Energie rinnovabili: per la terra e le generazioni

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Nicola Armaroli, chimico del Consiglio Nazionale delle Ricerche, direttore della rivista scientifica Sapere e membro della Accademia delle Scienze, affronta il tema etico del consumo energetico: dall’autoproduzione alla condivisione dell’energia, dal passaggio dai combustibili fossili alle enerigie rinnovabili. L’importanza dell’informazione che permetta ai cittadini di fare passi verso l’indipendenza energetica e creare comunità energetiche locali.

  • Le difficoltà di approvvigionamento del gas stanno determinando – almeno ora – un deciso impulso nel verso delle energie da fonti rinnovabili?

Faccio un po’ fatica a vedere un deciso impulso a nuove installazioni. Non direi che il decisore politico, a tutti i livelli, abbia brillato per promuovere una spinta adeguata. Nella precedente intervista (qui) ho parlato di progetti per 60 GW di rinnovabili installabili da subito, con aziende italiane grandi e piccole pronte a investire miliardi.

Bene, queste aziende sono ancora in attesa di segnali concreti. Qualcosa è stato fatto, ma non vi è stata un’accelerazione decisa degli iter autorizzativi, come richiederebbe la situazione di grave emergenza in cui ci troviamo. Dovremmo installare 8 GW all’anno, quest’anno arriveremo a malapena a 2. Diciamo che lo zelo con cui siamo andati in giro per il mondo a cercare nuovi fornitori di gas è stato decisamente maggiore.

Nel frattempo il principale operatore della rete nazionale di distribuzione registra un aumento di domande di connessione alla rete di impianti fotovoltaici da parte dei privati: è un’ottima notizia. In questa drammatica crisi energetica, cittadini e aziende stanno cominciando a capire l’importanza dell’autoproduzione.

Come ho sempre sostenuto, il cambiamento avverrà principalmente con un’azione dal basso piuttosto che dall’alto. Lo Stato sta facilitando la conversione con l’erogazione di incentivi – e lo fa da tantissimi anni – ma sarebbe necessario uno sforzo maggiore in fatto di campagne di informazione e promozione.

Il compito dello stato e quello dei cittadini
  • Cosa potrebbe fare lo Stato di più e di meglio per incentivare una effettiva transizione energetica, ecologica?

Un paio di esempi fra tanti possibili. Da mesi l’Italia è sotto un sole implacabile, è assolutamente necessario un piano nazionale che incentivi l’installazione – ovunque possibile – di pannelli solari termici per la produzione di acqua calda sanitaria negli edifici. È semplicemente irrazionale continuare a bruciare miliardi di metri cubi di metano, importato da giacimenti lontani migliaia di km a costi esorbitanti, per scaldare acqua per fare la doccia o cuocere la pasta, mentre i nostri tetti sono scorticati dal sole e possiamo fare la stessa cosa a km zero ed emissioni zero.

Lo Stato avrebbe dovuto da anni spiegare ai cittadini con campagne di sensibilizzazione che possono scaldare gratuitamente l’acqua del rubinetto a km zero per 8-12 mesi l’anno (in funzione della latitudine). Invece l’unico messaggio che è passato è che il metano ti dà una mano. Bene, ora vediamo che mano ci sta dando.

Un’altra soluzione che lo Stato dovrebbe promuovere con maggiore impegno, è quella delle comunità energetiche. Cosa sono? Cittadini e imprese si consorziano per condividere l’autoproduzione elettrica rinnovabile, mettendo in condivisione tetti e impianti. In questo modo è possibile scambiare l’energia prodotta, sfruttando il fatto che il profilo di consumo, nel corso della giornata, è diverso per ogni soggetto coinvolto, quindi è possibile tenere il sistema in equilibrio.

C’è bisogno però di convincere gli italiani alla condivisione. E questo non è facilissimo perché siamo tendenzialmente un Paese di individualisti: le ragioni sono molteplici e complesse, e a volte anche comprensibili.

  • Com’è tecnicamente possibile la condivisione di energia elettrica auto-prodotta?  

