Tolkien e la destra italiana

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destra italiana

Una polemica politica, oltre che letteraria, è stata di nuovo innescata dalla nuova recente traduzione de Il Signore degli Anelli di J.R.R. Tolkien.

La traduzione di Ottavio Fatica segue quella storica di Vicky Alliata del 1967, rivista poi da Quirino Principe nel 1970 per l’editore Rusconi, con l’introduzione di Elemire Zolla.

Già prima della pubblicazione (nel 2019 è uscito il primo libro della trilogia La Compagnia dell’Anello) la grande schiera dei detrattori si è fatta avanti e, a pochi giorni dall’uscita del libro, le recensioni sul web si sono moltiplicate esponenzialmente, quasi tutte negative. La vicenda ha destato più di qualche sospetto: difficile che un tomo di 694 pagine possa essere letto e commentato in pochissimi giorni da così tante persone che non lo fanno per mestiere.

Molti indizi fanno pensare che le recensioni siano false: giudizi netti senza commento, brevità, termini sensazionalistici. Le poche recensioni lunghe e argomentate sono, invece, positive.

Suona strana una presa di posizione così dura e decisa nei confronti di una nuova traduzione di un classico – tale è Tolkien – che come tutti i classici può, e deve, essere ritradotto.

In realtà, sottesa alla polemica persiste un’antica questione che riguarda un reiterato tentativo di lettura ideologica dell’opera di Tolkien.

Alcune recensioni, pubblicate da giornali che si collocano a destra, hanno accusato la nuova traduzione di inseguire una cultura dominante progressista e addirittura gay.

Polemica sospetta

Altri hanno accusato Fatica di cambiare forzatamente genere all’opera trasformandola da poema epico cavalleresco a fiction per giovani e adulti, più fruibile e politicamente corretta.

Viene il sospetto che quest’alzata di scudi di una area culturale ben definita, al di là della traduzione in se stessa, voglia difendere un legame, presente solo in Italia, che vede Tolkien fortemente vincolato alla cultura di destra.

Un rapporto che viene da lontano e che, per chiarezza, vale la pena approfondire.

Dalla fine degli anni Sessanta, e specialmente nei Settanta, il tentativo di appropriazione dell’universo tolkeniano è ricorrente da parte di gruppi ecologisti, anarchici e fanatici New Age.

Negli stessi anni la sinistrorsa contestazione studentesca del ’68 negli Stati Uniti, assume Il Signore degli Anelli come punto di riferimento.

Tentativi di appropriazione ideologica

È in Italia però che si assiste alla volontà di omologazione di un’opera da parte di una cultura politica.

La traduzione degli anni Settanta, soprattutto l’introduzione di Zolla, inquadrano il libro nella cultura della destra italiana, riducendo la portata dell’opera e svilendone la natura, complice la sinistra che vede negli stessi anni la letteratura fantastica come una fuga dalla realtà e definisce Tolkien, con disprezzo e arbitrariamente, fascista.

Nel 1976 nel quartiere Parioli, allora cuore della destra romana, al Teatro delle Muse si esibisce la Compagnia dell’Anello, un gruppo musicale che riprende il nome dal primo libro della trilogia de Il Signore degli anelli.

Il gruppo, che compone canzoni a sfondo politico chiaramente orientate, avrà un forte seguito tra i giovani del Movimento Sociale di Almirante e di Azione Giovani.

Tra le canzoni del gruppo figurano titoli come Storia di una SS e La ballata del nero.

Nello stesso tempo, riviste schierate decisamente a destra come L’Italiano e Idea dedicano recensioni entusiastiche al libro del professore inglese a firma Gianfranco de Turris e Franco Cardini.

La libreria Europa di Roma, centro di diffusione della stampa militante di destra, ne vende centinaia di copie. Nello stesso tempo Tolkien riempie giornali, riviste e opuscoli di area.

