Giovanni XXIII, il patrono “sbagliato”

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Non bastavano san Maurizio per gli alpini, santa Barbara per gli artiglieri e la Madonna di Loreto per gli aviatori, ci voleva un patrono che tutelasse tutto quanto l’esercito. Ed ecco che, per l’interessamento dell’ordinario militare arcivescovo Santo Marcianò (ma stando ad Avvenire si erano adoperati, per raggiungere l’obiettivo, i precedenti ordinari militari Mani, Bagnasco e Pelvi nonché il vicario generale militare mons. Frigerio e molti cappellani militari), san Giovanni XXIII viene proclamato patrono dell’esercito italiano.

Giovanni XXIII viene proclamato patrono dell’esercito italiano

Le reazioni

La notizia ha colto di sorpresa – scrive Avvenire – molti vescovi, incluso il presidente della CEI card. Bassetti, e suscitato forti reazioni in molti ambienti cattolici, a cominciare da Pax Christi. Il cui presidente, l’arcivescovo Giovanni Ricchiuti, ha dichiarato il provvedimento «irrispettoso, assurdo, anticonciliare». E Marco Roncalli, pronipote del papa, in una dichiarazione afferma che «magari doveva essere invece eletto a patrono della pace universale e dell’ecumenismo».

Pierluigi Castagnetti (testa pensante del cattolicesimo democratico) dichiara la cosa «semplicemente assurda» e prosegue: «Che bisogno ci sia di designare un patrono dell’esercito italiano non si capisce proprio. Ma se proprio fosse necessario, mi chiedo perché questa scelta. È il papa della Pacem in terris. Si vuole associare all’esercito un patrono che sia segno di contraddizione con la sua funzione istituzionale o si vuole “contenere” lo spessore profetico di un papa la cui memoria nella coscienza di tutti è vissuta come il simbolo della bontà e della pace? Ma papa Francesco ne è informato?».

Di contro, l’Ansa scrive di aver appreso «da qualificate fonti vaticane» che non di «bolla pontificia» si tratta, com’era stato annunciato, ma di un decreto emanato dalla Congregazione per il culto divino; e che la Segreteria di Stato non risulta informata dell’atto. Quindi papa Francesco non ne sapeva niente.

Il papa della pace

La motivazione della scelta di papa Giovanni come patrono mi sembra un mix di ignoranza e arroganza: ignoranza della storia e della svolta che, proprio grazie a papa Roncalli, ha assunto il giudizio della Chiesa sulla guerra (fine della dottrina della “guerra giusta”); arroganza per voler mettere la Chiesa italiana di fronte al fatto compiuto tramando in qualche segreta stanza vaticana. A giustificare il tutto sarebbe il fatto che il giovane don Roncalli svolse il servizio militare di leva (ai tempi del non expedit) come sergente e cappellano nella prima guerra mondiale, combattuta da eserciti di nazioni cattoliche contrapposte nonostante il papa di allora (Benedetto XV) la dichiarasse “inutile strage”.

Ringrazio Eugenio Melandri che, attraverso Facebook, ha divulgato quali erano i pensieri del futuro papa all’atto di congedarsi: «Oh, il mondo come è brutto, quanta schifezza, che lordura! Nel mio anno di vita militare l’ho ben toccato con mano. Oh, come l’esercito è una fontana donde scorre il putridume, ad allagare la città. Chi si salva da questo diluvio di fango, se Dio non lo aiuta? Deo gratias. Mi sono recato all’Infermeria presidiaria per la mia visita di congedo alla Direzione dell’ospedale militare; e, tornato a casa, ho voluto staccare da me stesso, dai miei abiti tutti i segni del servizio militare, signa servitutis meae. Con quanta gioia l’ho fatto!».

