CNCA: quarant’anni dopo

di:

40mo

Il Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza (CNCA) compie 40 anni. È un’istituzione formale, funzionale o creativa nell’oggi che cambia?

Nel frattempo!

Credo sia molto utile chiederci che cosa, nel frattempo, sta succedendo. La pandemia e le guerre moltiplicano e diversificano le sofferenze

Nel frattempo, tante cose stanno cambiando verso la direzione del profitto, anche da parte del “no profit”. E la gratuità diventa un optional non valorizzabile. Chiara provocazione ma, a mio parere, non di secondaria importanza.

Vorrei dare inizio a un insieme di riflessioni, in modo da non perdere le coordinate per un minimo di giustizia sociale.

Il mio primo contributo lo voglio dare raccontando una bella storia. All’interno si possono individuare parole fondanti, antidoti a ciò che, nel frattempo, sta succedendo.

CNCA: Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza, quarant’anni dopo. Comunque il rischio è sempre dietro l’angolo!

Premessa

Quella che scrivo non è la storia dettagliata del CNCA. Semplicemente un tentativo di individuare l’asse portante che l’ha sostenuto in questi quarant’anni. Quaranta non sono pochi!

Scelgo di non citare dei nomi. I veri protagonisti sono quelli che investono la loro soddisfazione nel contribuire alla diffusione delle cose che contano.

Sono costretto a scrivere il mio di nome, ma solo per metterci la faccia, come si usa dire oggi. In questo caso, la firma.

Inizio di una bella storia

1982, credo fosse nel mese di aprile.

L’inizio di una bella storia, a Borgonuovo di Sasso Marconi (BO).

Storia di cultura, di politica e di motivazioni che hanno promosso modi di essere e di operare, anche in riflessione permanente.

Due testi di riferimento. Significativi già nei titoli: “Sarete liberi davvero” e “Tra utopia e quotidiano”. Ambedue editi dal Gruppo Abele.

Il primo come lettera sull’emarginazione, il secondo come programma operativo per chi si vuol inserire in un percorso evolutivo verso il meglio. Per sé stessi e per un accompagnamento condiviso. Ambedue i testi pongono l’attenzione a chi sta ai margini.

Da queste premesse culturali, le due coordinate del procedere: comunità come condivisione, perché tutti abbiamo bisogno di cambiare per essere liberi, e politica, come interesse al Bene Comune, partendo da chi fa più fatica.

 Se il cammino verso l’essere liberi davvero partiva dalle tossicodipendenze, il processo verso la maggior liberazione possibile per la realizzazione di sé riguardava tutti coloro che, di fatto, erano costretti ai margini.

Insieme a loro, per condividere.

Negli anni, tanti altri testi elaborati nelle riflessioni assembleari o nei “Gruppi ad hoc”.

CNCA come Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza

Tutti termini fondanti.

Coordinamento nazionale. Da un gruppo ristretto di preti all’esigenza di trovarsi in modo laico.

L’individualismo promuove inutili protagonismi e blocca l’arricchimento reciproco.

La crescita avviene quando si mettono insieme esperienze, saperi e motivazioni.

Soli ci si impoverisce, insieme si rafforzano le energie.

La comunità non è solo un luogo. È soprattutto un modo di essere.

Quindi comunità accoglienti, dove la solitudine è positiva quando permette la riflessione e la valorizzazione di sé, ma è deleteria quando è insignificanza e riproduzione di vissuti abbandonici.

Le comunità quindi non sono “strutture” e, chi ci vive, non sono “utenti”.

Si usufruisce quando si fa la spesa, si cresce solo quando si è anche protagonisti.

Le parole definiscono e, se si radicalizzano quelle devianti, si finisce per perdere l’orientamento.

Contenuti e modalità operative

Fare comunità, produrre cultura e promuovere politiche, le tre azioni che hanno accompagnato la storia del CNCA.

 Sempre e comunque a partire dagli ultimi.

“Stando in frontiera” ricordavano quelli che vivevano a Trieste.

Tuttora fondanti i dieci punti, come sintesi facilmente leggibile.

Definita la cornice, i contenuti e le modalità operative caratterizzanti sono state costruite insieme, attingendo e valorizzando le varie storie, analizzate dal di dentro.

Occorreva condividere metodi e strategie per accompagnare l’essere Coordinamento di Comunità Accoglienti.

Ci si incontrava nelle assemblee e si ritornava alle proprie sedi con qualcosa di nuovo, di arricchente e di unificante per un’appartenenza di senso e di modalità operative.

A Recoaro si è definita come asse portante dell’essere comunità, la relazione.

Scelta allora molto faticosa, ma concreta e operativa.

Dall’altra parte della bilancia, ci stavano “I Valori”.

Sono le relazioni che costituiscono quell’effettiva accoglienza che aiuta a trovare senso. Se mancano le relazioni, le cose che contano non hanno volto ed entrano nell’elenco telefonico.

A Verona un altro passo fondamentale: l’aspetto terapeutico delle comunità non è fondato su una tecnicità asettica, ma su relazioni valorizzanti che interagiscono nella reciprocità.

Quindi professionalità e relazioni in un contesto valorizzante.

Non ricordo se, nella stessa situazione o in altri momenti, una discussione vivace sulla parola “complessità”. Qualcuno sosteneva che parlare di complessità fosse la via di fuga per complicare le cose. Sono gli aspetti e i vissuti delle persone a essere complessi.