Una lettura strumentale

Oltre alla citata introduzione di Elemire Zolla, una lettura simbolica e allegorica dell’opera matura nel corso dei campi Hobbit, una manifestazione nata in seno al Fronte della Gioventù, una destra che si riferisce a Pino Rauti. Una festa incontro, con concerti e dibattiti concepita in opposizione alle manifestazioni della sinistra, non, però, una festa paramilitare come spesso erroneamente è stato scritto.

La lettura dell’opera di Tolkien risulta superficiale, adottata più per veicolare un sistema valoriale oltre il solito circolo di riferimento, nel tentativo di rompere un pesante isolamento culturale.

Un’interpretazione dell’opera ideologica e mistificatrice che intende saldare con forza il binomio destra-Tolkien. I punti di reale contatto con la complessa opera dello scrittore sono pretestuosi e spesso si riducono a una forzata acquisizione di simboli e motti da mettere accanto a quelli classici ereditati dal fascismo, al fine di attirare i giovani.

Tra i tanti esempi di lettura mediata da filtro deformante si può prendere una delle frasi ancora oggi citate in molti manifesti: «le radici profonde non gelano», citata specialmente in occasioni celebrative, spesso corredata di croci celtiche e spadoni, usata, anche negli anni passati, per mettere in guardia dai rischi dell’invasione degli immigrati.

Inoltre la citazione è spesso accostata a motti fascisti mussoliniani e a pensieri di Ezra Pound e di Giorgio Almirante.

Nel libro la frase si riferisce a uno scambio tra due personaggi fondamentali della trilogia: una lettera che il grande “mago” Gandalf indirizza a Frodo, il piccolo hobbit.

L’impianto cosmogonico elaborato da Tolkien è complesso, tanto più da descrivere in poche righe.

Gandalf è una sorta di essere superiore inviato sulla Terra di Mezzo (il luogo dove si svolge la vicenda) da creature angeliche che stanno al cospetto dell’Unico creatore del mondo, con lo scopo di suscitare nei popoli nobili e liberi la resistenza al male e le forze per salvare la bellezza del mondo dall’ombra dilagante.

Il vecchio saggio mette semplicemente in guardia hobbit a non farsi ingannare dalle apparenze in vista del prossimo incontro con un tipo dall’aspetto poco raccomandabile: Aragorn, che poi si scoprirà essere il re che sconfiggerà il male e governerà con giustizia.

Il testo annuncia un barlume di luce che sconfiggerà l’oscurità, inneggia alla speranza che vive quando tutto sembra negarla.

Nessun riferimento a un apocalittico scontro di culture e civiltà. Una frase decontestualizzata e adattata arbitrariamente a fini ideologici per affermare principi razzisti con richiami alla difesa della propria civiltà e delle proprie radici.

Talvolta i risultati sono francamente comici. A difesa di un’ideologia che spesso fa riferimento alla purezza della razza, si cita la Compagnia dell’anello formata dai rappresentanti di quattro razze diverse. Oltre Gandalf, infatti compaiono uomini, nani, elfi e soprattutto hobbit.

Hobbit, antieroe

Sugli hobbit è necessario soffermarsi proprio in omaggio a Tolkien, il quale dichiarò che avrebbe voluto essere uno di loro. Alti circa un metro e mezzo, contadini e commercianti senza nessuna attitudine a gesta eroiche, sono esseri che vivono semplicemente e in armonia con la natura e il creato – che lettura interessante sarebbe partire da qui! – e considerati talmente inferiori e insignificanti da non degnare l’attenzione di nessuno, neanche di Sauron, l’oscuro signore, il padrone dell’anello, che tenta di assoggettare il mondo alla sua malvagia e terribile volontà.

E sarà Frodo, un piccolo essere insignificante, a salvare il mondo distruggendo l’anello del potere che poteva incatenare la volontà degli esseri viventi e ridurli schiavi del maligno.

Basterebbe solo l’epilogo della trilogia a suggerire una lettura più attenta: non una sfolgorante battaglia condotta e vinta da un manipolo di splendidi eroi salva il mondo, ma il faticoso cammino di un essere considerato insignificante, che assume su di sé un peso enorme per salvare il mondo, che nell’ombra arriverà nel cuore del regno del male, dove esiste il solo fuoco che può fondere l’anello e dissolvere il suo potere.

