Nello spazio meno di un mese, la nostra Chiesa cattolica in Grecia ha perso due tra i più eminenti membri del suo episcopato: Francesco Papamanolis ofm capp, vescovo emerito di Syros, Santorini e Creta (2.12.1936 – 2.10.2023), e Dimitrios Salachas (7.5.1939 – 16.10.2023), esarca emerito dei cattolici di rito bizantino in Grecia.
Del primo si è già riferito nella presente testata (cf. SettimanaNews, 6.10.2023), del secondo cercherò di presentare una testimonianza in quanto amico, collega nell’insegnamento nelle Università Pontificie di Roma e membri ambedue della Commissione mista internazionale per il dialogo teologico tra le Chiese cattolica e ortodossa.
I tanti ruoli ricoperti
Salachas era un noto canonista, esperto del Diritto canonico comparato latino e orientale. Ha insegnato diritto canonico (sia latino che orientale) presso la Pontificia Università Urbaniana, la Pontificia Università Gregoriana, la Pontificia Università San Tommaso d’Aquino, l’Angelicum e il Pontificio Istituto Orientale di Roma.
È stato consultore del Dicastero per le Chiese orientali e dei Pontifici consigli per l’interpretazione dei testi legislativi e per la promozione dell’unità dei cristiani. È stato membro della Commissione internazionale mista per il dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa. È stato membro della Società internazionale di diritto canonico orientale.
È autore di più di 20 opere e di numerosi articoli non solo con tematiche canonistiche e ecumeniche.
Il 23 aprile 2008 è stato nominato esarca dell’Esarcato apostolico greco-cattolico di Grecia e vescovo titolare. È stato ordinato vescovo il 24 maggio 2008. Papa Francesco ha accettato le sue dimissioni il 2 febbraio 2016.
L’ecumenismo nel cuore e nella mente
Credo che uno degli aspetti più importanti della sua attività sia stato il suo apporto all’ecumenismo.
Era membro della Commissione teologica mista fin dalle origini, cioè dalla prima sessione plenaria tenutasi nell’isola greca di Patmos e di Rodi dal 29 maggio al 4 giugno 1980. È stato l’ultimo membro di quella commissione e rappresentava la memoria vivente di questo difficile dialogo che resiste, nonostante tutto, ancora oggi.
Sebbene appartenesse alla Chiesa cattolica (era un «uniate»!, categoria non accetta dalla gran parte degli ortodossi), aveva il raro carisma di essere ben accolto dai membri ortodossi della Commissione e in generale da molti ortodossi nel campo accademico e anche da parecchi della gerarchia della Chiesa ortodossa. Il suo carattere schietto, obiettivo e scientificamente preparato era lo strumento immediato del suo ecumenismo.
Più di un metropolita e qualche membro di quella commissione erano stati suoi alunni e, per alcuni, era stato relatore della tesi di dottorato.
Ma la ragione più importante del suo «successo» ecumenico era la profonda conoscenza ecclesiologica delle due tradizioni e il loro differente linguaggio. Era in grado di capire le ragioni ecclesiologiche delle due tradizioni e aiutare le due parti a capirsi.
Non è un caso che quando, dopo 40 anni di presenza nella Commissione mista – ha cessato di farne parte a causa dell’età (83 anni) –, il patriarca ecumenico Bartolomeo gli abbia inviato una lettera di ringraziamento per «per il suo contributo faticoso ma fruttuoso in favore di questa Commissione ecumenica».
Negli ultimi dieci anni la Commissione si è occupata del Primato e della Sinodalità nel primo e nel secondo millennio. Il riferimento alla legislazione della Chiesa unita e, in seguito, delle Chiese divise era frequente nelle discussioni e nella stesura dei documenti. Su questi punti gli interventi di Dimitrios Salachas erano illuminanti e spesso determinanti.
Primato e Sinodalità: il Canone 34°
Un esempio classico del suo apporto decisivo nei documenti della Commissione mista è il più volte citato 34° Canone dei Canoni Apostolici, di cui Salachas era uno specialista.
Quel Canone, fondamentale per la comprensione dell’istituzione patriarcale e sinodale nelle Chiese d’Oriente e per capire la contemporanea sussistenza del Primato e della Sinodalità, stabilisce quanto segue: «I vescovi di ciascuna nazione [ethnos] devono conoscere [chi è] il primo [protos] tra di loro e prenderlo come il capo e non fare alcunché di importante senza il suo parere, e ciascuno operi solo in merito a cose riguardanti la propria circoscrizione e i territori che ne dipendono; ma neppure quello [il primo o capo] faccia qualcosa senza il parere di tutti: così ci sarà concordia e sarà glorificato Dio, il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo».
Negli interventi esplicativi di questo Canone, Salachas ripeteva:
«Questo canone coniuga due principi. Il primo è che in ogni regione ci deve essere un solo protos, o capo (istituzione di primazialità e di unità). Il secondo è che il protos non può agire senza i molti (istituzione di sinodalità). Non esiste nessun ministero o istituzione di unità che non sia espresso sotto forma di comunione. La concezione orientale della Chiesa richiede un’istituzione che esprima l’unicità della Chiesa, e non solo la sua molteplicità. Ma la molteplicità non può essere assorbita dalla primazialità del protos. Il ministero insostituibile del protos non può sostituire il ministero dei “molti”, cioè dei pastori delle Chiese locali».
Potrebbe essere questo il testamento ecumenico del professore e vescovo Dimitrios Salachas, ora che la Chiesa cattolica tenta di recuperare la vera dimensione sinodale.
Ioannis Spiteris è arcivescovo emerito di Corfù, Zante e Cefalonia