La semplificazione, ma anche la parcellizzazione degli aspetti, non danno ragione all’unicità dell’essere persona.

Nell’accogliere e nell’accompagnare occorre tener conto delle istanze di ognuno. Forse non di tutte, ma almeno delle principali.

Un evento significativo poi ha contribuito a definire un’altra modalità operativa, indispensabile per la crescita di sé e degli altri.

Eravamo in tanti a Roma in piazza Navona, il 5 novembre 1989. Qualcuno ha calcolato cinquemila persone attorno al cartello: educare e non punire.

Non un cartello nel senso di aggregazione d’interessi economici per condizionare il mercato, e neppure un convegno di studio per giustificare scelte operative.

Gioiosamente uniti e festeggianti attorno a un’idea fondamentale nel processo di crescita e di cambiamento.

Un’anticipazione della “giustizia riparativa”!

Di fronte a un modo di intendere la vita non socialmente condivisibile, punire è una facile semplificazione, educare è un coinvolgimento relazionale complesso. Spesso realizzabile in tempi lunghi.

Non secondaria la prospettiva gioiosa del percorso. Non solo i bambini apprendono attraverso il gioco!

A proposito del “fare cartello”, altro argomento di non secondaria importanza: con chi costruire alleanze?

Se l’identità unisce, il chiudersi nell’isola atrofizza.

Fin dall’inizio la prima alleanza è stata quella con la Chiesa.

Alleanza ispirante, ma non condizionante. Come lo erano i preti che hanno dato vita al CNCA.

E come gruppo ad hoc: dal Gruppo Chiesa al Gruppo Spiritualità, per quella laicità che ci ha sempre caratterizzato.

Le altre alleanze andavano costruite volta per volta. Ma non con chiunque!

Tutti accreditati a essere estensori

Le tante riflessioni, elaborate negli anni attraverso assemblee e gruppi ad hoc, venivano raccolte in testi pubblicati da “Comunità Edizioni”.

Oltre ai contenuti di valore identitario ed esperienziale, caratteristico anche il fatto che non esistevano estensori accreditati. Collaboravano tanti e tutti coloro che desideravano riflettere per arricchire.

Condivisione di pensieri come premesse alla condivisione di vissuti.

Non secondario citare alcune pubblicazioni, significative già nei titoli (alcuni anche profetici): Decrescere per il futuro, Quando un’asina educa il profeta.

Soprattutto Abitare le domande, con il sottotitolo “Lettera a chi fa fatica, a chi resiste, a chi cerca ancora”.

Con gli incontri di Spello si è cercato poi di procedere verso risposte da individuare e domande successive da attivare.

Per chi vive la strada e sta sempre ai confini, la ricerca è un obbligo. Un imperativo categorico, che nasce dalla necessità di adattare al cambiamento la soddisfazione dei bisogni essenziali.

Gli autosufficienti, sempre intenti a guardarsi l’ombelico, hanno sempre prospettive ridotte e, di conseguenza, fasulle.

Abitare le parole per essere coerenti

Siamo del modo e viviamo nel mondo.

Parafrasi distorta di un passo del Vangelo, ma utile per introdurre l’obbligo dell’esame di coscienza, come si diceva una volta. Il rischio di parlare bene e di razzolare male è dietro l’angolo.

All’abitare le domande, oggi dovremmo aggiungere l’obbligo di abitare le parole. Ragionare le parole, per non essere irrazionali e coerenza con esse per non essere schizofrenici.

Le parole fondamentali sono come architravi portanti. La creatività non è schiava dei modelli, ma va esercitata all’interno dei parametri di sicurezza.

Comunità, accoglienza, relazioni, protagonismo, pari opportunità comunque sempre e per tutti. Sono principi primi, come l’assioma che dice: il più può contenere il meno e non viceversa.

Per osmosi, la passione delle parole che definiscono, conduce all’obbligo di operare di conseguenza. Non per coerenza logica, ma per essenziale eticità.

Accreditamento e riforma del Terzo Settore sono strumenti per operare in uno Stato e/o una Regione. Strumenti, non metodi operativi. La creatività sta nella ricerca del nuovo, sempre adeguato al contesto che cambia.

Conclusione riassuntiva

Potrebbero essere utili le seguenti considerazioni scritte da Irvin Yalom; uno psichiatra che ha saputo evolvere dal tecnicismo della psicanalisi classica a un approccio valorizzante dell’altro e di sé.

«Evitate le diagnosi. Lasciate che il paziente sia importante per voi… Empatia: guardare dal finestrino del paziente… In terapia la forza del cambiamento non è un’intuizione intellettuale, non è una interpretazione, ma è invece un incontro profondo e autentico tra due persone… Nel corso della mia pratica professionale mi sforzo sempre di avere un incontro autentico con il mio paziente. Tendo a essere attivo, personalmente coinvolto. È raro che una seduta trascorra senza che io mi informi sulla nostra relazione» (Diventare sé stessi Neri Pozza Ed.).

Mi ci sono trovato, anche come uno dei tanti presenti nel CNCA fin dal suo inizio. Per noi l’altro non è un paziente, ma è fondamentale saper uscire dagli schemi e condividere i vissuti.

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