UE: Molestie sessuali e questione maschile

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«L’alleanza dell’uomo e della donna è chiamata a prendere nelle sue mani la regia dell’intera società. Questo è un invito alla responsabilità per il mondo, nella cultura e nella politica, nel lavoro e nell’economia; e anche nella Chiesa. Non si tratta semplicemente di pari opportunità o di riconoscimento reciproco. Si tratta soprattutto di intesa degli uomini e delle donne sul senso della vita e sul cammino dei popoli. L’uomo e la donna non sono chiamati soltanto a parlarsi d’amore, ma a parlarsi, con amore, di ciò che devono fare perché la convivenza umana si realizzi nella luce dell’amore di Dio per ogni creatura. Parlarsi e allearsi, perché nessuno dei due – né l’uomo da solo, né la donna da sola – è in grado di assumersi questa responsabilità» (Papa Francesco, dal discorso ai partecipanti all’Assemblea generale dei membri della Pontificia Accademia per la vita, 5 ottobre 2017).

La molestia sessuale è una forma di violenza contro le donne e le ragazze ed è, tra le forme di discriminazione basate sul genere, la più estrema, ma anche la più persistente. Circa il 90% delle vittime di molestie sessuali sono di sesso femminile e circa il 10% di sesso maschile. Secondo lo studio dal titolo Violence against women, condotto nel 2014 a livello europeo dalla Agenzia dell’Unione Europea per i diritti fondamentali (FRA-European Union Agency for Fundamental Rights):

  1. una donna su tre ha subito atti di violenza fisica o sessuale in età adulta;
  2. il 55% delle donne nell’Unione Europea ha subito molestie sessuali;
  3. il 32% di tutte le vittime nell’Unione Europea indica come aggressore un superiore o un collega;
  4. il 75% delle donne che svolgono professioni qualificate o che ricoprono incarichi dirigenziali ha subito molestie sessuali;
  5. il 61% delle donne che lavorano nel settore dei servizi ha subito molestie sessuali;
  6. il 20% delle giovani donne di età compresa tra 18 e 29 anni nell’Unione Europea ha subito molestie sessuali online;
  7. una donna su dieci ha subito molestie sessuali o è stata vittima di atti persecutori (stalking) attraverso le nuove tecnologie.

È quanto richiamato nella Risoluzione sulla lotta alle molestie e agli abusi sessuali nell’Unione Europea approvata dal Parlamento europeo il 26 ottobre 2017 con 580 voti a favore, 10 contrari e 27 astenuti.

È utile, anche alla luce delle recenti clamorose denunce del diffuso fenomeno dei ricatti sessuali in ambito professionale o all’interno delle istituzioni pubbliche, soffermarsi sulla “domanda di diritto” di cui si fa promotrice la Risoluzione.

Definizione nel diritto comunitario di “molestia sessuale”

Le molestie sessuali sono definite nel diritto dell’Unione Europea come una «situazione nella quale si verifica un comportamento indesiderato a connotazione sessuale, espresso in forma verbale, non verbale o fisica, avente lo scopo o l’effetto di violare la dignità di una persona, in particolare attraverso la creazione di un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante od offensivo».[1]

Esse sono contrarie al principio dell’uguaglianza di genere e della parità di trattamento e costituiscono una discriminazione basata sul genere e, pertanto, sono vietate nel mondo del lavoro, anche per quanto riguarda l’accesso all’occupazione, alla formazione professionale e alla promozione, così come sono vietate in altri ambiti.

La Risoluzione del Parlamento europeo fa rilevare che il persistere degli stereotipi di genere, del sessismo, delle molestie e degli abusi sessuali costituisce un problema strutturale diffuso in Europa e nel mondo.[2] È un fenomeno che riguarda vittime e autori di qualsiasi età, livello di istruzione, fascia di reddito e posizione sociale, e che ha conseguenze di tipo fisico, sessuale, emotivo e psicologico per la vittima.

Le molestie sessuali o i comportamenti sessisti non sono innocui. La loro banalizzazione anche attraverso l’utilizzo di un linguaggio goliardico (alla “così va il mondo”) è il riflesso di atteggiamenti sessisti e trasmette messaggi di controllo e potere nella relazione tra uomini e donne: il che si ripercuote sulla dignità, sull’autonomia e sulla libertà di queste ultime.

