Hamas e Israele

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Il capolavoro di Henri Pirenne – Maometto e Carlomagno – resta un’opera esemplare per la capacità di rendere l’intreccio complesso di fattori geopolitici, socioculturali, economici e religiosi condensati già nel titolo: l’Europa, per come la conosciamo ancor oggi, emerge, in fondo, da quella temperie altomedioevale, ben prima dell’anno Mille. Lì, forse, davvero si poteva parlare di un incontro e uno scontro di civiltà. Dove lo “scontro” è l’altro volto, il volto ombroso dell’“incontro” e viceversa.

Il sanguinoso duello tra Hamas e Israele, al contrario, è tragicamente mediocre. Il tragico è dato dal sangue versato, dalle donne israeliane barbaramente violentate, dalle crudeltà indicibili di quel funesto 7 ottobre del 2023, dai massicci attacchi di cielo e di terra di Tel Aviv, fino al limite del genocidio. Quegli ostaggi assassinati, quelle bambine e quei bambini affogati nel sangue restino di monito all’umanità, proprio come gli ebrei (e, con loro, i nomadi, i folli, i comunisti, gli omosessuali, i Testimoni di Geova e altri, morti della stessa morte, condividendone la sorte) sterminati ad Auschwitz.

In quella striscia di terra non si sono fronteggiate due civiltà, bensì due barbarie. Entrambe espressioni di mediocrità, giochi (se è lecito giocare col sangue) e calcoli inconfessabili di potere, ipocrisie. Due leadership che hanno immolato sull’altare della propria permanenza decine e centinaia di migliaia di persone. Non a caso, esse si intestano ora il merito della tregua e puntano a spenderla nel mercato politico-diplomatico.

È davvero difficile, in realtà impossibile scorgere dietro la carneficina di Gaza l’eco dei profeti biblici, dei patriarchi, degli eredi di Maometto, se non in forma di illusioni acustiche. Riecheggiano, quelli sì, i falsi profeti, che chiamano pace la guerra e generano confusione e caos. Hamas e i vertici di Israele, poi, si sono posti entrambi al di fuori delle regole condivise della convivenza e degli stessi codici di guerra.

Provando a interpretare la lezione di Carl Schmitt, potremmo dire che entrambi si sono comportati da “Stati-canaglia”, contravvenendo al vivere (e al morire) civile, se di civiltà (o di legittimità) si può parlare quando viene sparso sangue a fiumi. E di ciò siamo corresponsabili: quel che è accaduto resterà un monito tragico rispetto alla nostra impotente ipocrisia e complicità, proprio come il silenzio colpevole di chi sapeva di Auschwitz e taceva. Ecco il J’Accuse…! di quelle donne e di quei bimbi.

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