Le nostre case sono tutte dotate di contatori elettronici intelligenti in grado di comunicare tra loro attraverso la rete elettrica, contabilizzando gli scambi di energia. ENEL (che oggi è il maggiore produttore mondiale di energie rinnovabili, con impianti in mezzo mondo) progettò e realizzò il primo contatore intelligente oltre 20 anni fa e l’Italia ha fatto da apripista mondiale per l’installazione su vasta scala di questi dispositivi, che sono già alla seconda generazione.

Oggi la rete elettrica italiana è una delle più avanzate al mondo ed è pronta già oggi ad accogliere tutte le rinnovabili che saranno installate fino al 2027. Il lavoro di adeguamento è continuo.

Se oggi vi è un limite alla diffusione delle rinnovabili è, paradossalmente, di altra natura: scarseggiano tecnici – ad esempio installatori ed elettricisti – per rispondere alla domanda di transizione energetica che sta esplodendo. Questo vale purtroppo anche in altri settori coinvolti in questo processo epocale, evidenziando gravi carenze programmatiche e formative del sistema educativo italiano, compreso purtroppo quello universitario.

Decentralizzazione della produzione di energia
  • Tu auspichi quindi la diffusione capillare di piccoli impianti di auto-produzione. Ma la rete elettrica potrà reggere così? Non ci sarà ancora bisogno di grandi centrali?  

Ti ringrazio per la domanda, perché questo è un punto cruciale. Spesso si sente dire che sono necessarie centrali di grande taglia per tenere in piedi il sistema elettrico. Questo era senz’altro vero in passato, ma le cose stanno progressivamente evolvendo, grazie al progresso tecnologico. Ha sempre meno senso puntare su grandi centrali, molto costose e poco flessibili, siano esse nucleari, a gas o altro. Un tempo l’elettricità era prodotta da pochi grandi impianti che producevano per milioni di utenti finali.

Oggi stiamo andando in direzione esattamente opposta: vi sono milioni di cittadini e aziende, in crescita continua, che sono al tempo stesso consumatori e produttori; la rete si sta adeguando a questa nuova realtà. Tramite la digitalizzazione, oggi la rete elettrica è in grado di gestire domanda e offerta a livelli impensabili fino a pochi anni fa, grazie anche a un numero sempre maggiore di accumuli, tipicamente batterie ma non solo. Volge al termine il tempo dei grandi impianti.

Se iniziassimo a costruire oggi una centrale nucleare produrrebbe il primo chilowattora tra non meno di vent’anni. Ma un impianto di quel tipo sarebbe completamente inadatto alla rete che avremo tra vent’anni, che sarà ancora più delocalizzata, digitalizzata e flessibile di quella di oggi. A quell’epoca il sistema elettrico potrà contare ad esempio anche su una enorme capacità di accumulo degli automezzi elettrici che, in fase di parcheggio non solo attingeranno energia dalla rete ma potranno anche immetterla, mantenendo il sistema in equilibrio.

Oggi le auto sono parcheggiate e totalmente inutili per il 97% del loro tempo. Bene, utilizzeremo questi tempi morti a beneficio di tutti. Se pensiamo alla rete e al sistema elettrico di oggi e di domani come fossimo negli anni ‘80, siamo sulla strada sbagliata.

  • Quale potrà essere il limite a questo tipo di sviluppo?

In un pianeta finito, un limite fisico c’è sempre. Tuttavia c’è una differenza enorme tra il sistema delle rinnovabili e quello dei combustibili fossili.

Questi ultimi possono essere utilizzati solo una volta e deve essere mantenuto un flusso fisico continuo per tenere in piedi il sistema energetico. Questo flusso è per noi quasi esclusivamente di importazione. Una volta utilizzati, petrolio, carbone e gas si trasformano in biossido di carbonio (CO2) e vanno direttamente a minare la stabilità climatica della Terra. È un sistema cosiddetto lineare: estraggo risorse dal sottosuolo e la converto in un rifiuto (CO2) utilizzando l’atmosfera come discarica.

