Francesco: Iraq, ti porto nel cuore

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Al termine della visita del papa in Iraq sento una profonda emozione nutrita di stupore e di gratitudine per un evento straordinario. Già l’annuncio di un tale viaggio aveva suscitato meraviglia e ogni settimana ci si chiedeva se non sarebbe giunto dalla Santa Sede un comunicato del rinvio a tempi più tranquilli.

Ma papa Francesco è rimasto fiducioso in una missione cui si sentiva chiamato da Dio e (a quanto abbiamo appreso) i fedeli iracheni non volevano ormai rinunciare alla sua presenza; ne sentivano il bisogno e pregustavano la gioia. In tutti loro – lo si è capito – vi erano disponibilità a ogni sacrificio e fede nella divina Provvidenza, oltre che nelle precauzioni umane.

Parole di conforto e di perdono

Ed è andato tutto bene, con grande dignità e impatto: dialogo inter-religioso, preghiera tra rappresentanti di vari credo, incontri tra cristiani. Una visita che ha rafforzato anche il Governo nel suo compito di unificare un paese diviso da conflitti e sofferente per una lunga dittatura e per anni di terrorismo.

La gratitudine mia va al Signore che ha concesso alla Chiesa un papa con il mandato di «confortare i fratelli» e ringrazio Dio di averci concesso questo papa in un tale momento. Non soltanto la sua decisione ha colto moltissimi di sorpresa, ma anche la sua affermazione che andava in Iraq come «pellegrino penitente»: nessuna pretesa e richiesta di perdono!

Pur non colpevole personalmente, ricordava che siamo tutti solidali della nostra storia e non possiamo dissociarci da essa e da un popolo che ha tanto sofferto anche per interventi esterni. Egli ha dato coraggio a tanti: ai perseguitati a motivo della fede, ai costruttori di pace, alle comunità decimate dei credenti in Cristo, agli organismi di sostegno allo sviluppo.

Un aspetto che, forse, è stato poco richiamato ma che è importante per il futuro: ha dato animo ai musulmani moderati che intendono costruire e lavorare con i popoli di altre fedi e che, da cinquant’anni, sono rimasti piuttosto emarginati nello stesso islam.

Inoltre, la forte posizione del papa contro l’uso della religione per uccidere e l’invito a mettere al bando le armi sono richiami decisivi per avviare relazioni umane e politiche diverse.

Papa Francesco ha proclamato il perdono in un popolo che ricorda tante violenze ma egli crede che il trionfo finale non spetta al terrorismo e alla sopraffazione, ma all’amore creativo, che non si arrende mai e che ci fa considerare fratelli e sorelle in un cammino comune di vita. Ha ricordato anche la presenza ebraica e yazida, riferimenti non graditi agli islamisti.

Partecipazione e commozione

Dopo questa visita non è più possibile che i Governi di paesi a maggioranza islamica trattino i non-musulmani da dhimi o khafir. L’eco degli interventi del papa, che si appoggia sul messaggio cristiano, sulla Dichiarazione di Abu Dhabi e sull’enciclica Fratelli tutti non potrà non risuonare nelle varie nazioni del mondo. Diceva il papa: «Chi ha fede rinunci ad avere nemici».

Era commovente vedere tanta gente nello stadio di Erbil; si sa che le iscrizioni erano chiuse già vari giorni prima dello scadere del termine. Il papa commosso ha reso testimonianza a una Chiesa martire e ha ricordato la missione della pace che Cristo ci ha affidato (e per la quale anche i papi precedenti erano intervenuti) e che è missione specifica anche di chi è nato in quelle terre di antica storia umana e di collaborazione interreligiosa.

Il Medio Oriente non sarebbe più tale fucina e scambio di culture se scomparissero i cristiani. Papa Francesco ha reso omaggio alle donne che più hanno sofferto e le ha incoraggiate.

I discorsi erano saggiamente equilibrati ma sempre propositivi, animati anche da una vena di poesia. Pronunciati con rispetto e mirando alla conversione dei cuori.

Ha colpito poi che il papa, nonostante l’evidente fatica del camminare, fosse attento a tutti, anche in incontri imprevisti. I luoghi erano certamente significativi: Ur patria di Abramo e delle religioni abramitiche, Najab luogo della tomba di Alì e del Grande Ayatollah degli sciiti, Baghdad la capitale, Mosul città con ricca tradizione cristiana, Qaraqosh centro cattolico, Erbil luogo di accoglienza di milioni di sfollati.

Giustamente sono state ricordate le vittime dei conflitti, ma senza fermarsi al passato. La tempesta disumana del terrorismo – diceva il papa – non vincerà, il trionfo spetta a chi persegue vie di armonia.

Su questa linea si sono espresse anche la trentina di associazioni Ong che operano in Iraq ispirate da motivi religiosi (tra cui varie cattoliche), le quali non hanno insistito per incontrare il papa, comprendendo che la priorità andava ai fedeli iracheni e al dialogo interreligioso, ma sono state liete che il Santo Padre le abbia ringraziate. In una Dichiarazione congiunta si sono impegnate a proseguire la loro opera per tutti i cittadini del Paese.

Già in serata sono giunte alcune eco da iracheni che si dicevano commossi e gioiosi per un evento tanto ben riuscito.

Aggiungo anche due particolari: mi ha colpito che sia stato un pittore musulmano a fornire i quadri distrutti dall’Isis alle chiese di Mosul e che sia stato il papa in persona a restituire al vescovo siro-cattolico a Qaraqosh un antico libro liturgico che la Focsiv (oltre al suo impegno in vari progetti umanitari) aveva fatto restaurare in Italia. La vita, infatti, ha bisogno di radici ed esse sono solide soprattutto se coniugano insieme arte, fede e comunione fraterna.

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