Una voce nel deserto: Francesco e la guerra

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È dei giorni scorsi la notizia, apparsa su tutti i giornali, che la Leonardo – ex Finmeccanica, gigante controllato dallo Stato, tra i massimi produttori mondiali di sistema di difesa militare, di cui il maggiore azionista è il ministero dell’Economia col 30% delle azioni – prima di Natale aveva proposto all’ospedale pediatrico «Bambino Gesù» di Roma una donazione di un milione e mezzo di euro, da destinare all’acquisto di macchinari per curare bambini e bambine affetti da malattie rare, e che la direzione dell’ospedale l’ha rifiutata (cf. qui su SettimanaNews).

Un rifiuto folle?

All’origine di questa decisione, a prima vista stupefacente, ci sarebbe il «suggerimento» del Vaticano, che è il proprietario del «Bambino Gesù». Si capisce la ragione. Uno dei punti su cui ha insistito papa Francesco, in questi ultimi anni, è stato la convinzione che «dietro le guerre c’è il commercio delle armi». Accettare questa donazione da un gruppo industriale protagonista di questo business avrebbe svuotato di senso questa denunzia.

Soprattutto in un momento, come quello che viviamo, in cui guerre sanguinose si combattono sia in Europa che nel Vicino Oriente, con migliaia di vittime civili – compresi donne e bambini – grazie all’uso massiccio di armamenti sempre più sofisticati e micidiali.

Da parte della Leonardo si è manifestato stupore per la decisione del Vaticano: «In tutti i teatri di guerra in corso, a partire dall’Ucraina e dal Medio Oriente, non c’è nessun sistema offensivo di nostra produzione (…). Non capiamo questo rifiuto».

Uno stupore che è diventato aspra critica sui social e su alcuni organi di informazione online, secondo cui è stato assurdo da parte del «Bambino Gesù» rinunziare a un finanziamento che avrebbe potuto contribuire a guarire e forse a salvare tanti bambini.

In realtà la vicenda è ancora parzialmente oscura, per via di una serie di smentite incrociate che le hanno fatto seguito. Intanto, però, le affermazioni del gruppo industriale sono state smentite da «The Weapon Watch», osservatorio sulle armi nei porti europei e mediterranei, secondo cui – come rivelano chiaramente dei filmati ufficiali – ai bombardamenti indiscriminati di Israele sulla Striscia di Gaza hanno partecipato le corvette «Ins Magen» e «Ins Oz», le unità navali più grandi e più moderne della Marina militare israeliana, con cannoni navali super rapidi Oto Melara 76/62 Multi-Feeding da 76mm, costruiti negli stabilimenti Leonardo di La Spezia e consegnati alla Marina militare israeliana, nella base navale di Haifa, il 13 settembre 2022, con apposita cerimonia.

Alla luce di queste ulteriori notizie, la decisione del Vaticano, che suona scandalosa agli occhi di un miope filantropismo, non è solo indice di coerenza, ma ha un sapore evangelico che raramente traspare dai comportamenti della Chiesa «ufficiale». In una società dove tutto si può comprare – anche una coscienza pulita – e dove tutto è in vendita – anche i princìpi (naturalmente «a fin di bene») – avere rinunziato a una somma così consistente è un gesto davvero profetico.

È vero, con quei soldi si poteva fare tanto bene. Ma a che prezzo? Accettarli avrebbe significato lasciar intendere che tutti gli appelli e tutte le denunzie lasciano il tempo che trovano, davanti alla concreta possibilità di trarre dei vantaggi dal sistema che si critica. Molti bambini probabilmente sarebbero stati salvati, ma a costo di avallare l’uccisione di moltissimi altri.

Contro la guerra

E non si tratta solo dei bambini di Gaza. La battaglia morale di papa Francesco contro la produzione e il commercio di armi ha una portata che va ben al di là del conflitto palestinese. Essa richiama la nostra attenzione sul fatto, spesso poco sottolineato, che la Chiesa cattolica è – già dalla fine del Novecento – la sola voce che si oppone coerentemente e radicalmente all’uso delle armi per risolvere i conflitti.

«Mai più la guerra!», aveva già detto Paolo VI il 4 ottobre 1965, nella sua prima visita alle Nazioni Unite. E lo stesso grido era stato ripreso da Giovanni Paolo II, il 16 marzo 2003, alla vigilia del conflitto scatenato dal presidente americano George Bush jr contro l’Iraq sulla base – come tutti gli storici oggi riconoscono – di grossolane menzogne (la pretesa responsabilità del governo di Bagdad negli attentati contro le torri gemelle e la presunta minaccia di «armi di distruzione di massa»).

Suonano ancor oggi di un terribile realismo le parole allora pronunziate da papa Wojtyla per cercare di fermare l’intervento delle forze alleate guidate dagli Stati Uniti, con cui il pontefice ammoniva, già allora, sulle «tremende conseguenze che un’operazione militare internazionale avrebbe per le popolazioni dell’Iraq e per l’equilibrio dell’intera regione del Medio Oriente, già tanto provata, nonché per gli estremismi che potrebbero derivarne».

