciò, Mendelssohn, a soli 19 anni, – indotto e aiutato dal suo maestro di musica, già estimatore di Bach – prese la risoluzione, risultata poi storica, di allestirne un’esecuzione pubblica, dando vita alla cosiddetta Bach Renaissance, ossia alla riscoperta di tutta l’opera di Johann Sebastian Bach. Mendelssohn rielaborò la partitura per l’esecuzione, rendendola, almeno a suo modo di vedere, più consona all’estetica della sua epoca. Non è stato molto fedele all’autore. Ma ha avuto il merito artistico e storico di dare avvio alla straordinaria riscoperta della Matthäus-Passion e quindi di tutta l’immensa opera di Bach.

In Italia la Matthäus-Passion è arrivata con ritardo e con scarsa frequenza, in fondo per gli stessi motivi che la rendono tuttora di non facile esecuzione ed ascolto. È un’opera molto impegnativa. Anche oggi non è così facile, in Italia, ascoltarla, sia in sale da concerto sia nelle nostre chiese. Si tratta pur sempre di una partitura che richiede più di tre ore di esecuzione: tre ore in tedesco antico, con tanti recitativi che non sono sicuramente alla portata di tutti i solisti. Si tratta poi di un linguaggio musicale che richiede molta concentrazione e impegno anche da parte dell’ascoltatore.

La Passione in Italia

Tra i pionieri della diffusione in Italia de “La Passione secondo Matteo” è stato un sacerdote: l’abate Fortunato Santini. Questo è un particolare interessante. Oggi può apparire scontato che sia stato un sacerdote cattolico a proporre una composizione così intrisa di spiritualità, benché di un autore protestante luterano. Ma vi garantisco che all’epoca non era per niente scontato.

L’ecumenismo – ossia il rapporto tra le Chiese – doveva ancora muovere i primi passi. L’abate Santini ha colto la grandezza della partitura e, sia per renderla più fruibile al pubblico italiano, sia per porre, in qualche modo, un sigillo cattolico alla sua sacralità, decise di tradurne il testo in lingua latina. È bene dire che in tale versione La Passione non è mai stata eseguita, quindi cantata. Ma è ugualmente significativo lo sforzo fatto dall’abate.

Verso la fine dell’800, un’altra figura – il conte Francesco Lurani Cernuschi – si mise a tradurla in italiano per farne una versione ritmica che si prestasse ad essere cantata con la stessa musica. Anche gli sforzi di Lurani Cernuschi non ebbero esito: soltanto singoli brani vennero utilizzati. Solo nel ‘900 – quindi abbastanza recentemente – sono arrivati in Italia i momenti per eseguirla integralmente, secondo la partitura originaria.

Bach la compose nei primi anni della sua permanenza a Lipsia. Lipsia è stata l’ultima delle tappe della sua intensa vita da musicista. Prima di questa, aveva attraversato numerosi altri centri urbani, dai più piccoli ai più grandi, in vari ruoli, ma ovviamente sempre da musicista. Finalmente nel 1723 si stabilì appunto a Lipsia, ove gli venne assegnato il compito, molto prestigioso, di Thomaskantor, ossia di responsabile della musica sacra per tutta la città di Lipsia. A questo incarico erano connessi molti generi di doveri, alcuni graditi, altri un po’ meno graditi.

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Bibbia Calov di Bach

Tra quelli sicuramente graditi a Bach c’era proprio la composizione della musica sacra per la liturgia. Dai pochi documenti che possediamo al riguardo, possiamo dire che Bach – profondamente credente – riponeva grande fiducia nella funzione della musica da chiesa per l’evangelizzazione del popolo.

Lo notiamo, ad esempio, paradossalmente, proprio nelle polemiche che spesso imbastiva con i suoi datori di lavoro ecclesiastici, i quali non concedevano, a suo dire, fondi sufficienti per poter disporre di musicisti capaci e preparati. Sappiamo inoltre che Bach possedeva i due giganteschi volumi della cosiddetta Bibbia di Calov: libri impressionanti, proprio dal punto della mole fisica, su cui Johann Sebastian ha fatto le sue sottolineature e ha scritto le sue note a margine. Queste sono state recentemente studiate. Alcune delle note più sviluppate riguardano proprio la funzione della musica da chiesa.

