Rupnik: lo strappo e le domande

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abusi

Grande tristezza e smarrimento si sono diffusi alla notizia delle inchieste che hanno interessato p. Marko Rupnik, il gesuita animatore del Centro Aletti a Roma, artista, teologo e riferimento spirituale per molti.

Alimentate da siti on-line non sempre affidabili, le informazioni sono imprecise e non complete, ma sufficienti per indicare una duplice indagine relativa al gesuita. La prima, indiretta, nasce da una visita canonica ad una fondazione religiosa slovena, la “comunità Loyola” di Lubiana, e alla sua fondatrice Ivanka Hosta.

L’inchiesta è stata condotta da mons. Daniele Libanori, gesuita e vescovo ausiliare a Roma, città dove si è palesata la denuncia. La seconda indagine, sull’attività religiosa di Rupnik, è stata avviata dalla Congregazione della dottrina della fede, demandata alla curia dei gesuiti e condotta da un religioso domenicano. Questa seconda indagine si è chiusa per prescrizione: i fatti, collocabili all’inizio degli anni ’90 non sono più perseguibili, se non derogando dalle norme canoniche, come peraltro sovente succede nei casi di abuso.

Allo stato attuale dei fatti – dando per scontate le spinte improprie verso una trasparenza assoluta poco rispettosa dei diritti personali e interessi ideologici non condivisibili –, è possibile un’informazione che tenga conto del rispetto prioritario dovuto alle vittime, del dibattito sollevato all’interno dei gesuiti, delle ipotesi scodellate dalle varie fonti informative, con un accenno all’opera e ai risultati perseguiti dal Centro Aletti.

Le due inchieste

La prima inchiesta, condotta da mons. Libanori, riguarda la famiglia religiosa “comunità Loyola” di diritto diocesano con alcune decine di consacrate (Lubiana, Slovenia), fondata negli anni ’80 da Ivanka Hosta e da tempo attraversata da grandi tensioni.

Insufficienze formative, ambiguità nella distinzione tra foro interno (coscienza) e foro esterno (disciplina), discutibili prassi comunitarie hanno accumulato un disagio crescente che la visita canonica ha registrato. Sono possibili decisioni, anche drastiche, da parte del dicastero della vita religiosa. P. Rupnik è coinvolto per quanto riguarda i primi anni, dal 1990 al 1993, quando si registra una spaccatura insanabile fra lui e la fondatrice, mai più rimarginata.

Una prima testimonianza, raccolta dal sito Left,  registra una lettera al papa in cui, fra il resto, si dice: «La comunità nei suoi inizi è stata segnata da abusi di coscienza, ma anche  affettivi e presumibilmente sessuali da parte di p. Marko Rupnik. Egli, come amico della fondatrice e di varie sorelle degli inizi, aveva una vicinanza e una presenza costante nella vita personale di tutte le sorelle e della comunità nel suo insieme».

Una seconda testimonianza è raccolta da F. Giansoldati. Luisa (nome di fantasia) sarebbe tornata a denunciare abusi dopo 28 anni, attraversata dal dubbio «di non essere stata creduta» nella denuncia precedente.

Una terza, attribuibile a una consacrata laica, accusa p. Rupnik di aver sfruttato  «il suo ruolo di amico, confessore e padre spirituale per instaurare, attraverso una fine manipolazione, rapporti intimi di natura sessuale».

Discussioni nella Compagnia

Il 2 dicembre il delegato per le comunità romane della Compagnia di Gesù rende pubblica una dichiarazione in cui ammette una denuncia contro p. Rupnik e conferma l’avvio di una indagine previa fra il 2021 e il 2022.

Il tutto è poi visionato dal Dicastero della dottrina della fede che in ottobre constata «che i fatti in questione erano da considerarsi prescritti e ha quindi chiuso il caso». Ricorda le misure cautelari messe in atto nel frattempo (proibizione della confessione, della direzione spirituale e dell’accompagnamento negli esercizi spirituali) che sono prolungate anche in seguito.

Davanti all’ondata mediale in Slovenia il provinciale locale dei gesuiti, p. Miran Žvanut, ricorda l’archiviazione del caso, le misure solo “precauzionali” adottate, l’assenza di ogni condanna. Sottolinea la serietà della “presa in carico” da parte della Compagnia di ogni denuncia da parte delle vittime.

L’ex provinciale della provincia euromediterranea della Compagnia, p. Gianfranco Matarazzo, vede nel caso Rupnik uno “tsunami” «di ingiustizia, di mancata trasparenza, di gestione discutibile, di attività bacata, di opera personalizzata, di comunità apostolica sacrificata al leader, di disparità di trattamento». Chiede alla congregazione l’assunzione della piena responsabilità, una ricostruzione dettagliata dei fatti, una conferenza stampa chiarificatrice, l’apertura degli archivi e l’intervento di p. Hans Zollner, membro della pontificia Commissione per la protezione dei minori e Preside dell’Istituto di antropologia.

