La Terza rilevazione sulla rete territoriale per la tutela dei minori e degli adulti vulnerabili (aprile 2025) segna la progressiva estensione, rafforzamento e funzionalità degli strumenti messi in vigore dai vescovi. Ma sembra ancora distante dal percepire il problema come sistemico e dalle sue profonde domande di riforma.
Dopo il primo report del 2022 (cf. primo report e il giusto nome alle cose su SettimanaNews) e quello successivo del 2023, la terza Rilevazione offre uno spaccato importante delle attività dei servizi diocesani e interdiocesani per la tutela dei minori (in sigla SDTM/SITM) e dei risultati dei centri di ascolto.
Per il periodo 2023-2024 sono stati registrati nei 103 centri di ascolto 69 casi di presunto abuso di cui 27 in parrocchia, 11 in case di formazione, 5 in un istituto religioso, 4 in un movimento o in un’associazione ecc.
Gli atti abusanti si esprimono in comportamenti inappropriati (36), toccamenti (25), molestie sessuali (19), abusi spirituali (17) ecc. Le vittime sono 118, di cui 64 maschi e 51 femmine.
Nelle rilevazioni precedenti i numeri erano 54 vittime nel 2022 e 89 nel 2023. L’età delle vittime si colloca in prevalenza fra 10-14 anni (28), fra 15-18 anni (33) e oltre i 18 anni (16).
I presunti autori di reato sono 67 (in prevalenza chierici, 44). Erano 32 e 68 nelle rilevazioni precedenti. Sono in larghissima prevalenza maschi (65). Le donne sono solo 2. Quanto alla eventuale denuncia in sede civile si ha conoscenza solo di 14 casi.
Un cammino lungo
In sede di conclusione si dice: «La Chiesa italiana ha intrapreso un percorso partecipato e diffuso per rispondere al bisogno di tutela di minori e adulti vulnerabili. Negli ultimi cinque anni si sono attivati in tutto il territorio servizi diocesani e interdiocesani – (184 attivi in 194 diocesi su 206; escludendo quelle accorpate e abbaziali; mentre i servizi che fanno riferimento alle conferenze episcopali regionali sono 16, ndr) – sono state costituite équipes di esperti che hanno attivato oltre 800 persone (80 in più rispetto al 2022), in grande maggioranza laici, a testimoniare il loro ruolo sempre più rilevante in questo servizio ecclesiale. Tali volontari hanno organizzato 781 incontri di formazione e sensibilizzazione nel 2024, a cui hanno partecipato circa 23 mila persone, con una crescita importante nel quinquennio».
Nel paragrafo successivo si registra tuttavia un giudizio meno coerente con la pregevole montagna di dati forniti nelle 90 pagine del testo e meno ottimista. Si registrano, infatti, «le valutazioni ancora critiche» dei coordinatori dei servizi che chiedono relazioni migliori con gli organismi ecclesiali e con le istituzioni laiche e civili. I ricercatori, gli operatori e i responsabili avvertono il pericolo di una normalizzazione del fenomeno e, tendenzialmente, di una sua relativizzazione.
Servizi regionali
Il documento si articola in cinque capitoli: i servizi regionali per la tutela dei minori, i servizi diocesani e interdiocesani, i centri di ascolto, le domande aperte e le conclusioni.
L’attenzione è quindi focalizzata sulle strutture poste in atto e sul loro funzionamento e implementazione piuttosto che sulle vittime, il loro percorso e le loro esigenze. In attesa che l’annunciato studio pilota possa chiarire meglio (cf. qui su SettimanaNews) l’identità delle vittime e degli abusatori.
Le cifre fornite e le osservazioni riguardano non solo i numeri assoluti, ma si specificano nelle aree geografiche del Paese e secondo la diversa estensione delle diocesi.
Nell’ambito dei 16 coordinatori per le altrettante conferenze regionali dei vescovi, si può notare la crescita delle iniziative formative che sono diventate 1.178 e la costituzione di équipes di esperti in 12 casi.
Sono considerate buone le relazioni dei coordinatori con i referenti diocesani e con i vescovi. Decisamente inferiori i consensi delle relazioni con gli uffici pastorali, i religiosi e soprattutto le associazioni non ecclesiali e gli enti locali.
Nelle diocesi
I servizi diocesani e interdiocesani coprono ormai la quasi totalità delle diocesi con una forte crescita delle diocesi del Sud. Il referente diocesano è più laico che prete con una presenza residuale dei religiosi. Le sue competenze sono prevalentemente psicologiche, canonistiche ed educative. Si avvale di équipes in quasi tutte le diocesi e il numero dei collaboratori supera gli 800. Per oltre il 50% sono donne, mentre i chierici sono sul 20%.
Le competenze dei collaboratori sono in larga parte psicologiche, legali ed educative. La loro attività, oltre alla propria formazione, è legata per il 70% ad attività formative sul campo.
Gli incontri sono lievitati in questi ultimi anni passando da 272 nel 2020 a 781 nel 2024. Essi sono rivolti a tutti gli operatori pastorali: dai preti ai catechisti, dagli operatori ai religiosi. Le tematiche prevalenti riguardano la dignità e il rispetto dei minori, le buone prassi parrocchiali, le ferite degli abusi. Molto modeste le attività con enti non ecclesiali: 71 nel 2024. È molto cresciuta la partecipazione alla giornata nazionale di preghiera per le vittime che interessa l’85%.
