Carl Schmitt e George Mosse

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Carl Schmitt, ne Il concetto di ‘politico’ (1932), rileva che il “Settecento illuminato aveva visto davanti a sé una linea chiara e semplice di crescente progresso dell’umanità”, inteso come un suo “perfezionamento intellettuale e morale”. Il XIX secolo, invece, pur se da differenti prospettive, concepisce tale progresso come “sviluppo tecnico-industriale-economico”.

L’economia “si presentò come la portatrice di questa entità in verità assai complessa; economia, commercio ed industria, perfezionamento tecnico, libertà e razionalizzazione apparvero come qualcosa di unitario ed anche, nonostante la loro offensiva contro feudalità, reazione e Stato di polizia, come qualcosa di essenzialmente pacifico in contrasto con la violenta attività bellica”.

A integrazione e parziale rettifica di tale quadro globale, possiamo porre il volume dello storico George Lachmann Mosse La nazionalizzazione delle masse (1974). L’Ottocento è sì il secolo liberale, ma, al tempo stesso, soprattutto in area tedesca, vede sorgere e affermarsi miti e organizzazioni caratterizzate dall’idea di nazione e di gruppo, non di individuo. I gruppi dei tiratori, l’idealizzazione simbolica della quercia e del fuoco sacro, lo stesso partito socialisteggiante di Ferdinand Lassalle.

La stessa idea di Stato prussiana, del resto, si nutre di un humus del genere e così il sistema filosofico di Hegel.

In definitiva, dunque, Schmitt, nel momento nel quale ritiene in via di superamento l’individualismo liberale dell’Ottocento, di cui pure riconosce la presa e l’attualità, riesuma un altro “ingrediente” di quello stesso secolo. Un ingrediente che di lì a poco avrebbe potentemente contribuito (e in realtà già contribuiva) ad alimentare i regimi totalitari del Novecento.

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