Quel giovane cappellano militare, diventato successore di Pietro, dichiarerà nella Pacem in terris essere alienum a ratione (cioè irragionevole e folle!) ritenere che la guerra sia lo strumenti adatto a ristabilire i diritti violati. Convocherà il concilio Vaticano II, che si concluderà con la Gaudium et spes in cui si afferma come i temi della pace e della guerra vadano affrontati in maniera radicalmente nuova. L’unico “anatema” emanato dallo stesso concilio sarà contro la guerra totale.

I cappellani militari

Sulle colonne dell’Osservato Romano don Ezio Bolis ha affermato che affidare a questo patrono l’esercito italiano significa «ribadire il compito precipuo di questa istituzione in uno stato democratico: difendere il bene prezioso della pace imponendo la forza della legge» e «una provvidenziale occasione per riflettere in modo ponderato sul significato e l’opportunità di una presenza, quella dei cappellani militari, all’interno di un’istituzione qual è l’esercito».

Forse il nodo è proprio questo: il senso della presenza dei cappellani all’interno dell’istituzione militare e la stessa esistenza della cosiddetta “Chiesa militare”, con le prerogative di una diocesi, però su base non territoriale. L’assistenza religiosa ai militari dell’esercito italiano poteva avere una forte motivazione pastorale finché c’era l’obbligo di leva. Il servizio militare significava per molti giovani, soprattutto delle fasce di popolazione contadina e operaia, allontanarsi per la prima volta – non solo geograficamente – dalla famiglia, dal paese, dalla parrocchia… per dirla con un’immagine un po’ carica ma non distante dalla realtà: smettere di andare in chiesa, iniziare a frequentare il casino. E un prete accanto ai soldatini di leva poteva diventare un riferimento importante, religioso e morale.

Ma da quando il servizio militare è svolto soltanto come una professione, vengono meno i motivi dell’assistenza religiosa continuativa nelle caserme. Dopo il periodo iniziale di addestramento, i militari sono cittadini che vivono a casa loro, se sono credenti e praticanti hanno una parrocchia di riferimento. Fatte salve le missioni all’estero in paesi in cui non esistono realtà di Chiesa (e che quindi rendono preziosa e anche necessaria la presenza di un prete), la cura pastorale di chi ha scelto di fare il militare non è molto diversa da quella rivolta ad altre professioni o particolari ambienti di lavoro. Di conseguenza, come in ciascuna diocesi ci sono preti incaricati della pastorale di ambiente (è il caso di ospedali e carceri), non si vede perché il servizio pastorale nelle istituzioni militari più rilevanti, come le scuole allievi delle varie armi, non potrebbe essere affidato a preti delle Chiese locali.

Tale impostazione sortirebbe anche un altro effetto: liberare uomini di Chiesa dall’appartenenza a una struttura statale di cui si finisce non solo di essere dipendenti, ma anche in qualche misura funzionali al raggiungimento di finalità talvolta diverse o addirittura estranee alla logica evangelica della pace. Come i cappellani del carcere non hanno il compito di fare i difensori d’ufficio del sistema penitenziario, o quelli in ospedale del servizio sanitario nazionale, non dovrebbe più succedere che i cappellani militari, o addirittura i vescovi, si facciano giustificatori e paladini di missioni armate.

Alla considerazione etico/religiosa possiamo aggiungerne un’altra sul terreno politico/economico, riguardante i risparmi che deriverebbero allo Stato se l’assistenza religiosa fosse affidata a preti incaricati dalle diverse diocesi attraverso un opportuno accordo col Ministero della difesa (si confronti l’importo dell’attuale stipendio di un cappellano militare con quello di un parroco).

Partiti da papa Giovanni, improbabile patrono dell’esercito, abbiamo finito per parlare di preti e di pastorale. E allora, per restare in tema, è utile non dimenticare le due figure che papa Francesco ha indicato a noi preti italiani: don Mazzolari e don Milani. Due parroci per i quali la passione per la pace – inclusa la riflessione critica sugli apparati militari – ebbe un posto non secondario nell’opera di evangelizzazione.

Calci, 13 settembre 2017

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Un commento

  1. Dario Puccetti 15 settembre 2017

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