La Russia in guerra

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Intervista alla giornalista italiana Anna Zafesova sulla società civile e le comunità religiose in Russia nel tempo della guerra in Ucraina.

  • Anna, le risulta che bambini ucraini siano stati portati in Russia?

Tanti bambini ucraini si trovano ora in Russia, da Mariupol e dalle zone del Donbass occupato: solitamente con le loro famiglie, ma anche senza i loro genitori o parenti, specie bambini e ragazzini che si trovavano negli orfanatrofi. 250 erano a Mariupol. Per questi bambini il governo ha dichiarato di avviare una procedura di adozione in famiglie russe.

La sorte dei bambini ucraini in Russia
  • Lei pensa che le famiglie russe li adotteranno?

Come spesso capita anche in Russia, i bambini negli orfanatrofi ucraini sono figli di genitori ancora in vita, privati della patria potestà, per detenzione o per dipendenza da alcool o, semplicemente, perché molto poveri e quindi non in grado di provvedere al mantenimento.

È sorprendente che questi bambini possano essere adottati da famiglie russe, mentre gli stessi orfanatrofi russi sono pieni di bambini con gli stessi problemi. In Russia esiste, peraltro, uno stigma sull’adozione, tanto è vero che le (non molte) famiglie che adottano i piccoli spesso cambiano il quartiere o la città di residenza per non far sapere nulla ad altri e ai bambini stessi: una prassi opposta a quella europea. I bambini più grandi restano perlopiù negli orfanatrofi, specie ora che le adozioni internazionali dalla Russia sono bloccate.

  • Qual è il senso di questa operazione?

Si tratta chiaramente di una operazione propagandistica, volta ad affermare che il Donbass è territorio russo: quindi anche i bambini che vi abitano sono russi. L’aggravante è voler dimostrare che l’Ucraina li ha lasciati soli, mentre la Russia ne vuol diventare la vera grande famiglia.

Dal punto di vista della propaganda si tratta di un messaggio molto forte. Immagino qualche talk show che sta facendo tesoro delle famiglie ucraine in Russia e pure di questi bambini.

  • C’è il proposito di “russificarli”, come si legge?

Nel Donbass si parla soprattutto il russo. C’è una identità russofona, ma ucraina. Nei territori occupati i militari russi hanno da subito iniziato a sequestrare dalle biblioteche e dalle scuole i manuali scolastici ucraini, insieme ai libri di letteratura ucraina.

So che nella parte occupata della regione di Kherson le nuove autorità hanno persino cancellato le vacanze scolastiche e i bambini andranno a scuola per tutta l’estate per studiare il programma didattico russo: un chiaro programma di “russificazione” di tutti i bambini ucraini, con e senza genitori, nel Donbass come in Russia.

  • Quali risultati attende il governo russo?

Il regime russo è convinto che dicendo alla gente ciò che deve pensare, lo penserà. Estrarre dallo spazio pubblico le idee che non sono gradite ed inserire quelle gradite al regime è il costante zelo dei media russi da quando governa Putin, quindi da 20 anni a questa parte, senza contare i precedenti nella Unione Sovietica.

Inoltre – se nei primi anni dell’era Putin i docenti avevano libertà di scelta circa la manualistica scolastica – ora si è tornati al manuale unico di storia, da subito imposto anche nei territori occupati. Pensi che in questo manuale è stata persino variata la storia tradizionale – fondante – della Russia: non si ammette nemmeno più – o si nasconde – che la Russia sia nata a Kiev.

Quali saranno i risultati di questi programmi di “russificazione” sui bambini ucraini – alcuni dei quali già grandicelli – lo vedremo nei prossimi mesi ed anni: ma chiaramente non si può diventare “russi” dall’oggi al domani.

Russia: guerra e reclutamento
  • Si legge che l’esercito russo sia in difficoltà di reclutamento (e che questa sia una delle ragioni della “russificazione” dei giovani ucraini). Qual è la situazione dell’arruolamento per sostenere questa guerra?

In Russia si dice – per la verità da un po’ di tempo – che Putin voglia promuovere una mobilitazione generale con una speciale chiamata alle armi. Di fatto questo non è ancora avvenuto, per alcuni motivi.