Bach è andato a cercare quei passaggi del testo sacro che parlano della funzione spirituale – per non dire ‘divinizzante’ – della musica. I suoi commenti dimostrano quanto avesse ben chiara e a cuore tale dimensione. Tra gli aspetti invece meno graditi a Bach stava l’insegnamento. Ma non l’insegnamento in quanto tale. Anzi, disponiamo di una mole considerevole di brani composti appositamente per la didattica: da ciò possiamo intuire quanto Bach tenesse a trasmettere il suo sapere ai giovani allievi.

Ciò che altrimenti non era a lui gradito era quanto stava attorno ad un insegnamento di tipo istituzionale. D’altro canto, il fatto che alla chiesa di San Tommaso – alla quale era principalmente affiliato – fosse collegata un’istituzione come la Thomasschule gli permetteva di disporre di uno straordinario numero di allievi musicisti, da lui stesso formati.

Lutero e Bach

Come detto, Bach era luterano. La visione che Lutero aveva della musica è stata molto importante per Bach. Voglio dire qualche parola su questo.

Lutero fu un monaco agostiniano, prima, naturalmente, di dare luogo alla sua riforma. E Sant’Agostino è stato probabilmente il più grande teorico della musica dell’antichità, seguito dallo stesso Lutero, molti secoli dopo. Lutero era, lui stesso, un musicista. Era in grado di suonare diversi strumenti ed era capace di comporre anche canto polifonico. Sapeva scrivere musica in maniera corretta, anche se non straordinaria.

La sua grandissima intuizione fu quella di rendere popolare l’uso della musica dentro le chiese, attraverso, soprattutto, i corali. I corali sono importanti anche per il nostro discorso sulla Matthäus-Passion. Tecnicamente un corale è semplicemente un canto o una linea melodica, per lo più in lingua tedesca. Spesso vi sono stati inseriti frammenti, più o meno estesi, in lingua latina e persino greca. Lutero non era, infatti, per nulla contrario all’uso del latino e delle lingue antiche nella liturgia; avrebbe voluto persino il greco quale lingua liturgica della chiesa luterana.

Il corale non è stata un’invenzione di Lutero. A lui si deve l’introduzione sistematica in chiesa di un repertorio preesistente, fatto di canti devozionali. Consideriamo tuttavia che la distinzione tra ciò che era liturgico e ciò che non lo era, all’epoca, era piuttosto labile.  Lutero ha intuito l’efficacia che questi canti popolari potevano avere in tutta una serie di funzioni di evangelizzazione, tra cui trasmettere la dottrina, alimentare il senso di devozione, creare il senso di comunità e plasmare, tramite la bellezza, la comunità stessa.

Il riformatore decise, pertanto, di conferire un ruolo di preminenza al corale all’interno della liturgia, senza, peraltro, sbarazzarsi di altre forme più complesse. I corali sono divenuti il fondamento di altre composizioni, quali i mottetti e le stesse composizioni polifoniche. Le melodie corali che Lutero ha scelto avevano la facoltà di essere memorizzate molto facilmente dagli ascoltatori del popolo e hanno contribuito, in maniera determinante, alla diffusione della confessione luterana in Germania e non solo.

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Queste semplici melodie, immediate, facili da ricordare, da ascoltare e da cantare, potevano essere utilizzate quale cantus firmus, oppure poste a fondamento di costruzioni polifoniche, per divenire gli elementi di costruzioni ancora più complesse come è avvenuto, ad esempio, nelle cantate di Bach.

Nella Matthäus-Passion incontriamo l’armonizzazione del corale: il che significa l’utilizzo della melodia del corale quale linea di fondo a cui sovrapporre altre voci. Si prendono, ad esempio, quattro voci – soprano, contralto, tenore e basso – e si assegna loro un ritmo praticamente identico, ma non sempre identico, facendo quindi ripetere le varie sillabe del testo ai solisti. Ciò, ovviamente, agevola moltissimo la comprensione, proprio dal punto di vista fonetico-verbale.

La forma della Passione, come genere musicale, ha una storia molto lunga. Si può dire che abbia almeno due provenienze, tra loro piuttosto diverse. La prima è quella della sacra rappresentazione che, come ben sappiamo anche in Italia, è una realtà paraliturgica, ossia una teatralizzazione del sacro, svolta normalmente in lingua volgare e spesso arricchita da un apparato scenico. La seconda è quella della lettura drammatizzata del testo evangelico in latino nell’ambito della liturgia.

Già nel 1200 Willliam Durandus raccomandava che colui che andava a leggere la Passione non lo facesse con un medesimo tono di voce dall’inizio alla fine, bensì cercasse di rendere, ad esempio, le parole di Cristo con un tono di voce più dolce, quelle dell’evangelista o del narratore o del cronista – come lo chiamiamo noi oggi – con una voce più distaccata, mentre i testi attribuiti alla folla fossero declamati con clamore et cum asperitate.

