L’amore sconfinato di Dio nel NT

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copertinaIl libro rispecchia perfettamente la preparazione culturale e lo stile metodologico dell’autore, professore emerito di Nuovo Testamento alla Pontificia Università Lateranense. Da profondo conoscitore della letteratura greco-romana egli si tuffa con sicurezza nel mare magnum del tema dell’amore, con la sua vasta polisemia, indagandolo dapprima nell’antichità greca e latina (pp. 15-32).

Il lessico greco dell’amore comprende i termini erōs, philia e agapē.

Lo scandaglio che pesca nella poesia, nella filosofia e nella sua dimensione sociale rivela che l’erōs è un nobile sentimento, ma che parte dalla mancanza per trovare qualcosa che la colmi. Esso non è esente dall’istinto del dominio e del possesso. Anche Benedetto XVI ne ha esaltato l’aspetto positivo di ricerca e di anelito ma, nel complesso, il sostantivo e il verbo sono completamente ignorati nel NT.

Philia esprime l’amore di amicizia, nobile sentimento che, nella letteratura, raggiungerà espressioni di profondo spessore.

Agapē invece ha uno scarso impiego letterario e un significato estenuato di “stimare, avere affetto, prediligere”.

Nell’Antico Testamento e nel giudaismo (pp. 33-60) ci si confronta con un monoteismo dai contorni forti, al limite della rigidità. Il lessico dell’amore svaria su vari termini e poggia sul fondamento sicuro del fatto che Dio ama il suo popolo.

Questo fatto, davvero nuovo, è espresso con il concetto di “alleanza”. Dagli aspetti concreti e fattuali contenuti nei contratti di alleanza dell’ambiente politico-militare esso giunge fino a connotare le tenere espressioni di amore nuziale.

L’amore per Dio è presente, così pure il problematico amore per il prossimo, inteso tuttavia per lo più in senso ristretto con il proprio correligionario e membro dello stesso clan o tribù.

Non mancano pochissimi accenni all’amore verso il “nemico”, da aiutare in caso di bisogno (vedi l’asino che cade o l’animale che si perde: vanno aiutati e riportati al proprietario).

Si giunge così ad analizzare la novità cristiana dell’amore agapico (pp. 61-190).

Con l’avvento di Gesù si assiste a una vera e propria conversione semantica del verbo agapaō e del corrispettivo sostantivo deverbale agapē. I termini vengono a esprimere l’amore sorgivo, gratuito e indiscriminato di Dio Padre, in Cristo Gesù, connotato dallo Spirito Santo, nei confronti degli uomini. Una «scaturigine verticale [che] ricade verso il basso e si allarga a dismisura in direzione orizzontale», afferma Penna.

L’amore preveniente di Dio Padre si rivela storicamente in Gesù Cristo. La sua vita è segnata “scandalosamente” dall’amore per gli ammalati, i pastori e gli impuri (pp. 64-78).

Lo specifico paradosso della vita e dell’insegnamento di Gesù (pp. 79-92) si rivela essere l’amore “eccessivo”, “straordinario”: quello per i nemici. Un tratto continuato perfettamente dal grande apostolo Paolo.

Il paragrafo più impegnativo del libro, ma davvero esaltante, è quello riguardante l’essenza del mistero pasquale (pp. 93-115), in cui si rivela concretamente l’amore di Dio in Cristo per gli uomini.

La più antica professione di fede afferma che «Cristo è morto per i nostri peccati». Penna analizza il sintagma “morire per” nella cultura greco-romana. Si contemplava e si lodava il fatto che si potesse morire per una realtà positiva (la patria, l’onore ecc.). Ora, i peccati non lo sono. Bisogna quindi intendere che Gesù Cristo muore per allontanare gli uomini da una realtà negativa. L’espressione di 1Cor 15,3 si pone in definitiva sul crinale che fa convergere mondo greco e mondo ebraico, traendone una realtà nuova.

Dio ha dimostrato il suo amore per gli uomini in Cristo Gesù, proprio mentre non erano amabili, ma deboli moralmente, empi, nemici e peccatori (Rm 5,1-11). L’amore di Dio e di Cristo coincidono.  Questo viene espresso in Rm 5,1-11 e in Rm 8.

Va da sé che dalla fede fluisce l’amore come impegno, cioè la morale cristiana (pp. 116-133). L’amore diventa il criterio dell’etica dei discepoli di Gesù, e connota la loro libertà come libertà-da (passioni e vizi schiavizzanti) e libertà-per (l’impegno la donazione, ecc.).

Esaminando l’aspetto ecclesiale dell’amore (pp. 134-151), Penna rinviene nel concetto “edile” di “edificare/edificazione/oikodomein/oikodomē” impiegato da Paolo il centro attorno a cui si coagula il criterio risolutivo delle varie problematiche ecclesiali che si rinvengono nelle lettere paoline, esaminate nel loro dispiegarsi cronologico.

