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Ci si abitua a tutto, si dice. E così alla fine ci siamo abituati al ricorrere del tema degli abusi nella Chiesa. Il tema è inserito nelle richieste di perdono, colpa tra le colpe. Sembrerebbe però più opportuna una richiesta di perdono specifica, come è successo in Irlanda, dove tutti sono messi in causa: chi ha compiuto, chi non ha vigilato, ma anche chi ha dato spazio a una logica di potere che nell’abuso vede la sua ultima aberrazione.
Il primate irlandese ha dedicato al tema la via crucis del venerdì santo del 2022. Nell’omelia della «Domenica della protezione» il vescovo Farrell ha sottolineato l’urgenza di «cambiare cultura». Per adottare una cultura della «responsabilità» in nome del Vangelo, ma anche della più elementare giustizia umana, è necessario «che noi non rigettiamo le testimonianze delle vittime di abuso (…) e che cominciamo ad accettare il fatto che le queste tenebre hanno radici profonde» in noi stessi: «È essenziale che ciascuno di noi accetti al realtà vissuta da tante persone»
In Italia ci sono fonti che comunicano nuovi casi o l’emergere di nuove vittime di personaggi già riconosciuti come abusanti, ma siamo nella logica dell’infinita aggiunta.
Un po’ di tempo fa, leggendo sul quotidiano francese La Croix − che non perde di vista il tema − della denuncia di una comunità, ho letto solo il titolo, perché conosco già i passaggi fondamentali dell’articolo. Il fondatore, riconosciuto come abusante, e le domande: solo lui o un sistema? Perché nessuno ha denunciato?
Di fronte a questa abitudine sono rimasta perplessa, mi sto forse abituando al fatto che nella Chiesa ci siano soggetti che in forza del loro ruolo all’interno di essa abusano minori o adulti?
Due segnali
Due notizie, invece mi hanno scosso positivamente. È di venerdì 17 gennaio la notizia che il vescovo Éric de Moulins-Beaufort, presidente della Conferenza dei vescovi di Francia, di fronte a nuove vittime di abusi da parte dell’Abbé Pierre, ha chiesto alle autorità francesi di indagare soprattutto per capire chi poteva sapere e non ha denunciato. E ancora una volta ha invitato le vittime a denunciare.
In Italia, invece, è dell’inizio dell’anno la questione del parroco della diocesi di Brescia. Dopo il suo insediamento, sono emersi sospetti di pedofilia, e allora è arrivata al parroco la richiesta del vescovo Tremolada di lasciare per un tempo la guida della parrocchia.
La decisione francese è in linea con la determinazione con cui la Chiesa d’oltralpe affronta la questione e segno di quanto riconosca la necessità di coinvolgere anche la giustizia dello Stato. Per l’Italia, invece, pur senza arrivare a processi sommari, finalmente una decisione che rispetta non solo eventuali vittime ma anche le comunità e infine che non mette in primo ed esclusivo piano, la pur doverosa presunzione d’innocenza del sacerdote.
Si passerà all’indagine. Eppure in tutto questo si ha la sensazione di essere lontani da decisioni che affrontino il cuore della questione. L’abuso è una piaga, ma non è un virus venuto dall’altro mondo. Da quando nel 2008 il Papa indicò nel clericalismo le radici del problema, si sono moltiplicate le ricerche e pubblicazioni, di cui abbiamo anche dato notizia in questa sede, che mostrano l’abuso come aberrazione del diritto di esercizio del potere.
Purtroppo il fenomeno è antichissimo e solo tardi, per noi, è diventato quello che è oggi ai nostri occhi. Ma tanta distrazione e lentezza deve forse permanere?
Recentemente, tutti i genitori di un gruppo di catechesi di ragazzi delle medie non ha lasciato partecipare i figli a un’uscita parrocchiale. Mai successo… La motivazione è stata quella di non voler far dormire fuori casa i figli. Eccesso di protezione o semplicemente timore di degenerazioni possibili, a prescindere da chi poi formuli l’invito? È un prete e questo basta. Segnale, questo, meno isolato di quanto si possa pensare. Tra le persone meno vicine alla vita parrocchiale, ma che comunque scelgono di inviare i figli al catechismo, il tema degli abusi è un ostacolo.
C’è il protocollo CEI per gli operatori pastorali con minori e giovani, ma non ovunque è stato firmato dagli operatori stessi. In alcuni casi è solo conosciuto. Ma non si potrebbe in aggiunta pensare a forme concrete di presa in carico dei timori dei genitori? Un esempio, forse paradossale: un genitore che segua la due giorni solo per «vigilare»?