Tra potenti elfi, nobili uomini, coraggiosi nani e un “mago” dai poteri sovrannaturali, un piccolo, debole e insignificante essere agli occhi dei più, prende un fardello pesante e assume su di sé il peso della salvezza del mondo.

Suggestioni messianiche

Osando, si potrebbe definire una dimensione cristica. Lo stesso Tolkien ci offre una forte suggestione. In una lettera indirizzata al suo amico gesuita padre Murray, scrive: «Il Signore degli Anelli è un’opera profondamente cattolica; all’inizio non ne ero consapevole, lo sono diventato durante la correzione».

Nonostante ciò, il professore inglese continua a essere citato come punto di riferimento dai rappresentanti di un’ideologia estranea alla sua opera. Anni in cui sul sito di Azione Giovani, il movimento giovanile di Alleanza Nazionale poi confluito nella Giovane Italia, Tolkien è affiancato a Balbo, Evola, Mussolini e Carlo Magno.

Nella lista dei libri del buon militante Il Signore degli Anelli compare al primo posto, precedendo monografie dedicate alle SS.

Una giovane Giorgia Meloni dichiarava all’inizio degli anni duemila che la Bibbia della destra è Il Signore degli Anelli. Affermazione curiosa per un cristiano dichiarato, anzi urlato, assumere orgogliosamente un’altra scrittura come riferimento.

Sembra riproposta la solita lettura funzionale con sempre il medesimo obiettivo: connettere elementi e declinarli in modo da comporre un sistema valoriale di riferimento.

Semplificazione

La riproduzione di una cifra tristemente distintiva del nostro tempo: la semplificazione di sistemi complessi e l’arbitrario adattamento di senso. Una modalità in grado di innescare due aspetti potenzialmente destabilizzanti: populismo e negazionismo.

Ritorniamo alla traduzione. Quella di Fatica ha spiazzato molti dei fan di Tolkien, alcuni dei quali sono animati da una fortissima appartenenza.

Grande polemica ha suscitato, per esempio, la definizione di alcuni nomi, scelte più volte motivate dallo stesso Fatica. Granpasso il Ramingo, che poi si scoprirà essere Aragorn il Re, diviene Passolungo il Forestale.

Tolkien è un autore molto complesso; l’esimio insegnante di filologia a Oxford usa termini arcaici il cui significato nel contesto non è certamente il primo e il più comune che si trova sul dizionario.

Filologia e traduzione

Il testo originale recita “Strider” tradotto con “Passolungo” e “Ranger”: un termine di origine medievale che significa esattamente custode-vigilante di un territorio, una figura che indica protezione da una minaccia, esattamente quello che fa Aragorn in lunghi anni di anonimato: protegge e preserva la Contea dalle minacce del maligno. Certo, “Ramingo” è più affascinante di “Forestale”, ma la traduzione è più esatta da un punto di vista filologico.

A testimonianza della fondamentale importanza della lingua, non bisogna dimenticare che la complessa cosmogonia creata da Tolkien è ispirata dall’invenzione di una lingua, l’elfico. Solo dopo egli ha immaginato il mondo dove questa lingua potesse vivere.

Altro aspetto importantissimo della nuova traduzione, fedele al testo originale, è la diversità dei registri linguistici usati dai personaggi. Un elfo non parla come un contadino hobbit. Nella precedente traduzione tutti parlano nello stesso, aulico, modo. Le questioni legate alla traduzione sarebbero molto numerose e non è questa la sede per approfondirle. Si può però affermare che Fatica sembra offrirci un testo che, pur con la sensibilità del traduttore, si avvicina molto all’intenzione dello scrittore.