Alla base di tutte le forme di violenza nei confronti delle donne vi è la distribuzione iniqua del potere tra uomini e donne, gli stereotipi di genere e il sessismo, ivi compresa la tendenza alla reificazione, sia offline che online, della donna e della sessualità femminile.

I casi di molestie sessuali e di bullismo spesso non sono denunciati a causa del livello costantemente basso di consapevolezza sociale riguardo al problema, della scarsità di canali per assicurare un efficace sostegno alle vittime e della percezione che si tratti di una questione sensibile per la società, nonostante l’esistenza di procedure formali per affrontarla sia sul luogo di lavoro che in altri ambiti.

Chiamata in causa degli uomini

Sostieni SettimanaNews.itLa parità di genere – si legge nella Risoluzione – è una responsabilità di tutti gli individui della società e richiede il contributo attivo di donne e uomini.

Gli Stati membri dell’Unione Europea dovrebbero, però, coinvolgere maggiormente gli uomini nelle campagne di sensibilizzazione e di prevenzione. È centrale, infatti, il ruolo che la componente maschile della società può svolgere impegnandosi a contrastare con determinazione le circostanze e le strutture che rendono possibili, anche passivamente, i comportamenti che conducono a tali atti nonché opponendosi a qualsiasi comportamento scorretto o inappropriato.

Soprattutto le autorità competenti dovrebbero impegnarsi a sviluppare campagne di educazione e di sensibilizzazione rivolte alle giovani generazioni, allo scopo di coinvolgerle nella prevenzione e nella progressiva eliminazione di ogni forma di violenza basata sul genere e nel favorire l’emancipazione delle donne.

Molestie online

Per combattere le molestie sessuali, la Risoluzione considera fondamentale affrontare il problema dello scarso livello di denunce e della stigmatizzazione sociale, definire procedure per la rendicontabilità sul luogo di lavoro e agire contro le forme emergenti di violenza, ad esempio nel ciberspazio.

È allarmante il fatto che le molestie online, in particolare sui media sociali, che vanno dai contatti indesiderati, dal trolling e dal bullismo online alle molestie sessuali e alle minacce di stupro e di morte, si stiano diffondendo nella nostra società digitale, dando luogo anche a nuove forme di violazione della dignità, come l’utilizzo di immagini degradanti online e la diffusione sui media sociali di foto e video privati senza il consenso delle persone interessate.

Una tendenza, quella delle molestie online, non ancora sufficientemente studiata o denunciata, principalmente a causa della natura del reato, che spesso causa sentimenti di vergogna e di colpa nella vittima.

Più protezione

La Risoluzione deplora che violenze e abusi sessuali siano spesso tollerati con troppa facilità, costituendo di fatto una violazione sistematica dei diritti fondamentali, nonché un grave reato che, in quanto tale, deve essere punito.

Nell’Unione Europea le donne non sono equamente protette dalla violenza di genere e dalle molestie di natura sessuale a causa delle differenze tra le politiche e le normative degli Stati membri.[3] I sistemi giudiziari non offrono loro un sostegno adeguato. Gli autori di atti di violenza di genere sono spesso già noti alla vittima e in molti casi quest’ultima si trova in una posizione di dipendenza: il che aumenta il timore di denunciare la violenza.

In base all’articolo 40 della Convenzione di Istanbul sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, gli Stati membri devono adottare «le misure legislative o di altro tipo necessarie per garantire che qualsiasi forma di comportamento indesiderato, verbale, non verbale o fisico, di natura sessuale, con lo scopo o l’effetto di violare la dignità di una persona, segnatamente quando tale comportamento crea un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo»: tale comportamento va sottoposto a sanzioni penali o ad altre sanzioni legali.

…anche negli ambienti politici e istituzionali

La Risoluzione stigmatizza anche le molestie sessuali perpetrate nei confronti delle donne nell’ambiente politico e all’interno delle istituzioni pubbliche (comprese quelle europee). Tali comportamenti costituiscono un’evidente violazione non solo dei diritti umani e delle libertà fondamentali, ma anche del diritto che ogni donna ha di partecipare liberamente alla rappresentanza politica.

I politici, in qualità di rappresentanti eletti dai cittadini, hanno la responsabilità fondamentale di agire come modelli positivi nella prevenzione e nella lotta contro le molestie sessuali nella società.