Cambiamenti già possibili
Il lavoro di prevenzione è un’ottima via. Ben vengano i seminari tenuti da esperti presenti nella commissione nazionale per gli abusi, nello specifico suor Anna Deodato e don Enrico Parolari. Ma il silenzio su quello che c’è è faticoso per tutti, perché si sa che il problema esiste e allora piacerebbe sapere che c’è anche consapevolezza della sua gravità. Nelle chiese in cui si tace sembra quasi che si dica: fidati di noi, stiamo lavorando… ma è giusto e possibile chiedere tanta fiducia, ora che sappiamo che i migliori hanno abusato?
E poi la questione del potere, non è solo una questione morale. Quando il Papa parla di clericalismo, in cui cadono ministri e laici, che acconsentono a vedere nel ministro l’unica figura rappresentativa della comunità cristiana, sta parlando di una forma di chiesa. Il Sinodo è una risposta che chiede i suoi tempi e cambiare le sale parrocchiali mettendo tavoli rotondi non basterà.
La recente nomina di suor Simona Brambilla, oltre che per la questione della donna nella chiesa, è una buona notizia per l’uscita dal «clericalismo». Il papa suggerisce la via forzando il diritto canonico. «A bocce ferme», senza cambiare tutto, ci sono interstizi da mettere in luce e che possono portare a prassi diverse, con soggetti laicali (una suora è una battezzata che si consacra, ma non ha sacramenti da esibire).
E questo si può fare subito, per tanti motivi, ma soprattutto per smantellare logiche di potere che di fatto hanno lasciato spazio alla sofferenza di molti.
Non fa meraviglia, storicamente parlando, il diverso atteggiamento della Chiesa francese, che invita a denunciare gli abusi subiti al proprio interno “anche” allo Stato, dato il tradizionale minor clericalismo dell’opinione pubblica. Credo che in Italia sarebbe proprio il caso di cominciare a diffondere questo unico consiglio, in senso esteso, chiunque indossi le vesti dell’aggressore, dal momento che il tribunale laico patte dal principio che la legge è uguale per tutti. Si tratta di una mentalità a cui il conformarsi comincerebbe a rappresentare un buon esempio, se si pensa a quanto può distrarre in senso negativo la diffidenza nei confronti della legge su cui san Paolo insiste, se non meglio approfondita e intanto accompagnata dalla certificazione che “ogni autorità viene da Dio” presente nello stesso epistolario. Anche se è vero che tra i cittadini non infallibilmente si trovano in atto paritarie condizioni di partenza, e ciò indebolisce la veridicità del motto di cui sopra, l’inveterato principio gerarchico di autorità che per secoli ha costituito l’impianto di una comunità da ritenersi società perfetta, mantenendosi di fatto lentissimo quando non del tutto ostile al cambiamento, da parte sua non incoraggia alla sincerità nelle eventuali accuse dirette o alla fiducia di ottenere giustizia contro una forza maggiore riscontrata in rebus.
Nel vangelo secondo Matteo si legge: «Chi invece scandalizza anche uno solo di questi piccoli che credono in me [sottointeso: i fanciulli], sarebbe meglio per lui che gli fosse appesa al collo una macina girata da asino, e fosse gettato negli abissi del mare.
Nella compagine ecclesiale distinguerei due tipi di persone: quelle che servono la Chiesa e quelle che si servono della Chiesa.
Non facciamoci l’abitudine: giustissimo, denunciamo subito gli abusi, senza esistazione. E nessun perdono per chi commette questo orrendo crimine, ma che paghi severamente per il reato commesso.
Le radici del clericalismo risiedono nella non accettazione della laicità di Gesù e nella conseguente sacralizzazione/clericalizzazione della fede. Ma cosa intendiamo per laicità di Gesù ? Tre libri ci aiutano a comprendere. Il primo è di Romano Penna, insigne esegeta recentemente scomparso, e si chiama “Un solo corpo. Laicità e sacerdozio nel cristianesimo delle origini” ed. Carocci. Il secondo si chiama “La laicità del credente” di Giuseppe Barbaglio, ed. Cittadella. Ed il terzo è “Per un cristianesimo fedele” di Roberto mancini, anch’esso ed. Cittadella. Il devastante clericalismo si combatte coraggiosamente intervenendo sulle cause storiche e dottrinali che lo hanno prodotto e che (se non rimosse) continuano ad alimentarlo. Occorrono riformare la dottrina ed il codice di diritto canonico. Basta con i funambolismi verbali e con gli aggiustamenti formali.