Sul ricorso alla prescrizione e sulle questioni sollevate dall’archiviazione p. Zollner annota che «per quanto vedo, può essere data risposta solo dal dicastero per la dottrina della fede». In una successiva intervista si esprime il preposito generale, p. Arturo Sosa. Richiama: i diritti delle vittime, ma anche degli accusati, non sono coinvolti minori e l’indagine preliminare è stata affidata a un religioso non gesuita.

Le misure prese nei confronti di p. Rupnik «sono state proporzionali ai fatti» e sono state mantenute «perché vogliamo approfondire la questione, per vedere come aiutare tutti coloro che sono coinvolti». Esclude che l’interessato predichi esercizi, ma non gli è impedito di celebrare. «Non è in prigione, né alcuna delle misure influenzano il suo lavoro artistico. Ha impegni artistici molto importanti… Continua ad avere la stessa mobilità di tutti noi, per motivi di lavoro» (intervista ad Antonio Marujo).

Spezzoni e lapilli

Difficile seguire tutti gli anfratti delle informazioni sui social e sui siti. Mi limito ad annotare alcuni elementi. Vi sarebbe stato un risarcimento di 43.000 euro da parte della “comunità Loyola” verso le vittime (Left).

Non si capisce perché il suo caso non sia stato affidato al dicastero dei preti o dei religiosi; qualcuno l’ha pilotato? Si denuncia il silenzio sulla vicenda e l’ambiguità dell’atteggiamento del papa (Silere non possum). C’è chi suppone il delitto canonico dell’assoluzione del complice (Messainlatino), chi trova indebito il ricorso al gesuita Libanori e discutibile il coinvolgimento di mons. Giacomo Morandi, allora segretario del dicastero e amico di p. Rupnik. Altri denunciano le “colpevoli” incertezze del vicario, card. Angelo De Donatis. Molti si concentrano sulle attività pubbliche, pastorali e mediali di p. Rupnik che non si sono interrotte e che avrebbero motivato le vittime a rinnovare le loro denunce.

Il centro  Aletti

Praticamente assenti nei media i riferimenti al ruolo e al futuro del centro Aletti, a cui ho dedicato alcuni articoli, in particolare nel decennio a cavallo del secolo. Pur con forze molto ridotte (una decina fra gesuiti, consacrate laiche, oltre a più numerosi e più occasionali artisti e mosaisti in particolare), il centro ha affrontato temi di grande rilievo.

Anzitutto il rapporto fra Est e Ovest. La presenza del card. Tomàš Špidlík con la sua competenza sulla teologia orientale e l’insegnamento di alcuni gesuiti al pontificio Istituto orientale hanno imposto una rinnovata attenzione all’altro “polmone” della Chiesa. L’iniziale attenzione a centinaia di intellettuali e teologi orientali ha alimentato e stabilizzato una riflessione teologica che ha diffusi stilemi oggi comuni come la “divinaumanità”, la bellezza spirituale, la Sofia (sofianità), l’intelligenza spirituale del sentimento, la “tuttaunità”, la “divizzazione” ecc. L’amicizia con E. Clément, il più grande teologo ortodosso della seconda metà del ’900, ne è stato il sigillo.

In secondo luogo, il tema dell’arte, trascinata dalla mosaistica di p. Rupnik. Essa si è ritagliata uno spazio nel rinnovamento complessivo dell’arte liturgica e ha rappresentato una delle risposte dell’arte visiva capace di ridare alle immagini “devote” l’intenzionalità vitale delle icone. Le opere dell’artista sloveno sono distribuite in una trentina di paesi e in luoghi di grande impatto come il Vaticano, i santuari più celebri (Lourdes. Fatima, Aparecida), luoghi rilevanti del cattolicesimo attuale (Cracovia, Washington).

In terzo  luogo, la produzione teologica. Grazie all’editrice Lipa sono arrivati sul mercato centinaia di volumi di non piccolo peso culturale. Basta ricordare alcuni nomi:  Špidlík, Clément, Taft, Soloviev, Bulgakov, Brock, Evdokimov, Truhlar, Zizioulas. Fino alle opere, più recentemente edite, di Schmeman.

Le attuali denunce metteranno a dura prova l’originale convivenza fra consacrate e religiosi nel centro Aletti e riavvieranno dibattiti di più lunga gestazione.

In particolare, sul ruolo della psicologia contemporanea nei processi vitali della vita consacrata e la pertinenza di un impianto culturale costruito sul susseguirsi di età critiche e di età organiche sulla falsariga di V. Ivanon.

In attesa che lo “tsunami” mediale e le giuste attese delle vittime ci riconsegnino gli opportuni riferimenti per il cammino futuro.

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12 Commenti

  1. Cosimo 15 dicembre 2022
  2. Fabio Cittadini 13 dicembre 2022
  3. Giovanni Lupino 12 dicembre 2022
    • F. Stefano cappuccino 15 dicembre 2022
      • Giovanni Lupino 16 dicembre 2022
  4. Giacomo 12 dicembre 2022
  5. Fra Sandro 12 dicembre 2022
  6. Suor M.Teresa Elena Manni Bernardoni 11 dicembre 2022
    • Gian Piero 12 dicembre 2022
  7. Giuseppe 11 dicembre 2022
  8. Gian Piero 11 dicembre 2022
    • Anima errante 11 dicembre 2022

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