Lo stile drammatico rappresentativo è dunque transitato dalle sacre rappresentazioni alla lettura liturgica, benché ancora realizzata da una persona sola. Proprio Lutero, nel 1526, più o meno due secoli prima della Matthäus-Passion di Bach, aveva vietato, tuttavia, le rappresentazioni sacre, che considerava delle mascherate più che delle rappresentazioni consone. Ciononostante, l’ibridazione si era ormai, in un certo senso, già realizzata.

All’epoca di Bach, nel tempo quaresimale, non si poteva fare musica concertata in chiesa. Questo non ci sorprende. In particolare, non si poteva accompagnare la voce con strumenti musicali, proprio per rendere maggiormente evidente il significato penitenziale. Perciò il periodo quaresimale ha consentito al Thomaskantor Bach – che normalmente, doveva comporre a ritmo serrato più di una cantata a settimana (considerate le festività extra-domenicali) – di trovare un po’ di tempo per preparare meglio la liturgia della Passione della Domenica delle Palme e poi, naturalmente, per preparare la festività di Pasqua.

La tradizione luterana prevedeva la possibilità di intonare il testo evangelico della Passione con un canto monodico in stile recitativo. Questa forma di declamazione intonata veniva detta choraliter ed era ispirata al tono di lezione gregoriano. Ma, via via, erano emerse altre forme di recitazione intonata. Le riassumo.

La Passione al tempo di Bach

C’era, per esempio, la Passione a modo di responsorio che prevedeva interventi del coro – nello stile del falso bordone – in risposta alla lettura intonata da parte del celebrante. C’era la Passione a mottetto in cui l’intero testo evangelico veniva reso in maniera polifonica, quindi con una partitura di spessore dal punto di vista compositivo. C’era poi la Passione drammatica in cui il testo del recitativo si allontanava da quello evangelico con parole scritte allo scopo dai poeti. Sino ad arrivare alla Passione oratorio in cui la realizzazione era divenuta svincolata dall’azione liturgica.

All’inizio del Settecento – ossia quando Bach inizia a muoversi nel mondo della musica sacra – sono sostanzialmente la Passione oratorio e la Passione oratoriale ad avere successo e pratica in Germania. La Passione oratoriale – quella praticata da Bach – era ancora ancora legata al testo evangelico e alla celebrazione liturgica e veniva divisa in due parti, prima e dopo il sermone.

Come ho detto, Bach era il responsabile di tutta la musica sacra della città di Lipsia. Come tale, doveva articolare il lavoro nelle due principali chiese della città, la Thomaskirche e la Nikolaikirche. Ciò poneva problemi di turni di lavoro di lavoro dell’organico di musicisti e cantori a sua disposizione. Erano ben quattro i cori di ragazzi della Thomasschule e venivano organizzati secondo le necessità del culto. La priorità di impiego era stabilita secondo il livello musicale raggiunto. Diciamo che due cori erano di livello più elevato, mentre gli altri due più modesto. La prassi invalsa a Lipsia era quella di intonare la Matthäus-Passion nella Domenica delle Palme, mentre la Johannes-Passion il Venerdì Santo.

Nella Nikolaikirche nell’ambito del servizio liturgico del mattino, veniva realizzata una lettura choraliter nello stile della prima tradizione luterana, quindi molto semplice. A partire dal Venerdì Santo del 1717 invalse la nuova consuetudine di eseguire la Passione secondo lo stile polifonico – ossia figulariter – nel corso del servizio pomeridiano.

matteo passione

Andava inoltre a decadere l’obbligo di limitarsi al testo del vangelo di Giovanni. Si è data quindi la possibilità di attingere i testi del Venerdì Santo anche dai vangeli sinottici. E si è pertanto offerta a Bach, la possibilità di presentare una grande Passione, nel Venerdì Santo, dapprima nella Chiesa di San Tommaso, poi nella Chiesa di San Nicola, con una condizione particolare, ossia l’alternanza rigida nelle due chiese: la nuova Passione – musicalmente più ricca – avrebbe avuto luogo in una sola chiesa, l’anno successivo nell’altra. Nel mentre sarebbe rimasta, in alternativa, la Passione choraliter. Questa prassi è rimasta per una quarantina d’anni circa, ossia per tutto il tempo di permanenza a Lipsia di Bach. E ha dato origine ad un servizio liturgico di grande complessità e di enorme durata.