Con le rinnovabili la situazione è opposta: il flusso fisico è direttamente disponibile in loco (es. luce, acqua, vento, calore del sottosuolo), quindi occorrono i trasformatori (pale eoliche, pannelli fotovoltaici, ecc.) e gli accumulatori (es. batterie) di questi flussi. Convertitori e accumulatori al termine del loro ciclo di vita possono essere riciclati. In altre parole il litio delle batterie della mia auto o del mio impianto fotovoltaico potrà essere utilizzato anche dai miei figli o dei miei nipoti.

È un sistema che può e deve essere circolare, cioè il rifiuto ritorna in gran parte nel ciclo produttivo. Questo non ci permette uno sviluppo illimitato – anche perché il riciclo non può mai essere al 100% – ma ci dà un margine molto più ampio per poter gestire uno sviluppo economico compatibile con le risorse limitate del pianeta.

Bisogna poi aggiungere che il progresso tecnologico ci può dare una mano, ad esempio oggi utilizziamo le batterie al litio ma tra non molto saranno disponibili sul mercato le batterie al sodio. Sarà una rivoluzione, perché il sodio si trova dappertutto – i mari ne sono pieni – mentre il litio è un elemento meno abbondante e molto concentrato in specifiche regioni del pianeta.

Far fronte a una crisi drammatica
  • Mentre stiamo parlando di un futuro promettente, siamo alle prese con il ripristino delle centrali a carbone, per tentare di far fronte ad una eventuale crisi energetica durante il prossimo inverno. Cosa ne pensi?  

Innanzitutto penso che non sia sufficientemente diffusa la consapevolezza di trovarci una situazione drammatica. I dati di questi giorni suggeriscono che la Germania ha meno di tre mesi di riserve di gas.

Se si blocca il sistema produttivo tedesco deraglia l’economia dell’intera Europa. Non ho capito se chi si candida a governare il Paese abbia chiaro in mente questa prospettiva non remota.

Per quanto riguarda il carbone, in Italia attualmente produciamo circa l’8% dell’energia elettrica da questa fonte. Facendo lavorare al massimo le centrali esistenti e ripristinando quella che è stata fermata alcuni mesi fa possiamo raggiungere il 12-15%. Non stiamo parlando di qualcosa di risolutivo, né, per contro, di devastante.

ENEL aveva deciso di chiudere le ultime centrali a carbone entro il 2025. I piani non sono cambiati, ma se il governo lo chiederà, dovrà tenerle in funzione. Speriamo che questo non accada o che, eventualmente, si tratti solo di una soluzione di emergenza breve e transitoria, perché non possiamo interrompere il cammino di decarbonizzazione del sistema elettrico. Teniamo comunque conto che il 70% del carbone importato per alimentare le centrali termoelettriche europee proveniva dalla Russia.

  • Anziché bruciare carbone, comunque inquinante, in vecchie centrali, è sensato pensare, secondo te, a moderni termovalorizzatori per lo smaltimento di rifiuti – di fatto non riciclabili e non riciclati – andando a recuperare energia? 

I termovalorizzatori fanno parte della filiera dei rifiuti e non di quella dell’energia e questa opzione non può essere risolutiva dei nostri problemi energetici, anche perché i rifiuti devono essere in gran parte riciclati, come richiede la legge. Resta il fatto che vi è una frazione dei rifiuti non riciclabile, che bisogna trattare.

Per questa frazione penso sia meglio fare uso di termovalorizzatori (che a loro volta però hanno comunque bisogno di discariche per le ceneri) per produrre calore ed elettricità, piuttosto che metterla in enormi discariche o, peggio ancora, disperderla nell’ambiente o bruciarla in roghi a cielo aperto.

Il caso drammatico di Roma è emblematico di una scelta purtroppo inevitabile. Vi sono invece territori in cui gli inceneritori risultano persino in eccesso: a quel punto ci finisce dentro anche ciò che non dovrebbe, ad esempio plastica e carta che i cittadini hanno diligentemente differenziato.