Premetto che – secondo analisti che ritengo attendibili – attualmente l’opinione pubblica russa è ripartita in tre, grossomodo: un terzo della popolazione è assolutamente favorevole alla guerra, un terzo è contrario, l’altro terzo è spaventato dall’idea della guerra e non vuole neppure parlarne, rimuovendo di fatto il problema. Ma anche quel terzo che plaude ai bombardamenti delle città ucraine non risulta poi così disponibile a mandare i propri figli a combattere.

Da indiscrezioni raccolte da giornalisti e da stessi soldati russi fatti prigionieri in Ucraina – per quanto attendibili possano essere le loro testimonianze – sappiamo che numerosi militari di carriera si stanno rifiutando di andare a combattere, non perché siano convinti oppositori, ma semplicemente perché non vogliono andare a morire.

Le perdite, specie nelle prime settimane, sono state devastanti. Sappiamo, di conseguenza, di militari licenziati o rimandati a giudizio per il loro rifiuto, anche se questi non sono stati definiti, giuridicamente, disertori.

So inoltre di una quindicina di uffici di reclutamento – distribuiti in tutta la Russia – a cui sono stati provocati incendi. Anche qualche base militare è andata a fuoco. Non si tratta di segnali di netta opposizione alla guerra, quanto di una evasione pragmatica della stessa. I protagonisti sono giovani russi: mandando a fuoco i loro documenti forse hanno pensato di evitare la chiamata.

  • Sono i giovani russi di cui ci ha già parlato (cf. qui), poco inclini ad obbedire a Putin?

Diversi di questi giovani sono stati arrestati. Alcuni erano ragazzi già noti quali simpatizzanti dell’opposizione. Altri no. Mi sembra prevalere un atteggiamento non politicizzato: per evitare condanne più pesanti, dicono di aver agito sotto l’effetto dell’alcool o tanto per fare una bravata.

Sono a conoscenza poi di tanti giovani under 30 – migliaia – che hanno lasciato la Russia in questi mesi, trasferendosi in Paesi ex-sovietici – in Armenia piuttosto che in Georgia – ove possono andarsene senza visto e permanervi per un lungo periodo di tempo: sperano che nel frattempo si esaurisca il clima da chiamata alle armi. Il governo se ne è accorto e, per cercare, almeno in parte, di rimediare, ha proposto l’esenzione della leva militare ai tecnici informatici di cui il Paese ha oggi un gran bisogno.

Quindi, così come dal ’79 all’’89 – gli anni della guerra in Afghanistan – non si sono contate le tangenti per evitare il servizio militare e il fronte, altrettanto presumo stia accadendo ora.

Questi sono alcuni dei motivi per i quali – sinora – Putin non ha osato dichiarare la mobilitazione e la chiamata generalizzata alle armi.

  • Chi ci va dunque a combattere in Ucraina?

Dalle liste dei caduti e dei prigionieri fatti in Ucraina è possibile osservare come chi – più facilmente – è andato a combattere provenga da luoghi remoti della Russia, dal Caucaso e dall’estremo oriente. Non è un caso che non si trovino in queste liste ragazzi di Mosca, San Pietroburgo e di altre grandi città.

Si tratta di ragazzi di famiglie molto povere dei villaggi: poveri anche culturalmente, più facilmente manipolabili da parte della ideologia nazionalista; si sono arruolati per avere una fonte di reddito “sicura”.

Questo spiega pure gli episodi di saccheggio di cui molti si sono resi tristemente protagonisti in Ucraina. Basta dare un’occhiata ai mercatini online: sono pieni di roba – elettrodomestici, mobili e persino auto – da rivendere per mettere a frutto il bottino che questi soldati hanno trafugato a rischio della vita.

Questi ragazzi spesso non parlano russo e non hanno parenti in Ucraina, a differenza dei giovani russi delle grandi città: cinicamente – secondo il regime – possono sparare ai loro coetanei ucraini.

  • I militari di leva non dovrebbero trovarsi al fronte…

Sì, ma sappiamo di centinaia di casi che di fatto smentiscono la legge, che pur esiste in tal senso. Questa viene infatti facilmente aggirata facendo firmare ai soldati di leva contratti – anche retrodatati – con cui diventano militari di professione.

Madri russe
  • Il movimento delle madri russe cosa sta facendo per salvare i figli?

Così come questo movimento è stato molto attivo in guerre precedenti, ora mi pare molto poco attivo. Certamente sono cambiate tante cose. La prima guerra cecena si era svolta infatti in condizioni di libertà di stampa ben diverse dalle attuali, mentre la seconda guerra cecena si è collocata all’inizio della repressione che ora sfocia nella censura che impedisce persino di pronunciare la parola guerra.