L’autore si concentra infine a lungo su due testi specifici.

L’amore sponsale è visto come «un mistero grande» in Ef 5,21-33 (pp. 152-170), un testo in cui il verbo agapaō ricorre ben sei volte. Penna scorge un duplice livello del “mistero”. Vi intravede un’interconnessione tra l’amore perveniente di Cristo verso la Chiesa e il suo riverbero (ma anche la sua simbologia originante per esprimere questo) nel rapporto sponsale fra uomo e donna. Se, all’inizio, si sottolinea il primo aspetto, nei versetti finali si vira a sottolineare l’altro, che lo simboleggia “misteriosamente”. Valore creazionale e valore “sacramentale” (meglio, “misterico”, da mistērion) si intrecciano.

Buoni gli spunti della letteratura greco-romana presenti nei contratti matrimoniali. Si parla di “vita comune/symbiōsis”, rispetto, cura del marito verso la moglie, ma non di “amore”. Come esempio lampante per tutti, si veda il contratto di matrimonio del 14 aprile del 13 a.C. (B.G.U. IV, 1052 = SP, I, 3) citato da Penna a p. 157 nota 208 e riportato per esteso nel suo L’ambiente storico culturale delle origini cristiane, EDB, Bologna 6ª ed. 2012, 109. Apollonio si impegna a «fornire a Thermione tutte le cose necessarie e i vestiti, […] a non maltrattarla, a non cacciarla via, a non insultarla e a non introdurre un’altra donna, oppure egli perderà subito la dote…». La donna si impegna a fare altrettanto. Non si parla di amore qui, né di erōs né di agapē! «L’uno e l’altro sesso reca lo stesso contributo alla vita comune – riconosce il per altro grandissimo filosofo stoico Seneca –, ma l’uno è nato per obbedire (ad obsequendum), l’altro per comandare (altera ad imperium)» (La costanza del saggio, 1,1).

A una lettura non tanto razionale ma cristiana e credente, l’encomio dell’amore (1Cor 13, pp. 166-190) si rivela essere la descrizione dell’amore come valore assoluto, in cui il soggetto delle azioni è sia Dio in Cristo Gesù, tramite lo Spirito, nei confronti dell’uomo, sia la persona credente e battezzata che è posseduta pienamente dall’amore sorgivo e onnipervasivo di Dio.

Nel contesto letterario di 1Cor 8–14 (soprattutto cc. 12–14) l’amore si rivela il criterio valutativo dei carismi, la via “più eccellente” che rimane per sempre, anche oltre la fede e la speranza. Dell’amore si canta l’assoluta necessità, l’intrinseca bellezza e dignità, l’intramontabile durevolezza. Chi ha l’amore e lo vive, è; chi non lo ha e non lo vive rimane nella morte e non giunge al vero essere. Se Cartesio affermava cogito ergo sum, il cristiano può dire “amo ergo sum/amo, quindi esisto”, o meglio, “amor ergo sum/sono amato, quindi esisto”, oppure meglio ancora – essendo l’amore un valore relazionale – “amor/amamur ergo sumus/sono amato/siamo amati, quindi esistiamo”.

Per i cristiani il fondamento ultimo dell’amore è Dio. Il credente è colui che vive sola charitate, ma in ogni caso la integra con la fede. Non si dà fede senza amore («la fede che si rende operosa nell’amore», Gal 5,6) né l’amore senza fede («Noi abbiamo creduto all’amore che Dio ha per noi», 1Gv 4,16).

L’amore si dimostra sul piano del vissuto quotidiano, specialmente come amore per Dio (poco sottolineato nel NT), nell’amore per gli altri, e nell’amore all’interno della comunità ecclesiale e tendenzialmente verso tutti gli uomini.

In sintesi, si può affermare che «la qualifica di Dio come amore e insieme fonte di amore rappresenta “nientemeno che una rivoluzione nella storia delle religioni”» (p. 192, con citazione di C. Spicq, Agapé, 119).

Chiudono il bel volume l’ampia bibliografia consultata e citata (pp. 197-210), l’indice dei nomi (pp. 211-214) e l’indice delle citazioni bibliche (pp. 215-227) ed extrabibliche (pp. 227-235).

Pochissimi i refusi. Ricordo solo: a p. 44 r 3 invertire le due parole ebraiche; nella nota 25 r -2 leggasi “e la teologia”; a p. 46 nota 39 penultima e ultima riga, invertire le due parole ebraiche; a p. 54 nota 58 r 1 leggasi “Adamo rimprovera Eva”; a p. 86 r 13 staccare l’articolo greco dal sostantivo che segue; a p. 90 r 19 leggasi (2Cor 13,4); a p. 151 r -4 e a p. 152 r 3 si aggiunga l’accento al sostantivo agapē.

Romano Penna, Amore sconfinato. Il Nuovo Testamento sul suo sfondo greco ed ebraico, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2019, pp. 240, € 22,00.

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