Transizione energetica

Dal punto di vista della fornitura energetica l’incidenza dei termovalorizzatori rimarrà inevitabilmente minima. Evitare le combustioni, inefficienti, è una parte importante della transizione energetica stessa. Se però non possiamo farne a meno, meglio puntare sulle biomasse – che abbiamo in abbondanza in molte zone – in centrali di teleriscaldamento, possibilmente cogenerative, che producono cioè anche elettricità.

In Trentino-Alto Adige sono molto diffusi impianti di questo tipo. La combustione centralizzata in grandi e moderni impianti garantisce un abbattimento degli inquinanti atmosferici che, con le singole stufe di casa, è impossibile realizzare.

Naturalmente la biomassa deve essere reperita entro un raggio di 30-40 km, altrimenti l’impatto del trasporto annulla i benefici ambientali. Purtroppo questo talvolta non accade e si utilizza biomassa di importazione.

  • Il discorso dell’auto elettrica entra a pieno titolo in quello globale sull’energia?

Assolutamente sì. Ci sono almeno tre buone ragioni per muoverci con decisione verso la mobilità elettrica, partendo però dal presupposto che in Italia dobbiamo puntare alla riduzione del parco circolante: in Europa siamo secondi solo a Lussemburgo come numero di autovetture pro capite.

La prima buona ragione è che, a parità di chilometri percorsi, l’auto elettrica consuma quattro volte meno energia di un’auto a combustione.  La seconda è che questa energia può essere già oggi rinnovabile: se non è possibile produrla a km zero sul tetto di casa con fotovoltaico – io lo faccio – è possibile per tutti attivare contratti di acquisto di sola elettricità rinnovabile. La terza buona ragione è l’emancipazione progressiva dal petrolio, che da 70 anni è causa di tensioni, guerre e deleterie dipendenze.

A quest’ultima ragione si obietta che alla dipendenza dai Paesi produttori di petrolio si sostituirebbe la dipendenza dai Paesi che producono le batterie, ad esempio la Cina.

Ebbene, mentre dalla dipendenza di gas e di petrolio non potremo mai emancipaci perché non li abbiamo e non li avremo mai in quantità significative, dalla produzione della Cina potremo emanciparci con una lungimirante politica industriale.

L’Europa si sta muovendo in questa direzione. È stata creata ad esempio la European Battery Alliance per portare, sempre più, la ricerca, lo sviluppo e la produzione di batterie in Europa. È del resto vero che non avremo mai tutte le materie prime che ci servono per fare gli accumulatori, ma il contenuto materiale delle batterie può essere recuperato, mentre dai carburanti fossili non potremo mai recuperare nulla.

Un’auto a motore a scoppio quando ha percorso 200.000 chilometri, ha bruciato oltre 7 volte il suo peso in benzina o gasolio e ha immesso in atmosfera una quantità di CO2 pari a oltre 20 volte il suo peso: la CO2 è un rifiuto che non ci turba più di tanto poiché totalmente invisibile, inodore e incolore.  Invece, il contenuto materiale di una batteria è esattamente lo stesso del momento in cui è uscita dalla fabbrica: ci sono state – sì – alterazioni chimico-fisiche dovute all’utilizzo, ma il sistema è sigillato e gli atomi contenuti sono esattamente gli stessi.

Come ho detto prima, quel contenuto può essere in gran parte riciclato.  In altre parole, il litio lo estraggo solo una volta e poi lo posso riciclare e lo posso “fare in casa”, il petrolio e il gas debbo continuare ad importarli e a bruciarli per far funzionare l’auto. La differenza è abissale.

  • L’obiezione è che non tutti gli automobilisti possono permettersi l’auto elettrica.

Evidentemente ogni persona, famiglia o impresa fa i conti col proprio portafoglio, ma questa affermazione è in gran parte infondata.

Un’auto elettrica di lusso e un’auto tradizionale di lusso hanno oggi prezzi analoghi, perché il costo della batteria pesa meno sul costo complessivo della macchina. Nella fascia intermedia lo scarto sul costo di acquisto c’è, ma non è enorme.  Sulle auto economiche invece la differenza di acquisto è ancora sostanziale e si aggira mediamente, a parità di prestazioni e optional, sul 30-35%, che è un valore destinato a ridursi con l’aumento delle quote di mercato dell’elettrico a batteria.