Buoni i rapporti coi vescovi, meno sviluppati ma in crescita quelli con gli uffici diocesani, mentre la comunicazione si affida in larga parte ai settimanali diocesani e ai siti web. Solo per il 34% alla stampa locale.
Ho già detto delle attività dei 103 centri di ascolto che hanno sede in generale fuori dagli ambienti di curia, sono in larga parte animati da laici (81%; soprattutto donne) con competenze psicologiche, educative e legali. I loro contatti sono stati 373, in forte crescita rispetto ai 38 del 2020.
Informare non normalizzare
Di interesse sono le domande aperte che riguardano in particolare la necessità di formazione rivolta agli operatori pastorali non senza un preciso riferimento alla teologia del ministero («rivedere non solo la prassi ma le formulazioni dottrinali soprattutto relative al sacramento dell’ordine che rappresentano un fattore di rischio in alcuni») e al coinvolgimento dell’insieme delle comunità cristiane.
Oltre alla formazione si insiste sulla collaborazione e sulla trasparenza. Cioè rendere più efficaci le segnalazioni, i momenti di collaborazione fra Chiesa e società civile, maggior coraggio nel riconoscere gli abusi, fondi per le vittime e un orientamento condiviso sulla giustizia riparativa. Ancora insufficiente è l’accoglienza delle vittime e una trasparente responsabilità del clero.
Dall’insieme dei dati forniti emerge una maggiore facilità nella denuncia degli abusi e il progressivo restringersi della cultura della copertura e del silenzio.
Gli strumenti di accoglienza e di formazione crescono in funzionalità e diffusione e si registra un peso sempre più importante del ruolo delle donne.
Ma dalla lettura emerge l’impressione che l’efficacia della «macchina» oscuri la profondità del problema, che i numeri tentino di limitare la vastità del male e lo «normalizzino». Che, cioè, non si affronti l’abuso come stile e modalità di comportamento diffuso, ignorando il peso del «clericalismo» così insistentemente denunciato da papa Francesco.
Una cartina di tornasole è quella degli abusi spirituali, il cui profilo è ancora piuttosto impreciso ma la cui presenza è assai importante. Sono 17 quelli registrati nel rapporto, ma ogni accompagnamento spirituale non consapevole della disparità di potere è a rischio. Esso richiama l’intera teologia del ministero, la struttura gerarchica e una parte della riflessione sacramentale.
Come si dice nel recente sussidio, l’abuso spirituale «è il più invasivo dell’intimità della persona, perché si attua in riferimento alla relazione con Dio, con la vita di fede e spirituale, attraverso un esercizio distorto del potere e dell’autorità personale, religiosa e istituzionale». Esso richiama la dimensione sistemica degli abusi: «Il concetto di “sistema” inteso in senso ecclesiale comprende la missione, le norme e le strutture necessarie per realizzare il mandato originario della Chiesa e per garantire la sua continuità. Tutti gli elementi del sistema, se utilizzati in maniera distorta, contribuiscono direttamente o indirettamente a permettere, favorire e coprire abusi al loro interno» (cf. qui su SettimanaNews).
Un articolo molto bello. Infatti il problema non è descrivere, ma prendere decisioni a livello di struttura sacramentale e gerarchica che cambino il rischio sistemico ormai appurato, associato alle strutture attuali. Finchè non si farà questo, anche se si attende un nuovo documento contro gli abusi con linee guida a livello di chiesa universale…le nuove norme saranno debolmente efficaci perchè non affrontano la radice del problema: una disparità di potere, un accentramento totale di potere senza controllo esterno sia al livello sacramentale della confessione-l’ambito più delicato, ma anche a livello amministrativo e liturgico per quanto riguarda il parroco, il superiore religioso, il vescovo, il pericolosissimo connubio rettore del seminario e padre spirituale che non di rado abitano in camere vicine: un invito a violare le coscienze, presumendo una grazia di stato miracolosa.
Complimenti a SettimanaNews per tenere alta l’attenzione su questi temi e per essere una delle poche voci che si alza in difesa dei più deboli a tutti i livelli, continuando in una saggia lettura critica degli eventi ecclesiali e non solo in una pedissequa cassa di risonanza di quanto succede come fanno altri media cattolici. Sono così pochi i luoghi per un confronto teologico e l’espressione di punti di vista costruttivi, il vostro sito contribuisce a questo importante servizio
Ormai da anni si discute delle problematiche relative al problema degli abusi nella Chiesa italiana. Se si raffronta ciò che concretamente hanno fatto in merito alcune Chiese straniere e ciò che fa quella italiana la differenza è palesemente abissale. Proclami roboanti e misure non all’ altezza della situazione: perché no in Italia a commissioni d’indagini esterne che pure la (sola)diocesi di Bolzano ha avuto il coraggio di istituire? perché mai nessuna seria ammissione di errori e responsabilità da parte delle
gerarchia? Ma davvero la Cei crede di abbindolare i fedeli con queste estenuanti esternazioni infarcite di dati non altrimenti verificabili? Perché la realtà è che tra i fedeli (e più in generale nell’ l’opinione pubblica) credo che si sia profondamente radicato il sospetto che non ci sia una reale volontà di cambiare prassi e mentalità radicate nel tessuto ecclesiale. La conseguenza è disagio tra chi crede e diffidenza da parte di chi non crede. Eppure la costante decrescita di donazioni alla Chiesa (anche 8per mille) dovrebbe almeno indurre a porsi qualche domanda…….