Ai confini della Polonia

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Federico Rossi è operatore della associazione umanitaria Neos Kosmos, con sede in Italia ma con attività anche all’estero, in particolare in Grecia, ad Atene, ove collabora con la Chiesa armeno-cattolica in progetti di ospitalità e di integrazione sociale tra giovani migranti-rifugiati e giovani locali. In questi giorni, Federico si trova in Polonia a contatto con le organizzazioni umanitarie polacche impegnate nella crisi dei migranti al confine con la Bielorussia. Di seguito risponde ad alcune domande di Giordano Cavallari.

  • Federico, quali sono le ragioni della tua presenza in Polonia?

Sono qui innanzitutto per reperire informazioni – dirette o quanto meno mediate – sulla crisi al confine con la Bielorussia da parte di persone che si trovano ‘sul campo’, impegnate sia nell’aiuto ai migranti, sia nella sensibilizzazione della società polacca. La finalità della raccolta di queste informazioni è duplice: far sapere in Italia – attraverso fonti e canali attendibili – quel che sta accadendo e testimoniare che, prima di ogni partita geopolitica, vengono le persone in carne ed ossa.

  • Puoi brevemente ricostruire la vicenda delle persone che ora sono bloccate al confine tra i due Paesi?

La vicenda ha avuto inizio durante l’estate. Le persone – intere famiglie – sono state invogliate a partire con voli diretti da Dubai negli Emirati Arabi Uniti, da Erbil in Iraq, da Damasco in Siria, da Beirut in Libano e da Istambul in Turchia, con destinazione Minsk. La Bielorussia ha infatti rilasciato, negli ultimi mesi, visti di ingresso con procedure assai semplificate, facendo ritenere che sarebbe stato poi facile, per le persone imbarcate sugli aerei, raggiungere l’Europa.

Agenzie e compagnie aeree hanno fatto il resto. Superata una certa diffidenza iniziale, la proposta ha incontrato un grande interesse, allargandosi rapidamente. Per molti si è inaspettatamente aperta – di fatto – una nuova rotta migratoria: una rotta della speranza, apparentemente più facile e persino meno costosa della ‘rotta balcanica’, già da anni battuta dai profughi migranti, specie afghani, siriani, iraqeni.

In Bielorussia
  • Che cosa, dunque, è avvenuto una volta che queste famiglie sono giunte in Bielorussia?

Ovviamente attraversare i confini verso l’Europa non è stato per niente facile o affatto possibile. La Bielorussia non ha creato un canale umanitario: ha volutamente generato una situazione di emergenza.

Già ad agosto la Lituania ha ricevuto circa 5.000 profughi migranti sul proprio territorio. Dopo di che ha iniziato a respingerli, così come ha iniziato la costruzione di un vero e proprio muro. In quel momento il confine polacco è divenuto l’unico su cui tentare l’attraversamento verso l’Europa. Ma da settembre il governo polacco ha dichiarato lo stato di emergenza ed ha pesantemente militarizzato il confine.

Le organizzazioni umanitarie polacche si erano già mosse dall’estate raggiungendo – quando ancora era possibile – gli abitanti della zona di confine, per sensibilizzarle, ossia per spiegare loro quali persone avrebbero potuto incontrare, da quali Paesi, con quali problemi e con quali diritti. Si è creato un primo campo informale con un gruppo di profughi afghani, al limitare delle foreste, in territorio bielorusso – ovvero in una ‘terra di nessuno’ – in cui i volontari hanno potuto essere presenti. È stata evocata la possibilità della richiesta d’asilo.

Molti profughi l’avrebbero avanzata. Ma le guardie di confine hanno totalmente ignorato l’istanza. Il parlamento polacco ha, nel mentre, legiferato sul diritto d’asilo, consentendo i respingimenti, contrari al diritto internazionale. Il governo ha dato precise disposizioni per non permettere ai profughi di presentare richiesta di asilo in Polonia.

Non disponiamo di un dato complessivo – certo – di tutte le persone che dall’estate hanno percorso questa nuova rotta. Sappiamo però che solo al valico di frontiera della cittadina polacca di Kuźnica, attualmente, sono ammassate e bloccate dalle 3.500 alle 5.000 persone. Di contro – proprio lì – sono stati schierati buona parte dei 15.000 soldati e agenti di polizia disposti dal governo polacco. Se la politica della Bielorussia è stata quindi quella di attirare i migranti per spingerli verso il confine, la politica della Polonia è stata e resta quella di sigillare il confine e di impedire ogni passaggio.

  • Nella zona, qual è la situazione umanitaria, dalle informazioni che hai assunto?

Il governo polacco ha dichiarato da settembre lo stato di emergenza, creando una fascia di confine che va dai 3 ai 5 chilometri. in cui nessuno – tanto meno giornalisti e operatori delle organizzazioni umanitarie – possono entrare. Ovviamente in questa fascia di territorio ci sono cittadine e villaggi abitati. Ci vivono migliaia di persone.

Questo vuol dire che le informazioni e le segnalazioni – anche ai volontari delle organizzazioni con cui mi sto mettendo in relazione – provengono soprattutto dai cittadini residenti nella ‘zona rossa’. E questo benché gli stessi cittadini siano fortemente scoraggiati dagli agenti.

Le persone migranti che sono state dunque segnalate e incontrate dai volontari che riescono ad entrare nella zona – anche se non potrebbero farlo e stanno rischiando la sospensione delle attività della organizzazione – provengono dalle fitte foreste ‘primigenie’ che sussistono da quelle parti, con paludi, acquitrini e fango, nel freddo ormai invernale: sono persone allo stremo delle forze fisiche e psicologiche. Lo stesso governo polacco ammette 12 morti. Probabilmente sono molti più. Hanno bisogno di aiuto. Hanno bisogno di tutto. È divenuto noto in questi giorni – ovunque – il caso del bambino siriano di un anno, morto di stenti.