Abbiamo la testimonianza di un sacrista: verso l’una e un quarto del pomeriggio suonavano le campane per chiamare a raccolta la popolazione ed iniziava la celebrazione con un corale; a questo seguiva la prima parte della Passione; un altro corale precedeva il sermone; e quando parlo di sermone non dobbiamo pensare ai dieci minuti – che ci sembrano già lunghi – delle attuali omelie nelle nostre celebrazioni: si trattava a volte di sermoni della durata di circa un’ora; c’era poi la seconda parte della Passione; dopo questa veniva eseguito un mottetto in latino di Jacobus Gallus, quindi cantato un versetto ancora della Passione; quindi l’orazione, la colletta e ancora un corale. Insomma, la durata globale della celebrazione era da stimarsi in circa quattro o cinque ore.

Secondo il necrologio scritto da uno dei figli, Bach ha composto per la liturgia, a Lipsia, ben cinque Passioni, tra le quali una a doppio coro. Tra gli enigmi della storia della musica c’è proprio quello della sorte di tutte queste partiture. La Passione a doppio coro non può essere che la Matthäus-Passion, ma le altre quattro?

Abbiamo la Johannes-Passion, l’altra completa. Sicuramente Bach ha composto una Passione sul testo dell’evangelista Marco, di cui, sventuratamente, ci è pervenuto soltanto il libretto, ma non la musica. Resta il dubbio su una Passione secondo Luca già attribuita a Bach ma che, in realtà, non può essere sua. È legittimo supporre che ne abbia comunque composte una per ogni evangelista e che della Matthäus-Passion esistessero due versioni, una appunto per doppio coro – quella che abbiamo – e una per coro singolo.

Tutto ciò rimane avvolto da domande senza risposte, pure col rimpianto di aver perduto altri capolavori, calcolando che Bach ha organizzato la musica liturgica della Settimana Santa a Lipsia per ben ventisei volte almeno. Chiaramente non ha usato sempre e soltanto musiche sue proprie. Ha ripreso anche musiche di compositori che apprezzava, tra cui, tra i coevi, George Phlipp Telemann e George Friedrich Händel.

I libretti, ossia i testi, le parole messe in musica da Johann Sebastian – sono di autori vari. In particolare, nella Matthäus-Passion, e anche quella secondo Marco, si è avvalso del lavoro di Christian Friedrich Henrici – detto Picander -, uno dei grandi collaboratori di Bach: un poeta di livello forse non eccelso ma con una grande musicalità e una grande capacità di adattarsi alle richieste del compositore. Ora – a differenza del passato – trovo che i testi di Picander non siano soltanto accettabili, ma persino belli. Belli per la sua visione teologica. Belli per le sue intuizioni spirituali. Belli perché si combinano benissimo con la musica.

Nella Matthäus-Passion la musica è stimolata dalla poesia e la poesia dalla musica.  Se Picander conosceva la musica – e lavorava quindi bene con un musicista – Bach non era senz’altro privo di cultura e di doti letterarie per poter lavorare con Picander. Anzi. È molto interessante notare – dal punto di vista spirituale e teologico – come lo stesso compositore abbia voluto curare la scelta dei corali da inserire nella Matthäus-Passion. Lo sappiamo per certo, poiché il libretto pubblicato da Picander, in una sua raccolta di composizioni poetiche, non comprende i corali. I corali sono stati scelti e inseriti proprio da Bach. Attenzione: i corali non vanno confusi con i cori.

La Passione secondo Matteo

I cori sono delle composizioni su testo libero – poetico – che servono a esprimere, normalmente, i sentimenti della comunità, ma anche a conferire un movimento drammatico molto forte (qui). Nella Matthäus-Passion ne troviamo all’inizio e alla fine delle varie parti. Oppure troviamo cori con la funzione di dare voce alla turba, al popolo. Questi secondi cori fanno parte della narrazione evangelica e quindi hanno forma molto diversa, quella del recitativo.

Il testo narrativo dei vangeli – quello che viene ovviamente letto pure nelle nostre chiese nella liturgia della Domenica delle Palme oppure nel Venerdì Santo – nella Matthäus-Passion è affidato ad una voce particolare che è quella dell’evangelista-tenore: è una parte estremamente ingrata perché è difficilissima e non ha mai un’aria in cui poter respirare. Il suo è un recitativo secco, ossia accompagnato da pochi strumenti: di solito da un solo strumento a modo di basso continuo, quale può essere un violone o un violoncello, raramente il fagotto.

