Solennità di Tutti i Santi

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Vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli. Si mise a parlare e insegnava loro dicendo:

«Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli.

Beati quelli che sono nel pianto, perché saranno consolati.

Beati i miti, perché avranno in eredità la terra.

Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno

saziati.

Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia.

Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio.

Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio.

Beati i perseguitati per la giustizia, perché di essi è il regno dei cieli.

Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli. (Mt 5,1-12)

La Solennità di tutti i Santi offre alla nostra meditazione il testo delle beatitudini, che, a una prima lettura risulta una pagina semplice, perché dice cose fondamentali ed elementari della nostra vita: parla della povertà, del dolore, dei comuni apporti che intratteniamo con gli altri, delle fatiche e delle contrarietà di cui è tessuta l’esistenza di ciascuno. Tuttavia, ogni volta che lo leggiamo, questo testo rivela profondità sempre nuove, così che risulta uno dei più difficili, anche perché si avverte la qualità radicale di queste parole e la difficoltà a viverle.

Annunci di felicità

Le otto beatitudini sono formulate alla terza persona plurale più una alla seconda plurale per indicare che esse non sono un discorso teorico, ma sono subito applicate alla realtà degli ascoltatori.

Ogni beatitudine si compone di tre parti: la prima è la proclamazione dell’essere felici («beati»); questo annuncio è adesso l’atteggiamento o la situazione che caratterizza gli uomini ai quali si riferisce la proclamazione (II parte); infine, la terza parte è la descrizione delle varie modalità con cui coloro che sono detti beati sono raggiunti dall’azione di Dio.

La proclamazione esprime la conseguenza, la situazione la condizione e l’azione di Dio la causa.

Ciò vuol dire che la causa della felicità non sono gli atteggiamenti o le situazioni umane, ma l’essere raggiunti dall’azione di Dio: adesso sono felici quegli uomini che si trovano in una determinata situazione, perché saranno raggiunti da un’azione di Dio che colmerà la loro mancanza.

Le beatitudini non sono obbligazioni, né esortazioni, e neppure promesse, ma sono constatazioni piene di gioia, sono annunci di felicità. Le beatitudini perciò sono buona notizia perché annunciano la gioia più grande, sicura e reale, in quanto è fondata nell’atteggiamento e nell’azione di Dio; annunciano la pienezza e la completezza della gioia. Non sono un programma di ciò che gli uomini devono fare, ma di quello che Dio farà in alcune condizioni. L’azione di Dio viene a liberare e a colmare chi manca di qualcosa, o anche di tutto.

Il ritratto del discepolo

Questo non significa che tale condizione non vada migliorata, cioè che non siano necessari interventi concreti di aiuto, ma che è rivolto un invito a vivere in dialogo con Dio, come se si proclamasse a tutti coloro che vivono nelle condizioni di povertà, sofferenza e fatica: «Dio sta con voi e colma tutto ciò che vi manca».

Accanto a questa lettura, si può guardare al testo riconoscendovi il ritratto del discepolo di Gesù, quale è il santo, di colui che, essendosi riempito di Dio nella fede, vive nella dimensione di una vita nuova nei confronti dei fratelli.

Il fondamento di questa possibilità non è un discorso astratto, ma è lo stesso Signore Gesù, è il modo in cui egli ha trattato i poveri, i sofferenti e gli oppressi, è il modo in cui lui stesso ha praticato la povertà, l’umiltà, la mitezza.

Infatti, negli atteggiamenti proclamati si manifesta innanzitutto la figura di Gesù, non solo perché è lui colui che realizza ogni beatitudine, ma soprattutto perché esse presuppongono l’annuncio di Gesù che si fa presente e sollecita un cambiamento.

Di conseguenza, nelle beatitudini Gesù descrive di quale comportamento diventa capace l’uomo che ripone la sua fiducia in Dio, orienta i suoi desideri a lui ed è chiamato a rivolgere il suo sguardo verso le situazioni di povertà, di sofferenza, di oppressione, rendendo presente, attraverso gesti concreti, la salvezza di Dio.

L’impegno a cui esse richiamano, tuttavia, non equivale a liberare il mondo dal male, come se l’uomo avesse questo potere; piuttosto è un compito che assume la forma di far percepire quell’amore di Dio che apre il cuore alla speranza.

Il discepolo, quindi, continua la medesima azione di Gesù, il quale non ha eliminato il male, ma lo ha messo a nudo ed è intervenuto nelle sue dinamiche, introducendo dinamiche di amore che annullano o trasformano radicalmente le spinte malvagie e perverse; il Signore si è opposto al male non contrapponendosi ad esso, ma contrastandolo con atteggiamenti contrari.

Perché l’annuncio della benevolenza del Padre, manifestata nel Figlio, sia autentico e testimoni la verità della parola del Signore, perché i poveri possano riconoscere tale benevolenza è necessaria la presenza di persone che concretamente, sfamano, consolano, accolgono, perdonano, soccorrono quanti soffrono violenza, ingiustizia, oppressione.

Verificare l’atteggiamento interiore

Ma ciò significa che assumere attivamente le beatitudini non può essere ridotto a fare semplicemente delle cose o ad attuare dei progetti, anche se necessari e buoni. C’è, infatti, un’altra dimensione che è più essenziale e che riguarda l’atteggiamento interiore dell’uomo.

Non è sufficiente compiere gesti di solidarietà e di prossimità nei confronti dei poveri, se lo spirito con cui si compiono è diverso da quello chiesto da Gesù. I gesti di bontà devono essere espressione dell’azione di Dio e questo può essere realizzato soltanto se l’atteggiamento del discepolo è quello interiore disegnato dalle beatitudini.

Non si tratta di qualcosa di accessorio, ma di un aspetto determinante, poiché rappresenta la condizione per accogliere il regno e per rendere concreto l’annuncio del Signore, evitando ogni forma di sottile oppressione, di dipendenza, di malintesa solidarietà che possono accompagnare qualsiasi azione di amore e di servizio.

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