Accanto ai migranti
  • Con chi sei in relazione? Da chi ricevi le informazioni?

Con la mia associazione Neos Kosmos, sono in contatto con l’organizzazione Dom Otwarty che a sua volta fa parte di un network di 14 realtà aggregate in Grupa granica o ‘gruppo di confine’, punto di riferimento, appunto, per i cittadini polacchi che abitano nella ‘zona rossa’ – quindi per gli stessi migranti in cerca di aiuto – oltre che punto di snodo con la società civile polacca sino a Varsavia, in cui in questo momento mi trovo, prima di procedere per Bialistok.

Questa aggregazione di associazioni si sta adoperando – come può – per tutte le azioni di soccorso omesse dalle istituzioni. Si stanno occupando di cure mediche con medici volontari, di attività assistenziali con altri volontari, di difesa dei diritti dei potenziali richiedenti asilo con gli avvocati volontari, si stanno occupando, appunto, di comunicazione. Le mie informazioni vengono da persone di Dom Otwarty. Ripeto che queste organizzazioni stanno rischiando, per quel che fanno, la sospensione delle loro attività. Ovviamente non lo possono fare in maniera palese.

  • Che cosa riescono a fare ancora queste associazioni coi loro volontari per i profughi?

Chiaramente cercano di avvicinarsi il più possibile alla ‘zona rossa’ e di restare in prossimità di quella zona. In questo modo – attraverso le chat – riescono, come ho detto, a ricevere segnalazioni e richieste di aiuto da parte di chi si trova dentro la zona. Cercano di fornire – almeno a distanza – indicazioni utili perché i migranti in maggiore difficoltà possono trovare un aiuto.

Il ‘servizio’ riguarda anche i collegamenti con le famiglie nei luoghi di provenienza: spesso, infatti, i migranti perdono totalmente i contatti ed è importante poterli ripristinare, anche brevemente, per poter un poco tranquillizzare gli uni e le altre.

  • La Chiesa polacca con Caritas fa parte di questa rete?  

La Chiesa polacca si sta pronunciando per il ‘dovere’ di aiuto: nelle parrocchie, in queste Domeniche, sono state allestite collette di fondi e di generi per il soccorso. Dal sito della Caritas – io stesso – ho appreso che almeno una parrocchia che si è autonomamente organizzata per il soccorso. Ora è sostenuta dalla Caritas nazionale che sta allestendo ‘tende della speranza’ e le sta riempendo di generi di conforto appena al di fuori della ‘zona rossa’. Francamente non so di altre attività della Chiesa nella zona calda di confine. Caritas non fa parte di Grupa granica.

Polonia: opinione pubblica e governo
  • Come sta reagendo l’opinione pubblica polacca?

L’opinione pubblica è sempre più polarizzata attorno a questa vicenda, davvero centrale nel dibattito politico, in questo momento, in Polonia. Le organizzazioni di cui ho detto si stanno molto impegnando nell’opera di sensibilizzazione e, grazie allo loro testimonianza, direi che stanno guadagnando consensi in una società che certamente resta per lo più refrattaria o persino decisamente ostile ai migranti.

Emblematico è il caso dei cittadini polacchi che nella ‘zona rossa’ si sono visti arrivare, dalla foresta, nei loro giardini e attorno alle loro case persone sconosciute e lacere: dalle prime comprensibili reazioni di diffidenza sono passati sempre più numerosi alle azioni di aiuto concordate con i volontari e pure – ora – stanno partecipando alle manifestazioni di solidarietà attraverso i social, nonostante il rischio che queste prese di posizione comportano. La richiesta che sempre più spesso viene formulata da questi cittadini polacchi alle associazioni è divenuta: “diteci come possiamo aiutare i migranti!”.

Abbiamo sentito parlare – anche in Italia – del movimento del tutto informale delle ‘luci verdi’. Sono stati molti degli stessi cittadini polacchi della zona ad animarlo. Hanno pensato di lasciare accese in giardino o in casa, anche di notte, una luce di colore verde, magari semplicemente ricoprendo le lampadine di casa con la plastica delle bottiglie. Questo è un messaggio per i migranti, che così sono in grado di orientarsi e di capire a chi poter chiedere aiuto senza paura di essere segnalati alla polizia.

  • Il governo polacco non ha cambiato tuttavia la sua linea…

Il Paese è governato da un partito di destra la cui strategia politica – nel caso – è di dipingere questa ondata di migranti dal Medio Oriente come una invasione e un attacco ai valori nazionali.

Neppure tanto velatamente si fa riferimento alla loro appartenenza musulmana. La banca centrale ha persino avviato la procedura per coniare una moneta commemorativa della difesa del confine! Ma direi che questa retorica nazionalista sta incontrando sempre più resistenze nella opinione pubblica polacca.

  • Che dire della politica dell’Unione Europea in questa vicenda?

Il fatto grave – a nostro giudizio- è che l’Unione Europea sta sostenendo la politica del respingimento in deroga ai propri principi e alle stesse leggi internazionali sull’asilo, trasformandosi sempre più nella ‘fortezza Europa’.

Proprio per questa ragione è molto importante per me e per la mia associazione essere qui in Polonia in questo momento, a fianco delle organizzazioni di cui ho parlato. Italiani e polacchi, siamo egualmente europei e abbiamo quindi il diritto e il dovere di mettere in luce ciò che sta avvenendo, di esprimere e di consentire di esprimere liberamente il dissenso di tanti cittadini dell’Europa rispetto a questo genere di politica.

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