Per cui è molto più probabile oggi – per queste madri – essere fermate e arrestate. Il movimento collettivo ha quindi margini di azione molto ridotti. E tuttavia mi sembra che – anche a livello individuale – qualcosa stia mancando: durante le guerre che ho citato, le madri andavano in Cecenia a recuperare i corpi dei loro figli, mentre ora nessuna mamma se la sente di andare in Ucraina, nonostante la disponibilità mostrata dalle autorità ucraine.

Tutto è obiettivamente molto più difficile: il confine è sostanzialmente chiuso, devono essere richiesti visti difficili o impossibili da ottenere e rischiano di essere accusate di alto tradimento. Resta l’amarezza per l’inanità. Per me, poi, è sconvolgente sentire alcune madri di caduti pronunciarsi pubblicamente per la guerra.

  • Quanti sono i caduti russi in Ucraina, ad oggi, per quanto le è dato di sapere?

Le stime dell’autorità ucraine arrivano, ad oggi, sino a 37.000 caduti tra i militari russi. Questo dato non è confermato da fonti internazionali.

Per quanto questo numero possa essere enfatizzato, siamo certamente di fronte ad un numero molto elevato, già superiore al numero complessivo di militari russi caduti nei 10 anni di guerra in Afghanistan: un numero che avrebbe potuto produrre, secondo me, un movimento di protesta sensibile, che però non c’è stato.

  • Non c’è stato proprio nessun segno di protesta da parte dei famigliari dei militari russi?

Un paio di settimane fa – su giornali locali della Buriazia, piccola repubblica autonoma ai confini con la Mongolia, con popolazione di ceppo etnico mongolo-buddhista da cui molti soldati sono partiti per l’Ucraina – è comparsa la notizia di un gruppo di mogli che si è rivolto al governatore chiedendo di far tornare i mariti dal fronte. Possiamo dire che si è trattato di una protesta. Ma la notizia è presto sparita e di queste donne non abbiamo saputo più nulla.

Politiche militari
  • Cosa fa il governo russo per incentivare gli arruolamenti?  

Ho potuto vedere, proprio in questi giorni, un manifesto pubblicitario del corpo delle guardie di frontiera: ebbene, per metà – anche graficamente – questo manifesto rappresenta la vita fatta di difficoltà dei giovani russi che studiano e che cercano lavoro, per l’altra metà presenta la facilità della carriera militare.

Il messaggio è chiaro: a cosa serve una laurea quando è tutto molto più facile nella vita militare? Da ciò si evince pure il livello culturale e la lungimiranza di questo regime.

Pare che, da alcune regioni, i volontari disponibili ad abbracciare le armi siano stati liberati da ogni vincolo o precedente ostativo, quale, ad esempio, una fedina penale sporca. L’esercito russo sta, dunque, arruolando chiunque purché sia disponibile ad andare a rischiare la vita in Ucraina.

  • Papa Francesco – in una intervista – ha parlato di militari ceceni e siriani impiegati in Ucraina: cosa ne sa?

Sì, dei siriani si è parlato molto, ma a livello di propaganda: questa ha fatto pure circolare foto di militari siriani e centro-africani pronti a partire per l’Ucraina. In realtà nelle liste dei caduti e dei prigionieri fatte dagli ucraini mi pare che si siano trovati molto pochi siriani.

Diverso è il caso dei ceceni che hanno partecipato attraverso le truppe scelte messe a disposizione di Putin dal dittatore Kadyrov.

  • Ci sono mercenari del gruppo “Wagner” in Ucraina? Cos’è “Wagner”?

Ci sono diverse testimonianze della presenza del gruppo Wagner in Ucraina, in particolare a Severodonetsk. Questi mercenari si distinguono per la loro esperienza maturata nelle guerre di tutto il mondo. Sono tagliagole ben preparati, a loro modo. Hanno combattuto in Siria e quindi sanno fare la guerra urbana, quella forse più sporca e sanguinosa. Hanno una preparazione che le truppe dell’esercito russo – a parte quelle dei corpi speciali – mediamente non hanno.

