L’anima della “Rerum novarum” /4

di:

dottrina sociale

Nella precedente riflessione sulla Rerum novarum (cf. qui su SettimanaNews) abbiamo commentato la fervente difesa della proprietà privata da parte di Leone XIII. Una difesa che il Papa fonda su tre dimensioni: la natura, la libertà e la spiritualità.

Egli afferma anzitutto che «i beni privati sono conformi alla natura». Infatti, al di là di qualsiasi organizzazione ideologica dello Stato, «l’uomo è anteriore ad essa» e, prima di ogni altra cosa, deve valere il suo «diritto di provvedere alla propria vita e al proprio corpo». Partendo da questo dato essenziale, Leone XIII afferma: il fatto che «la terra sia stata data dalla natura e da Dio a uso e godimento di tutto il genere umano, non si oppone per nulla al diritto della privata proprietà di porzioni determinate». Poiché il Creatore ha fatto a tutti quel dono «non perché ognuno ne avesse un comune e promiscuo dominio, bensì in quanto non assegnò nessuna parte del suolo determinatamente ad alcuno, lasciando ciò all’industria degli uomini e al diritto speciale dei popoli».

Dio non dispone l’amministrazione della terra da parte dell’uomo in modo astratto, bensì concreto. Allo stesso modo, non stabilisce la misura che spetta a ciascuno, poiché rispetta la nostra autonomia e le relazioni che segnano il nostro cammino storico. Spesso le relazioni umane producono ingiustizia, ma questa è una responsabilità nostra. Qui il libero arbitrio si manifesta in tutta la sua forza…

Pur essendo consapevole dell’iniquità presente al suo tempo, Leone XIII propone un altro elemento di speranza: il lavoro. Infatti, coloro che non possiedono beni «compensano» questo fatto con un’attività per la quale devono ricevere un giusto salario. Un meccanismo che, grazie al risparmio, può consentire a individui e famiglie di acquisire proprietà e nel migliore dei casi anche terreni propri.

Secondo il Papa, «la forza di tali ragioni è così evidente che è davvero sorprendente che qualcuno possa dissentirne, se non è mosso dal desiderio di restaurare dottrine già da tempo rigettate dall’esperienza e dal corso stesso della vita umana». Si riferisce a coloro che «negano apertamente» all’individuo «il diritto di possedere come padrone il terreno su cui ha costruito o il campo che ha coltivato. Essi non si rendono conto che, negando ciò, l’uomo sarebbe privato delle cose prodotte con il proprio lavoro».

Nel 1891, un pontefice già levava il suo grido al cielo contro gli statalisti voraci che rendono uguali gli uomini solo nella miseria: «La giustizia può forse ammettere che qualcuno venga ad appropriarsi di ciò che un altro ha innaffiato con il proprio sudore?». Assicurare «il frutto del lavoro» è una esigenza vitale. Ed è anche una garanzia di pace e armonia, poiché la proprietà privata rappresenta una legge «sommamente consona alla natura dell’uomo e alla pacifica convivenza sociale».


El alma de la ‘Rerum novarum’ (IV)

En la anterior reflexión sobre la ‘Rerum novarum’, comentábamos la ferviente defensa de la propiedad privada por parte de León XIII. Algo que el Papa ancla en tres vertientes: la naturaleza, la libertad y la espiritualidad.

Así, reclama que “las posesiones privadas son conforme a la naturaleza”. De hecho, más allá de cualquier organización ideológica del Estado, “el hombre es anterior a ella” y, antes que ningún otro, emerge “el derecho de velar por su vida y por su cuerpo”. Desde esta esencia, defiende que “el que Dios haya dado la tierra para usufructuarla y disfrutarla a la totalidad del género humano no puede oponerse en modo alguno a la propiedad privada”. En ese sentido, el Creador no actuó así “porque quisiera que su posesión fuera indivisa para todos, sino porque no asignó a nadie la parte que habría de poseer”.

Dios no dispone la administración de la tierra para el hombre de un modo abstracto, sino real. Del mismo modo que no concreta la medida que le corresponde a cada uno, pues respeta nuestra autonomía y las relaciones que marcan nuestro devenir histórico. Muchas veces, estas incurren en la injusticia, pero esta es responsabilidad nuestra. Aquí, el libre albedrío aflora a pleno pulmón…

Aunque, consciente de la inequidad que se plasmaba en su tiempo, León XIII ofrece otro aspecto para la esperanza: el trabajo. De hecho, “los que carecen de propiedad” lo “suplen” con una tarea por la que deben recibir un salario justo. Mecanismo que, gracias al ahorro, podrá conducir a los individuos y familias a hacerse con propiedades; y, en el mejor de los casos, con tierras para sí mismos.

Para el Papa, “es tan clara la fuerza de estos argumentos que sorprende ver disentir de ellos a algunos restauradores de desusadas opiniones”. Se refiere a los que “le niegan de plano” al individuo “el derecho a poseer como dueño el suelo sobre que ha edificado o el campo que cultivó. No ven que, al negar esto, el hombre se vería privado de cosas producidas con su trabajo”.

En 1891, un pontífice ya clamaba al cielo contra los estatalistas voraces que solo nos igualan en la miseria: “¿Va a admitir la justicia que venga nadie a apropiarse de lo que otro regó con sus sudores?”.

Asegurar “el fruto del trabajo” es vital. Y una garantía de paz y armonía, pues la propiedad privada es la ley “más conforme con la naturaleza del hombre y con la pacífica y tranquila convivencia”.

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