I molocani: una minoranza religiosa, etnica e linguistica

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Le notizie sulle recenti vicende canadesi hanno acceso, per analogie indirette, l’interesse di una giovane ricercatrice azera – lettrice di Settimana News – che propone una riflessione su un’interessante “minoranza” del mondo russofono, con una concentrazione nello spazio caucasico, coinvolta in una lunga resistenza e resilienza in contesti ostili.

Dopo la metà del XVI secolo il vento della “protesta” approdò anche nella terra degli zar e, attraverso il sorgere di vari gruppi e movimenti, innescò il seme della Riforma in Oriente, in seno alla stessa Chiesa Ortodossa che non era meno gerarchizzata e legata a forme di potere di quanto non lo fosse la sua antica antagonista, la Chiesa di Roma.

Radici antiche e “di protesta”

Infatti, quando incominciarono a sorgere questi movimenti di protesta, la Chiesa moscovita, nel periodo di Ivan il Terribile (1530 – 1584), usava la sua influenza spirituale per conservare il potere politico e per mantenere sottomessi, d’accordo con il potere statale dello zar, le masse contadine della sterminata Russia.

Molti furono i movimenti riformatori, cristiano-spirituali, che si formarono in quel periodo di ribellione e di messa in dubbio della validità della dottrina ufficiale da parte dei ceti più popolari. Fra questi i molocani e i lottatori dello spirito (Duchoborcy) emergono per originalità, ricchezza rituale e linguistica e per resilienza.

Queste due sette ebbero origine intorno al 1570 come movimenti di rivolta rispetto alla rigidità e alla distanza della Chiesa Ortodossa ufficiale dai ceti più semplici. Entrambe le sette ammettevano come unica, valida forma di dottrina, l’interpretazione dell’Antico Testamento alla luce della Nuova Alleanza, in maniera indipendente, ossia senza la mediazione della Chiesa Ortodossa.

I Duchoborcy si andarono via via staccando dai molocani per motivi dottrinali (minore importanza data alle Scritture rispetto alla scintilla divina presente in ogni individuo) e si avvicinarono maggiormente ai movimenti protestanti inglesi, in particolar modo ai Quaccheri, i quali furono loro di aiuto quando, durante una delle ricorrenti persecuzioni, aiutarono alcune migliaia di “lottatori” a raggiungere l’isola di Cipro, per trovare un luogo sicuro dove praticare i loro riti.

Dei molocani si parla chiaramente in un documento ufficiale della Chiesa ortodossa nel 1670 dove sono elencate sotto questo termine le persone che non adempivano correttamente al digiuno richiesto dalla Chiesa ortodossa (circa 200 giornate all’anno) e che usavano consumare durante il digiuno il latte (молоко [moloko]) nonostante la proibizione imposta dalla Chiesa moscovita.

Il nome “molocani” ha, quindi, un’origine esterna alla comunità che non corrisponde alla loro volontà. Essi preferivano, assieme ai “lottatori dello spirito”, essere chiamati “cristiani spirituali”.

La separazione definitiva fra le due sette si fa risalire al 1780 circa, ad opera di un contadino di Tambon, Semyon Uklein, che viene considerato il fondatore dei molocani attuali.

Una storia e un’identità complessa

I molocani furono subito in urto con le gerarchie statali e religiose, per questo subirono numerose persecuzioni e deportazioni verso i confini dell’impero, al fine di evitare che contaminassero gli altri contadini con le loro “idee rivoluzionarie”. Già al tempo di Ivan il Terribile i molocani furono esiliati verso terre marginali dell’impero: Ucraina, Armenia, Azerbaigian e la solita Siberia furono i luoghi delle loro deportazioni.

In questi allocamenti forzati i pacifici molocani riuscivano generalmente a relazionarsi bene con le popolazioni locali creando comunità autonome e autosufficienti capaci di mantenere la purezza dei loro riti e della loro lingua, cristallizzando e mantenendo intatto, fino ai nostri giorni, il russo parlato al momento della diaspora.

I molocani fanno parte dei gruppi cristiani che onorano il sabato come gli ebrei e, più in generale, dei movimenti che si rifanno al cristianesimo delle origini.

Il nome con cui sono conosciuti – come accennato – è un esonimo con il quale sono stati attestati dalla Chiesa Ortodossa prima, e dai loro vicini poi; oggi è il nome comunemente usato per identificare tali comunità ed è ormai accettato anche dagli stessi molocani.

Una definizione univoca delle loro caratteristiche risulta complessa perché – come recita un loro adagio – «ci sono tanti modi di essere molocani quanti sono i molocani stessi».

Pur considerando questa una metafora, è vero che la loro varietà di riti, atteggiamenti, modi di vita è vasta.

Si può dire che l’approccio individuale alle Scritture e l’atteggiamento pacifico (rifiuto dell’uso delle armi) nei confronti della vita sono il fulcro comune della loro identità che viene poi declinata in una pluralità di riti, dottrine e comportamenti derivanti anche dalle caratteristiche dell’allocazione dei singoli gruppi, i quali rimangono uniti anche dall’uso di un russo ormai desueto e, in particolari situazioni rituali, anche dall’uso dell’antico slavo.

Nella stragrande maggioranza dei casi sono caratteristiche comuni, derivate dalle fonti veterotestamentarie, l’osservanza del sabato, il divieto di mangiare maiale e crostacei, il non bere vodka e alcolici in genere. Inoltre, non riconoscono il crocifisso come segno di fede, non consumano l’eucaristia e non riconoscono il Natale.

Le barbe lunghe degli uomini, il fazzoletto in testa per le donne, l’indissolubilità del legame coniugale e la poca importanza data agli studi sono altre caratteristiche comuni di questo gruppo.

La pratica endogamica – prima imposta per evitare contaminazioni con gli altri abitanti dell’impero e poi praticata volontariamente per mantenere la purezza del proprio gruppo – è un’altra caratteristica che ha fortemente contribuito al mantenimento delle loro particolarità etnolinguistiche.

Le comunita molocane sono ancora rintracciabili in Armenia, Azerbaigian e in Georgia e, in tempi più recenti, vi sono state migrazioni verso gli USA, il Canada e l’Australia.

Una difficile resistenza etnolinguistica

La travagliata e difficile storia plurisecolare di questa setta, fatta di pacifica ribellione, di non condiscendenza ai voleri statali e di aperta critica del clero e della dottrina teologica ufficiale, li ha resi un esempio eclatante di resistenza e di resilienza etnolinguistica in un ambiente ostile e merita studi e ricerche al fine di conoscere meglio la loro cultura, i loro riti e il loro dialetto.

È altresì necessario effettuare questo studio al più presto per evitare che le peculiarità di questa comunità si disperdano e svaniscano definitivamente sotto i colpi della globalizzazione contemporanea.

Questo per poter mantenere una traccia etnolinguistica di una comunità che, in maniera del tutto pacifica e originale, partendo dai ceti più umili, ha saputo custodire integra fino ad ora la propria diversità dottrinale e ha creato un ponte culturale fra Oriente e Occidente, mantenendo validi contatti anche con le altre due religioni monoteiste (ebrei e musulmani) e mostrando un modo nuovo e originale di convivenza pacifica senza per questo rinunciare ai propri valori.

  • Kamala Rahimova è giornalista e ricercatrice in linguistica e dialettologia dell’area russofona.
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