Maggioranza e opposizione in “emergenza”

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La crisi-Covid sta ridisegnando il ruolo delle opposizioni e dei parlamenti. Ecco quanto è accaduto politicamente in questi giorni nel nostro Paese.

«Sono stati approntati – e sono in corso di esame parlamentare – provvedimenti di sostegno per i tanti settori della vita sociale ed economica colpiti. […] Ho auspicato – e continuo a farlo – che queste risposte possano essere il frutto di un impegno comune, fra tutti: soggetti politici, di maggioranza e di opposizione, soggetti sociali, governi dei territori. Unità e coesione sociale sono indispensabili in questa condizione».

“Indispensabili” l’unità e la coesione sociale

Queste parole pronunciate dal presidente Mattarella nel suo messaggio alla nazione, lo scorso 27 marzo, contengono un’importante indicazione sulla leale collaborazione che in questo difficile momento ci si aspetta da maggioranza e opposizione, per garantire la salute dei cittadini.

Si tratta di un bene costituzionalmente garantito (art. 32) e quindi non sorprende che il Capo dello Stato intervenga per assicurare decisioni condivise su un tema così rilevante.

Come sempre, nell’essenzialità del linguaggio di Mattarella, si nascondono indicazioni importanti, che si possono analizzare. Il Presidente avvisa di avere già auspicato – e di continuare a farlo – che gli atti di risposta alla crisi possano essere il frutto di un impegno comune.

maggioranza minoranza

Questo ci conferma che il Colle stava ampiamente sviluppando, e da tempo, la sua prerogativa di moral suasion nei confronti delle parti politiche e dello stesso Governo, per assicurare «unità e coesione sociale», ritenute «indispensabili» in questa situazione.

La scelta degli aggettivi nei discorsi del Capo dello Stato non è mai casuale. Che l’unità venga definita non solo auspicabile, ma «indispensabile», significa che l’input fornito dal Quirinale al sistema politico è stato particolarmente stringente.

La risposta degli schieramenti politici

Di conseguenza, le procedure di condivisione politica tra maggioranza e opposizione hanno (moderatamente) preso piede negli ultimi giorni del mese di marzo. A partire dal 1° aprile, il Presidente del Consiglio Conte ha incontrato più volte a palazzo Chigi le opposizioni.

Difficile stabilire se si tratti effettivamente di una «nuova fase» di gestione unitaria della crisi, sulla scia delle richieste del Colle. Per ora il clima appare più positivo, dopo la «falsa partenza» del 23 marzo, quando un primo incontro tra Governo e opposizioni non aveva dato i frutti sperati: Salvini aveva probabilmente indispettito Conte per aver rivendicato via social la paternità dell’iniziativa, grazie alle pressioni fatte al Colle.

Il leader leghista, in effetti, aveva incontrato una prima volta il Presidente della Repubblica il 27 febbraio, nei primi giorni di emergenza, concentrandosi però non sul ruolo delle opposizioni, quanto sull’esigenza di «riaprire tutto» dopo i primissimi interventi restrittivi.

Un ulteriore appello al Presidente della Repubblica – non proprio rituale – era partito dal leader leghista il 21 marzo, attraverso un video social, con cui ne richiedeva l’intervento: «Presidente ci rivolgiamo a Lei perché altri non ci ascoltano». Salvini manifestava cinque richieste al Governo: tra le altre, «chiudere tutte le attività che non sono vitali per il Paese» (palesando una diversa coscienza delle strategie necessarie, rispetto a fine febbraio) e «riaprire il Parlamento».

Le attività parlamentari, complici le regole sul distanziamento sociale, sono infatti “andate in tilt” al momento dell’esplosione più acuta della crisi. Pur proseguendo i lavori di commissione, tra il 9 e il 25-26 marzo (quando Conte ha relazionato a Camera e Senato), le aule si sono riunite ben poche volte e, in ogni caso, non per deliberare su atti inerenti la crisi.

Proprio sul ruolo del Parlamento, sulle garanzie istituzionali nella gestione della crisi, si è aperta nel Paese una discussione, per quanto «sommersa» dall’attenzione preminente per l’andamento drammatico della pandemia.

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Ancora una volta, l’apertura di questa discussione era messa in relazione ad una iniziativa informale del Quirinale che, nei giorni attorno al 18-19 marzo, si era attivato per sondare i segretari delle forze politiche. Tanto che, a stretto giro, lo stesso Partito Democratico, pur sedendo al Governo, per bocca dell’“eminenza grigia” Goffredo Bettini, invitava Conte a evitare «ogni conflitto inutile».