Lettura religiosa

Tra le suggestioni che suggerisce Il Signore degli Anelli, come accennato, una è quella cristica. Per esempio il rapporto col creato o la relazione come guarigione che riguarda spesso alcuni personaggi, come Eowyn, donna del fiero popolo di Rohan che ucciderà il re degli stregoni, il più malvagio servitore del male, e sposerà poi il tormentato Faramir, accettandolo e guarendogli l’anima. Nella superficialità della lettura ideologica proposta a destra, Eowyn riassume l’ideale della donna guerriera e casalinga (a tal punto che nel 1976 il Movimento Sociale fonda una rivista per propugnare la propria idea della donna chiamadola Eowyn).

Una lettura religiosa, però, che non può essere quella che intende ridurre il cristianesimo ai fondanti valori europei, tutore della purezza dei confini ideali da difendere ad ogni costo, magari brandendo un rosario contro l’invasione. Il crocefisso ridotto a simbolo d’identità culturale, un cristianesimo con un grande assente: Cristo.

Certo, il cristianesimo cui allude Tolkien non è un sistema valoriale adattato a difesa di una cultura, ma identifica Cristo come unico riferimento.

Tra i molti pregi della nuova traduzione c’è sicuramente quello di spogliarsi del superfluo per andare al cuore dell’opera e aprire a suggestioni che sembrano fortemente intrecciate nel tessuto narrativo. La nostalgia degli elfi per il ritorno a casa e l’analisi di alcune figure chiave come la splendente regina degli elfi Galadriel, che secondo alcuni studiosi richiama la Madonna.

Tolkien non lasciava mai nulla al caso, la lettura di alcuni simboli potrebbe essere interessante, come la veste bianca di Gandalf che non indica purezza o candore ma la somma di tutti i colori, segno di una presenza che si oppone al male suscitando il bene. Una veste bianca, come quella delle liturgie nelle feste cristologiche.

Non può essere un caso che la distruzione dell’anello del potere, rappresentazione del male, avviene il 25 marzo, festa dell’Annunciazione dell’incarnazione di Gesù.

Una fitta trama di elementi cristici

Non per apporre arbitrariamente un’etichetta, ma viste le dichiarazioni dello stesso Tolkien l’orizzonte cristiano è suggestione interessante.

Come assumono senso i tanti piccoli gesti quotidiani reiteratamente descritti dallo scrittore: l’erba pipa fumata insieme; mangiate e bevute che celebrano sempre una condivisione; l’amore per la natura e la bellezza del creato; sentirsi parte di una grande narrazione. Piccoli gesti immersi nel continuo fluire quotidiano che procacciano guarigioni, consuetudini che dissolvono ombre.

E come suggestione, allora, le radici profonde che non gelano nell’opera di Tolkien rimandano più a Geremia che a qualche eroe armato di spada intento a difendere i confini: «Benedetto l’uomo che confida in JHWH e JHWH è la sua fiducia. Egli è come un albero piantato lungo l’acqua, verso la corrente stende le sue radici; non teme quando viene il caldo, le sue foglie rimangono verdi; nell’anno della siccità non intristisce, non smette di produrre i suoi frutti» (Ger 17,7-8)

Una fitta trama di elementi cristici sottendono alla narrazione de Il Signore degli Anelli e sembrano molto più interessanti di un elfo con un arco e un nano con un’ascia pronti a difendere i sacri confini.

In questo contesto la nuova traduzione di Ottavio Fatica avvicina di più al testo originale del grande professore di Oxford.

Bibliografia

J.R.R. Tolkien, Il signore degli Anelli, Bompiani 2020.
J.R.R. Tolkien, Il signore degli Anelli, Rusconi 1986.
J.R.R. Tolkien, Lord of the Rings, Allen & Unwin 1986.
J.R.R. Tolkien, La realtà in trasparenza, Rusconi 1990.
H. Carpenter, Gli Inklings, Marietti 2011.
L. Del Corso – P. Pecere, L’Anello che non tiene, Minimum Fax 2003.
G. Spirito, Tra san Francesco e Tolkien, Il Cerchio 2003.

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5 Commenti

  1. Elisabetta Manfredi 25 agosto 2021
  2. Armando Barone 25 agosto 2021
  3. Sergio Ucciero 24 agosto 2021
    • Tobia 25 agosto 2021
    • Adelmo Li Cauzi 26 agosto 2021

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