Detto questo, bisogna però sottolineare che la valutazione sui costi deve essere complessiva: il costo principale di un’auto, qualunque auto, è quello “di possesso”, cioè combustibile, manutenzione, tasse.

Tutti questi fattori sono a netto vantaggio delle auto elettriche: un pieno di elettricità costa mediamente la metà di un pieno di benzina (nel mio caso la differenza è totale: carico gratis col fotovoltaico sul tetto); la manutenzione di un’auto elettrica è bassissima dal momento che tutte le componenti soggette a usura (trasmissione, pompe, frizione …) non ci sono; una batteria ha un tempo di vita compatibile con quello dell’auto e non deve essere sostituita; la tassazione dell’auto elettrica è ora nettamente inferiore per promuovere la decarbonizzazione dei trasporti.

In altre parole già oggi il bilancio di costo complessivo sulla vita dell’auto è favorevole all’auto a batteria, come dimostrato da decine di studi. Assieme ad altri colleghi ho redatto questo rapporto per il Ministero delle Infrastrutture e della Mobilità Sostenibili (MIMS), in cui abbiamo indicato le linee guida della decarbonizzazione dei trasporti. Ne consiglio la lettura per gli approfondimenti di tutte le cose di cui sopra e di molto altro.

Trasporti a vettore idrogeno?
  • Cosa dici dell’auto – e del trasporto in genere – col vettore idrogeno?

Innanzitutto, anche l’auto ad idrogeno è un’auto a trazione elettrica: l’elettricità è prodotta da una cosiddetta cella a combustibile alimentata con idrogeno. È un’auto molto più complessa e costosa di un’auto a batteria, che non è destinata a sfondare per molteplici ragioni.

Innanzitutto i’idrogeno molecolare è sostanzialmente assente sulla Terra e bisogna produrlo (è un cosiddetto vettore di energia, non una fonte). Per far questo occorre spendere molta energia che, per essere sostenibile, deve essere ottenuta da fonti rinnovabili.  Oggi l’idrogeno viene prodotto in gran parte dal metano (CH4), ma non ha chiaramente senso bruciare metano per produrre idrogeno per alimentare un’auto: tanto vale usare direttamente il metano.

L’unico modo sostenibile per produrre idrogeno è utilizzare acqua (H2O) e dispositivi chiamati elettrizzatori che la scindono in idrogeno e ossigeno. Questo però richiede una grande quantità di energia elettrica rinnovabile: per fare 1 kg di idrogeno servono 55 kWh, pari al consumo elettrico medio di una famiglia italiana in una settimana.

Una volta prodotto, l’idrogeno deve essere convogliato a un distributore e compresso a pressioni elevatissime (700 bar) per essere immagazzinato nelle bombole dell’automobile: anche queste operazioni hanno un elevato costo energetico ed economico, senza considerare che oggi l’infrastruttura di distribuzione dell’idrogeno non esiste.

Considerate tutte le operazioni a monte, l’auto a idrogeno consuma tre volte più energia di un’auto a batteria e quindi non potrà mai competere, poiché Il principio cardine di tutta la transizione energetica è aumentare l’efficienza, non diminuirla

L’idrogeno potrà comunque avere uno sviluppo laddove le alternative non abbondano: trasporto su mezzi pesanti, specie navi e treni, mentre anche nei camion si sta progressivamente affermando l’opzione a batteria.

Un altro impiego molto importante dell’idrogeno potrà essere nella industria pesante (acciaierie, cementifici, cartiere) ove potrà sostituire l’attuale impiego di gas metano. L’idrogeno necessario dovrà però essere prodotto da surplus di elettricità rinnovabile che prima di 10 anni non avremo.

  • Cosa pensi del cosiddetto idrogeno blu cioè prodotto dal metano e seguito da cattura e stoccaggio della anidride carbonica risultante nel sottosuolo?

L’idrogeno blu è un argomento fuorviante della discussione sulla transizione energetica, perché semplicemente non esiste. Sono trent’anni che cerchiamo di stoccare la CO2 nel sottosuolo in decine di siti in tutto il mondo e i risultati sono a dir poco deludenti.