La Risoluzione chiede una maggiore inclusione delle donne nei processi decisionali, nei sindacati e nelle posizioni dirigenziali di organizzazioni nel settore pubblico e privato. Invita gli Stati membri, in collaborazione con le Ong, le parti sociali e gli enti nazionali per le pari opportunità, a intensificare considerevolmente le misure di sensibilizzazione riguardo ai diritti delle vittime di molestie sessuali e di discriminazione basata sul genere Sottolinea l’urgente necessità che gli Stati membri, le organizzazioni dei datori di lavoro e i sindacati promuovano attività di sensibilizzazione sulle molestie sessuali[4] e sostengano e incoraggino le donne a denunciare immediatamente fatti di questo tipo.


[1] Per quanto riguarda il nostro Paese, il Decreto legislativo 11 aprile 2006 n. 198, recante il “Codice delle pari opportunità tra uomo e donna”, definisce, all’art. 26, le molestie sessuali come «comportamenti indesiderati posti in essere per ragioni connesse al sesso con lo scopo o l’effetto di violare la dignità di un lavoratore o di una lavoratrice e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante o offensivo». Sono, pertanto, da ritenersi molestie sessuali: le insinuazioni e i commenti equivoci sull’aspetto esteriore di una persona; le osservazioni o barzellette su caratteristiche, comportamenti e orientamenti sessuali; i contatti fisici non desiderati; l’esibizione di materiale pornografico; i ricatti sessuali o le avances in cambio di promozioni o vantaggi sul lavoro; gli inviti insistenti a chiaro scopo.
[2] Sulla base di una rilevazione svolta dall’Istat nel 2016, si stima che in Italia siano un milione 400 mila le donne che hanno subito, nel corso della loro vita lavorativa, molestie o ricatti sessuali sul posto di lavoro. Esse rappresentano circa il 9% delle lavoratrici attuali o passate, incluse le donne in cerca di occupazione. In particolare, i ricatti sessuali per ottenere un lavoro o per mantenerlo o per ottenere progressioni nella carriera hanno interessato, nel corso della loro vita, un milione e 100 mila donne (pari al 7,5% delle donne con le caratteristiche sopra richiamate). Il dato è stato segnalato il 27 settembre 2017 dal residente dell’Istat, Giorgio Alleva, nel corso dell’audizione presso la Commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio, nonché su ogni forma di violenza di genere istituita con Delibera 18 gennaio 2017 del Senato della Repubblica (Cf. SettimanaNews.it n. 9/2017: dal 27 febbraio al 5 marzo).
[3] In Italia non esiste in ambito penale una norma ad hoc per contrastare le molestie sessuali. Ad oggi le uniche molestie definite come tali dalla legislazione penale sono quelle previste dall’art. 660 c.p. ai sensi del quale il reato di “molestia o disturbo alle persone” si concretizza allorquando un soggetto, «in un luogo pubblico o aperto al pubblico, ovvero col mezzo del telefono, per petulanza o per altro biasimevole motivo, reca a taluno molestia o disturbo». Sono puniti, attraverso l’art. 660 c.p., i comportamenti di pedinamento, i corteggiamenti insistenti e non graditi, le telefonate mute e continue, l’invio di messaggi non graditi. La norma estende la sua operatività anche ai nuovi mezzi di comunicazione a distanza, come l’invio di e-mail, sms o mms. La giurisprudenza di legittimità, peraltro, ricomprende nel reato ex art. 660 c.p. anche espressioni volgari a sfondo sessuale ovvero atti di corteggiamento invasivo e insistito, quando non coinvolgano la sfera fisica della persona offesa e non siano idonei a violare la sua libera autodeterminazione sessuale. Le molestie sessuali che si concretizzano in un contatto fisico potrebbero sfociare nel ben più grave reato di violenza sessuale ex art. 609 bis c.p..
[4] Va ricordato che il 25 gennaio 2016 le sigle sindacali italiane Cgil-Cisl-Uil e Confindustria hanno firmato un’intesa che recepisce l’Accordo Quadro sulle molestie e la violenza nei luoghi di lavoro raggiunto il 26 aprile del 2007 dalle rispettive rappresentanze a livello europeo Businesseurope, CEEP, UEAPME e ETUC.

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