All’interno della narrazione intervengono le voci dei vari personaggi evangelici. Quando c’è un dialogo, le parti vengono intonate da voci che hanno naturalmente a che fare col personaggio rappresentato. La voce del basso, ad esempio, è la voce dell’apostolo Pietro. Quando intervengono personaggi femminili, le voci sono acute: sappiamo che, all’epoca di Bach, le parti femminili, erano intonate da fanciulli, o comunque da uomini con timbro di voce e altezza di voce tipicamente femminile.

La corrispondenza tra il personaggio e il timbro di voce viene tuttavia – deliberatamente infranta dallo stesso Bach nelle arie, per creare una sorta di alienazione del fedele-ascoltatore, affinché questi non si limiti ad assistere alla Passione del Signore Gesù, ma ne sia coinvolto, proprio a motivo dalla mancanza di una totale corrispondenza tra il personaggio e la voce. Questo si nota molto bene, a mio avviso, nell’aria Erbarme dich abbi pietà – (qui), una delle più belle e commoventi arie della Matthäus-Passion.

Una particolarità della Matthäus-Passion è il fatto che la voce di Cristo – quando Cristo parla all’interno della narrazione – sia circonfusa, per così dire, da un’aureola sonora (qui). Mentre l’evangelista e gli altri personaggi cantano il recitativo secco, Cristo canta il recitativo accompagnato. Vuol dire che, ad accompagnarlo, intervengono gli archi. Questa sorta di aureola sonora che circonda la voce di Cristo la rende immediatamente riconoscibile e conferisce alle parole di Cristo una qualità musicale diversa da tutte le altre. Facile pensare che Bach abbia voluto distinguere e sottolineare la sua divina umanità: uomo come gli altri, che parla come gli altri e che quindi canta come gli altri, ma che, nello stesso tempo, è il Signore Dio.

Nella narrazione dell’evangelista si inseriscono, come detto, anche gli interventi dei cori. Nel momento in cui, ad esempio, l’evangelista pronuncia le parole «la folla disse», il coro subentra in canto con ciò che dice la folla. In alcuni rari casi hanno luogo duetti: per esempio nel caso dei falsi testimoni che cantano in canone a duetto (qui).

Abbiamo poi, oltre alle arie, gli ariosi. L’arioso sta tra il recitativo e l’aria (qui); è una forma musicale non così lirica, non così spiegata, non così libera come l’aria; nello stesso tempo è molto più libero del recitativo. È una forma in cui c’è molta declamazione e nello stesso tempo l’accompagnamento si fa più musicale.

Le arie costituiscono il momento, forse, più immediato e più godibile della Matthäus-Passion. Spesso vedono una presenza protagonistica di strumenti musicali (qui). In questi casi si tratta più di un duetto che di una vera e propria aria, nel senso che la voce e lo strumento (o gli strumenti) duettano, appunto, tra loro. Bach, quasi sempre, sceglie gli strumenti non solo per il loro timbro, ma anche per il loro valore simbolico. Molto spesso avviene nella Matthäus-Passion. La funzione degli ariosi e delle arie è quella di offrire un momento di respiro, di pausa, di meditazione, di appropriazione del testo evangelico da parte del fedele-ascoltatore, a modo di meditazione personale.

Non da ultimo, nella Matthäus-Passion, come detto, incontriamo i corali che, per lo più vengono presentati in forma armonizzata (qui) ma che a volte troviamo alla maniera di melodie di corali inserite nell’arco di altre forme.

Ho accennato alla continua dialettica fra identificazione e non identificazione. Nella Matthäus-Passion c’è la parte, fissa, narrata dall’evangelista, quale testimone oculare, e c’è la parte di assimilazione spirituale, mobile, dei fedeli, di ieri, di oggi e di sempre. C’è la lettura del Vangelo e c’è la sua trasfigurazione poetica. Ci sono i fatti storici e c’è il memoriale liturgico. I vari elementi si combinano nella costruzione musicale complessiva come in una grande liturgia. La narrazione evangelica – possiamo dire – corrisponde al momento della lectio divina, le arie e gli ariosi insieme corrispondono alla meditatio personale, i corali hanno la funzione dell’oratio, ossia della preghiera comunitaria.