I “Wagner” sono, come si dice, contractor, ossia soldati professionisti pagati per fare la guerra coi dittatori o per difendere grandi interessi privati. Sono, in genere, ex-militari dell’esercito russo. Non sono tantissimi, ma certamente rispondono alla forte domanda di mercenari di alto-bordo.

Il gruppo “Wagner” è associato alla figura di Evgenij Prigožin, il cosiddetto “cuoco di Putin”, un imprenditore del settore alimentare di San Pietroburgo che ha fatto della disinformazione la sua seconda industria globale: migliaia di persone scrivono per conto suo nel mondo per costruire fake news. Come noto, questa fabbrica della disinformazione è sottoposta alle sanzioni degli Stati Uniti a seguito del russiagate e delle influenze sulle elezioni americane del 2016.

Prigožin si è dunque inventato il gruppo “Wagner”, ma non è chiaro quanto questo sia effettivamente da lui finanziato, perché, probabilmente, da solo, non ha tutti i soldi che servono. Di certo è amico di Putin e delle sue guardie del corpo e ha vinto tutti gli appalti di fornitura alimentare dell’esercito russo. Il suo gruppo è senz’altro a disposizione del Ministero della difesa e dei servizi segreti russi per tutte quelle operazioni in cui questi non vogliono direttamente comparire.

In Siria – è sicuro – “Wagner” ha svolto operazioni militari in stretto coordinamento con le forze armate russe, a modo di reparto dell’esercito russo. È facile, perciò, presumere che “Wagner” riceva finanziamenti dallo Stato russo.

La Chiesa cattolica
  • Nel clima che lei ha così ben descritto della Russia, qual è la condizione della Chiesa cattolica?

Almeno da vent’anni le strutture della Chiesa cattolica in Russia non hanno certamente vita facile. Con Boris Eltsin è stata approvata la legge sulle “religioni autoctone”: queste sono la religione cristiana ortodossa, l’ebraica, la buddhista e l’islam. Mentre tutte le altre religioni e/o Chiese erano già allora – e sono a maggior ragione oggi – in sospetto di essere agenzie straniere.

Le religioni autoctone potevano e possono fare più meno quel che credono, mentre le Chiese – cattolica e protestanti – per ogni cosa devono chiedere autorizzazioni: per educare, possedere, fare beneficienza. Nessuno ne ha parlato molto in questi anni per il quieto vivere. Il Vaticano ha sempre cercato il dialogo, come è, del resto, nella sua natura. Ma ci sono stati tanti casi di preti cattolici espulsi o ai quali è stato negato il visto in Russia per impedire le loro attività. Le strutture della Chiesa cattolica hanno subito una sostanziale ostilità.

In questo momento poi – come ben noto – il patriarca Kirill è particolarmente schierato col Cremlino sulla “operazione militare speciale” e il Patriarcato è divenuto il braccio dello Stato russo in una esplosione di nazionalismo. I sacerdoti ortodossi contrari alla guerra sono stati allontanati dalle parrocchie.

Chi ha condannato apertamente la guerra è stato arrestato: alcuni, purtroppo, sono stati denunciati dai fedeli. Ritengo che la moneta di scambio col Patriarcato da parte dello Stato possa comprendere una maggiore difficoltà di vita delle altre Chiese, in vista di una sostanziale esclusività ortodossa: l’idea di fondo è che chi è russo per nascita – anche se è ateo – può essere soltanto ortodosso.

  • Quali prospettive lei vede per gli organismi e le ONG legate alla Chiesa cattolica sostenute dai finanziamenti delle Chiese dei paesi europei?

Intravvedo la possibilità che queste organizzazioni possano incorrere nelle maglie della nuova legge sulle ingerenze straniere in Russia. La lista degli “agenti stranieri” conta ormai centinaia di ONG, associazioni e persone fisiche. Per quel che ne so – almeno sino ad ora – le realtà religiose non sono ancora entrate nell’elenco.

Per la legge basta tuttavia avere legami con l’esterno, ricevere finanziamenti, intrattenere rapporti che possano essere configurati in termini di subordinazione dall’estero per far scattare i suoi minacciosi meccanismi. Pertanto, secondo me, al di là delle diocesi in quanto tali, possono essere messe a rischio le realtà religiose che gestiscono attività educative, formative, sanitarie e simili.

L’ultima novità introdotta nella legge riguarda espressamente le attività educative coi bambini. Torniamo così da dove siamo partiti con questa intervista: dai bambini e dai propositi del regime di “russificarli” tutti.

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