Via Francigena: migliora l’accoglienza

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Sono passati quindici anni dal giubileo del duemila e siamo invitati a sorpresa ad accogliere un’ondata straordinaria di pellegrini sulla Via Francigena.

A guardar bene, molte cose sono cambiate in questi anni. Molte comunità hanno migliorato il servizio dei volontari dell’accoglienza con turni calendarizzati (Ivrea, Pontremoli, Aulla, Ponte d’Arbia, S. Quirico d’Orcia, Viterbo-La Torretta). Talvolta si è assistito ad una strutturazione avvalendosi di associazioni o di confraternite legate al carisma dell’ospitalità (Vercelli, Valpromaro, Lucca, S. Miniato Basso, Abbadia Isola, Radicofani, Acquapendente, Roma).

Alcuni ospitali di accoglienza povera sono stati restaurati o aperti ex novo (Vercelli, Pontremoli, Aulla, Pietrasanta, Valpromaro, Lucca, Abbadia Isola, San Quirico d’Orcia, Radicofani, Acquapendente, Viterbo-La Torretta).

Cosa è cambiato in questi anni nelle comunità che accolgono?

Da un lato, l’evento occasionale del duemila si è trasformato in un vero e proprio progresso delle comunità ospitanti che hanno visto aumentare di anno in anno il flusso dei pellegrini. D’altro canto, l’impegno occasionale degli “ospitaleri” della prima ora è diventato un’esperienza di accoglienza più qualificata che ha attirato su di sé l’attenzione di più persone ex pellegrine o sensibili al fenomeno.

Per chi crede, si tratta di una vera e propria chiamata del Signore: «Ero forestiero e mi avete ospitato» (Mt 25,35); è il passo del vangelo su cui è fondata biblicamente la quarta opera di misericordia corporale (ospitare i pellegrini), tanto citata in questo Anno santo della misericordia.

Certamente c’è molto da migliorare nell’attuale asse ecclesiale di accoglienza povera: l’apertura di più chiese lungo la via, la loro segnalazione e le informazioni ad hoc per i pellegrini al loro interno, la creazione nelle stesse di un angolo del pellegrino con un tavolo, con mappe illustrative…

Un altro settore di impegno è quello che riguarda il miglioramento degli spazi per l’accoglienza vera e propria con la disponibilità di più camere, di più bagni e soprattutto più docce (maschi, femmine, handicap); spesso occorre realizzare un angolo cottura, oppure una zona per lavare-asciugare gli abiti. L’arredo e l’iconografia dell’ospitale deve far in modo che non ci si senta in un hotel a quattro stelle ma neanche in un luogo anonimo o, peggio, in un lupanare.

È importante che presso le comunità ecclesiali l’offerta per l’accoglienza sia libera, nello stile del vangelo, come ricordavo ora.

L’associazione Ad Limina Petri (www.adliminapetri.org), nata ufficialmente nel 2010, cerca di fare in modo che questi cambiamenti vengano introdotti su tutti i novecento chilometri del percorso della Via Francigena del nord e anche sulle altre antiche vie di pellegrinaggio del territorio italiano.

Ci siamo riusciti?

Certamente no, ma vedendo quello che è stato fatto dalle persone impegnate sul territorio, cioè da quelli che condividono questi stessi ideali, possiamo dire che si tratta di un ramo verde della chiesa e della società italiana da curare sempre più.

Molti “ospitaleri” testimoniano che, pur avendo iniziato il loro servizio pensando di dover accogliere gli altri, spesso hanno finito per essere accolti loro stessi dai pellegrini che li hanno riconosciuti come persone amiche, ringraziati, valorizzati, invitati nei loro paesi di provenienza, qualche volta perfino esaltati.

È quello che succede quando si dona con il cuore: «Si è più beati nel dare che nel ricevere!» (At 20,35).

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