Creazione e prima esecuzione della Passione, quasi sicuramente, sono da attribuire al 1727. Si pensava un tempo al 1729. La ripresa di Mendelssohn nel 1829 voleva essere un omaggio al centenario dell’opera. Siamo certi che fosse un anno dispari perché nella Thomaskirche la Passione più complessa si dava appunto negli anni dispari. Essendo una composizione a doppio coro e a doppio orchestra, era indispensabile disporre dei due organi che si trovavano e si trovano nella Thomaskirche, ma non nella Nikolaikirche.

Ho parlato ripetutamente di doppio coro, ma si potrebbe dire di un terzo coro. Nel primo grande intervento del coro, infatti, i due cori principali dialogano tra loro in maniera già bellissima, quando un terzo coro si incastra in maniera ancor più mirabile dal punto di vista polifonico e contrappuntistico. È un momento molto toccante (qui).

Possediamo un magnifico manoscritto del 1736, ossia del periodo in cui Bach stava facendo le belle copie delle sue composizioni. È un manoscritto veramente molto bello da osservare per calligrafia, per ordine e pulizia (qui). Anche chi non sa leggere la musica può immaginarne la complessità: una partitura per doppio coro e doppia orchestra, quindi con tantissimi pentagrammi sovrapposti.

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La teologia della Passione secondo Matteo

L’ultima parte di questa presentazione la voglio dedicare all’approccio teologico di Bach alla Matthäus-Passion. Da quel fine esegeta e uomo spirituale quale era, Bach coglie benissimo il diverso taglio che caratterizza la narrazione evangelica della Passione secondo Matteo rispetto a quella secondo Giovanni: in quest’ultima il fulcro della narrazione – come sappiamo – è posto sulla regalità di Cristo, perché, in Giovanni la croce rappresenta la gloria di Cristo; mentre,  nel caso, di Matteo, il Cristo è innanzi tutto “l’uomo dei dolori che ben conosce il patire”, il servo sofferente di Isaia, il più umano degli uomini che chiede di entrare nella sua passione con la nostra umana passione, così capirla e amarla.

L’altra importante visione della Passione dell’evangelista Matteo, nella Matthäus-Passion, è il compimento delle profezie della Scrittura in termini di esiti di salvezza e di redenzione. La divina-umanità di Cristo, viene evidenziata dalla aureola sonora degli archi e dallo stile particolare con cui il Cristo di Bach canta i suoi recitativi, con movimenti melodici estremamente dolci, estremamente gradevoli, tanto da sfociare talora nell’arioso, come nel momento dell’istituzione dell’Eucarestia: uno dei momenti più commoventi, secondo me (qui).

Il personaggio di Cristo non canta mai arie, canta sempre soltanto le parole del Vangelo. Nella narrazione di Matteo, parla sempre meno e, perciò, di conseguenza, nella Passione bachiana, canta sempre meno.  Al progressivo scomparire del personaggio, tuttavia, Bach fa succedere una sua più misteriosa e spirituale presenza: nella seconda parte, infatti, accresce il suono degli archi: come se rimanesse l’aureola di cui ho detto, senza più l’uomo Gesù.

L’ultimo aspetto biblico e spirituale che voglio evidenziare è la grande importanza che nella Matthäus-Passion riveste il Cantico dei Cantici. Il Cantico è il canto biblico dell’amore per eccellenza.  Sembrerebbe avere nulla a che fare con la Passione e la liturgia del Venerdì Santo. In realtà si può dire che – nella Passione musicata da Bach – lo sguardo sia femminile. Come se fosse la Chiesa – la Sposa di Cristo – l’innamorata, a contemplare quel che accade al suo Sposo. Sin dall’inizio, sin dalle primissime battute e parole del primo coro, incontriamo l’invito: «Venite, o figlie! Aiutatemi a piangere».

È una posizione femminile che poi ritroviamo anche in altri grandi cori che incorniciano la Matthäus-Passion: ad esempio, nella dolcissima e struggente ricerca dell’amato, da parte dell’amata, nel momento in cui Gesù viene catturato (qui). L’aspetto femminile si collega all’importanza dell’icona dell’Agnello immolato e risorto dell’Apocalisse, la cui Sposa è la Figlia di Sion, la Chiesa dei beati, ormai proiettata nella visione escatologica.

Il testo è la trascrizione – curata da Tiziana Bacchi e Giordano Cavallari – di una presentazione verbale rivisto dalla relatrice. Per un ascolto integrale dell’opera Chiara Bertoglio suggerisce la registrazione di una esecuzione dal vivo diretta dal maestro di Ton Koopman: parte I e parte II.

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2 Commenti

  1. Fabrizio Iodice 17 aprile 2022
  2. francesca cocchini 15 aprile 2022

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