La fase di “concertazione”

Da questi passaggi nasce la fase di «concertazione» avviatasi dal 1° aprile. Il confronto politico sta avvenendo non in parlamento, ma Palazzo Chigi, in una sede che Tajani ha chiamato una «comune cabina di regia», mentre Salvini – con ben diverso accento – aveva definito in precedenza «gabinetto di guerra». Proprio questo diverso accento salviniano va sottolineato: secondo vari osservatori, è possibile che Conte tema che dalla «collaborazione» germini un clima favorevole a un governo di unità nazionale, per il quale gira già il nome autorevolissimo di Mario Draghi. Si spiegherebbe così la riserva di Conte, che aspira da sempre ad essere considerato un civil servant al di sopra delle parti.

Comunque sia, questo clima di maggiore condivisione si è per ora delineato sulle misure per lavoro, economia e imprese (il cosiddetto «decreto di aprile»), in preparazione da parte del Governo, e su altre decisioni di rilevanza istituzionale, quale il rinvio delle elezioni regionali di maggio. Al Parlamento invece restano le informative (previste ogni 15 giorni) e il lavoro di conversione dei decreti del Governo.

Qualcosa si è dunque mosso negli equilibri istituzionali del Paese nel corso di questo mese. Si tratta in parte di fatti nuovi, in parte di acutizzazioni di fenomeni già in atto da tempo.

Abituati ad un clima di scontro sopra le righe tra maggioranza e opposizione, e spesso anche dentro le maggioranze, la crisi-Covid ci ha consegnato – a breve – un calo dei toni. Del resto, alcune puntate polemiche tentate occasionalmente – Salvini, Meloni, lo stesso Renzi – sembrano non avere premiato in termini di consenso: tra i cittadini c’è sempre più voglia di unità.

Non abbiamo una democrazia “decidente”

Tra i fenomeni da tempo visibili, ed enfatizzati da queste particolarissime settimane, va segnalata in primis l’oggettiva fragilità del Parlamento, la cui marginalizzazione da decisioni cruciali non sarebbe passata così facilmente in altre stagioni politiche; del pari, il ruolo crescente della figura del Presidente del Consiglio, sempre più premier, a conferma della tendenza diffusa verso l’uomo al comando (senza scomodare la preoccupante vicenda ungherese dei pieni poteri a Orban). In una parola, la difficoltà strutturale per il nostro Paese ad assicurare insieme velocità della decisione e pieno rigore costituzionale.

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Le riforme per una democrazia decidente falliscono da anni. Ne consegue il ricorso sistematico alla decretazione: una malattia ormai cronica del nostro sistema, che il virus ha immediatamente fatto risaltare. Da notare che altri paesi, compresi i «presidenziali» Francia e Stati Uniti, hanno invece fatto ricorso ai parlamenti, dovendo limitare libertà costituzionalmente garantite. L’impressione, preoccupante, è che in Italia l’assenza della garanzia del voto parlamentare sia stata ben poco avvertita dall’opinione pubblica, certamente presa da altre priorità.

Marginalità delle Camere, preminenza degli esecutivi, personalizzazione, aggiungiamo le tensioni tra Stato e regioni e con l’Europa: si dovrà valutare se sono “sbandate” giustificate da una situazione del tutto sconosciuta e che, tutto sommato, la nostra democrazia ha saputo affrontare, e per prima tra quelle occidentali; oppure, se la crisi-Covid ha accelerato tendenze in atto da tempo e che quindi si confermeranno ancora di più per il futuro.

Non è difficile prevedere, infatti, che la crisi sia destinata non tanto a passare, quanto ad aprire una nuova fase sociale e politica del Paese (e probabilmente mondiale), in cui parecchi tra i valori attuali risulteranno “trasvalutati” e, di conseguenza, alcuni equilibri democratici e istituzionali dovranno essere riassestati. Un’opportunità, come sostengono alcuni, ma anche un potenziale rischio per tanti paesi occidentali già da tempo sfidati da sovranismi, populismi e da evidenti problemi di governabilità.

Si tratterà di vedere ancora una volta come si comporterà il virus Covid-19 verso i pazienti con patologie pregresse. Tra questi, purtroppo, c’è anche la nostra democrazia.

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Un commento

  1. Remigio Nino 19 aprile 2020

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