A parte i tanti progetti che hanno chiuso per problemi tecnici, separare la CO2 dalle altre molecole che escono dalle ciminiere di grandi impianti e iniettarla a oltre 1 km di profondità comporta un consumo energetico enorme, incompatibile col buonsenso e con la sostenibilità economica del processo, anche in presenza di elevati costi della CO2 nel mercato delle emissioni.

L’unico modo che è risultato conveniente per lo stoccaggio della CO2 nel sottosuolo è utilizzarla per forzare la produzione di petrolio da giacimenti ormai esauriti. La CO2 prodotta da quel petrolio faticosamente recuperato non verrà però a sua volta catturata e questo rende chiaro a chiunque l’insensatezza di un’operazione del genere.

Il sequestro della CO2 è una gigantesca operazione di greenwashing per mantenere in piedi il sistema dei combustibili fossili ormai al collasso. Credo che la comunità scientifica dovrebbe essere più determinata a indirizzare la transizione verso opzioni fattibili adesso e non verso quello che gli inglesi chiamano wishful thinking.

Buona parte delle tecnologie e degli strumenti per la transizione esistono già e sono sul mercato: pannelli fotovoltaici, pale eoliche, turbine idrauliche, impianti geotermici ad alta e soprattutto bassa temperatura, pompe di calore, batterie, biomassa da rifiuti, digitalizzazione, reti intelligenti.

Se a qualcuno non piacciono, deve farsele piacere: non abbiamo tempo da perdere per aspettare soluzioni miracolose, che non esistono. Questo abbiamo e questo dobbiamo usare. Adesso. Con alcune di queste tecnologie ho realizzato una casa staccata dal gas e mi appresto ad affrontare l’inverno difficile in arrivo con una certa tranquillità, a emissioni zero.

La lobby del combustibili fossili
  • Saremmo in grado – in tempi brevi – di produrre tutta l’energia elettrica che servirebbe per sostituire le auto tradizionali con auto elettriche? 

La UE ha stimato che se tutte le auto tradizionali fossero sostituite da auto a batteria, l’incremento del consumo di energia elettrica in Europa si aggirerebbe attorno al 12%. Una conversione di questo tipo, nel giro di 10-15 anni, è assolutamente gestibile alle condizioni di cui ho detto: incrementare capillarmente la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili e adeguare ulteriormente la rete elettrica per gestire i picchi di domanda.

Consideriamo inoltre l’effetto benefico sulla bilancia dei pagamenti di una riduzione di quattro volte, in termini energetici, dell’importazione di petrolio. L’abbandono dei motori a combustione è fattibile, ma non è semplice, anche perché ci sono molti interessi che si oppongono al cambiamento. Questo è tutt’altro che sorprendente, ma non deve farci desistere.

  • Le aziende multinazionali che dominano il mercato dell’energia da combustibili fossili consentiranno?  

Nella drammatica congiuntura attuale, alimentata anche da un’indecente speculazione finanziaria, le grandi società del petrolio e del gas stanno realizzando profitti enormi. Al tempo stesso stanno continuando a cercare nuove risorse da sfruttare in tutto il mondo per continuare ad alimentare il loro modello di business.

In un mondo razionale dovrebbero essere fermate, perché il petrolio e il gas che abbiamo già scoperto sono più che sufficienti per annientare la stabilità climatica del pianeta e quindi il benessere di tutti.

Bisogna essere molto chiari: l’interesse economico a breve termine di queste aziende è ormai in completo contrasto con l’interesse generale e sta creando le condizioni per l’implosione dell’economia mondiale. Questo è il nodo cruciale da sciogliere per garantire il futuro della civiltà moderna. I decisori politici lo hanno capito?

Non ancora. Infatti, mentre parliamo di piani di decarbonizzazione, le emissioni di CO2 continuano ad aumentare e la crisi climatica si aggrava ogni giorno di più. Ci stiamo prendendo in giro, ma non è una buona idea.

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Un commento

  1. Ludovico Bonfiglio 13 settembre 2022

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