Tutto questo si è puntualmente verificato. La fulminante vittoria militare sul campo, trionfalmente annunciata dagli americani al grido di «Missione compiuta», è stata in realtà seguita da una totale destabilizzazione dell’intera area, da massacri di civili, e dall’enorme potenziamento delle organizzazioni estremiste e terroristiche, come l’Isis, creando gravissimi problemi anche agli Stati Uniti, incapaci di controllare il disastro che, con il loro «successo», avevano determinato.

Oggi papa Francesco, in un contesto internazionale che vede lo scatenamento di una «terza guerra mondiale a pezzi», come egli l’ha definita, continua coraggiosamente sulla linea dei suoi predecessori.

La posizione «alternativa» di Francesco

Lo ha già fatto in occasione della guerra tra Russia e Ucraina. Senza affatto misconoscere le gravissime responsabilità di Putin e i diritti del paese aggredito, il pontefice non si è però allineato alla posizione della NATO, volta solo a isolare la Russia e a sconfiggerla militarmente sul campo. Attirandosi aspre critiche, come quelle rivoltegli nell’agosto del 2023 dal governo ucraino per un discorso rivolto ai giovani russi, in cui li invitava a non dimenticare la loro grande eredità culturale e spiritale.

Parole incompatibili con una linea internazionale che aveva portato tutto il mondo occidentale a demonizzare il popolo russo in quanto tale, fino a cancellare dalle programmazioni teatrali le opere di autori russi ad escludere da tutte le gare sportive internazionali – perfino dalle paraolimpiadi di Pechino! – non solo le rappresentanze ufficiali di quel paese, ma gli atleti che anche soltanto fossero nati in Russia.

In realtà, ancora una volta, la convinzione di risolvere il conflitto con le armi si è rivelata vana, confermando il realismo dell’appello del papa a cercare altre vie.

E lo stesso sta accadendo nella guerra cominciata dopo il feroce attacco di Hamas contro Israele e condotta con altrettanta spietatezza dallo Stato ebraico, nella dichiarata fiducia di poter risolvere i problemi della propria sicurezza puntando sulla sua enorme superiorità militare. Con risultati che in realtà sono fallimentari e anzi controproducenti anche riguardo agli obiettivi dichiarati, – sradicare Hamas e liberare gli ostaggi –, ma che in realtà saranno ancora più disastrosi a lungo termine, sia per l’isolamento internazionale in cui Israele si sta confinando, sia per il prevedibile risentimento dei palestinesi, che alimenterà altre e più atroci violenze nei suoi confronti.

Francesco, in linea con i pontefici prima di lui, anche in questo caso non si stanca di denunziare questa vanità: «La guerra è una sconfitta, sempre!», ha ripetuto anche a proposito di quella di Gaza. Attirandosi, anche stavolta, incomprensioni e accuse, come quelle del Consiglio dell’Assemblea dei Rabbini d’Italia e dell’American Jewish Commettee – una delle più antiche organizzazioni ebraiche mondiali – per aver usato il termine «terrorismo» parlando delle bombe sui civili della Striscia, senza fare alcuna distinzione – denunciava il comunicato dell’American Jewish Commettee – tra gli atti di «violenza intenzionale» del 7 ottobre da parte di Hamas e le vittime involontarie che si verificano purtroppo in una «guerra giusta».

Solitudine

Evidentemente per il papa una guerra che ha già provocato «involontariamente» 24.000 morti, nella stragrande maggioranza uomini, donne, bambini innocenti, non può essere «giusta». Un’idea, del resto, che è stata condivisa da milioni di persone che, in tutto il mondo occidentale, in questi mesi hanno manifestato contro il sistematico massacro dei civili a Gaza, ma che non è stata condivisa dalla maggior parte dei rispettivi governi, lasciando anche questa volta la posizione della Chiesa in un totale isolamento.

Anche se, negli ultimi tempi, perfino il più fedele alleato di Israele, gli Stati Uniti, non certo sospetto di antisemitismo, ha cominciato a mostrare le sue crescenti perplessità per i metodi usati dall’esercito israeliano e a dire chiaramente che non potranno essere le bombe a produrre la pace. A conferma che la posizione del papa, accusata di essere utopistica e di favorire i terroristi, è anche in questo caso – come in tanti precedenti – assai più realistica di quella dei suoi accusatori.

I profeti raramente sono stati ascoltati. E di solito hanno pagato di persona il loro coraggio nel discostarsi dalle posizioni dei potenti. Gesù di Nazareth è addirittura finito sulla croce. Non c’è da stupirsi che qualcosa di simile possa accadere al suo vicario. Forse è proprio questa solitudine di Francesco – lo si è accusato perfino di antisemitismo! – la migliore garanzia della fedeltà alla sua missione. La sua voce continuerà probabilmente a risuonare nel deserto. Ma è questo che la rende annuncio di speranza in un mondo diverso.

  • Dal sito della Pastorale della cultura della diocesi di Palermo (tuttavia.eu), 19 gennaio 2024
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2 Commenti

  1. Mario 29 gennaio 2024
  2. Mihajlo 29 gennaio 2024

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