Devozione al Sacro Cuore: dalla storia all’attualità

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Basilica del Sacro Cuore a Montmartre (foto di Pierre Blache).

L’enciclica Dilexit nos di papa Francesco si inserisce in una linea portante del suo governo della Chiesa universale: il rilancio della pietà popolare. Fin dal documento programmatico, Evangelii gaudium (2013), Bergoglio ha proclamato che in essa risiede una «forza evangelizzatrice». A suo giudizio infatti le pratiche della religiosità popolare rendono pubblica testimonianza dei valori evangelici che lo Spirito santo ha nel corso del tempo disseminato nel popolo di Dio.

Assumono quindi nella comunità ecclesiale una duplice valenza. Da un lato svolgono una funzione missionaria, in quanto, richiamando all’imitazione, favoriscono la conversione. Dall’altro lato possiedono una intrinseca capacità riformistica rispetto ad istituzioni ecclesiastiche che hanno cristallizzato l’espressione della fede in moduli culturali non corrispondenti al significato profondo del messaggio evangelico.

In attuazione di questa linea il pontefice è più volte intervenuto, sia nell’ordinario discorso pubblico, sia con pronunciamenti solenni, per promuovere specifiche forme devozionali. In tutti questi interventi ha tuttavia proceduto ad una loro risignificazione. Le ha infatti raccordate ai nuclei centrali del suo insegnamento: la pace, la fratellanza, il perdono, la riconciliazione, la carità.

In particolare si è preoccupato di collegare le pratiche di pietà al tema della misericordia. Come è noto, per il papa il significato profondo del Vangelo consiste proprio in quell’atteggiamento di compassionevole cura nei confronti di ogni uomo, soprattutto di quanti si trovano in difficoltà materiali, che ha nella figura del “buon samaritano” la sua più immediata ed eloquente espressione.

Questa risemantizzazione avviene anche in relazione al culto al Sacro Cuore, di cui tratta l’enciclica Dilexit nos. In effetti questa devozione, che ha alle spalle una lunga storia, non è stata in passato connessa ai valori cui la riconduce Francesco. Non c’è da stupirsi. Nel corso di una vicenda plurisecolare ha via via assunto caratterizzazioni assai diverse, legandosi agli obiettivi che i suoi fautori le assegnavano nello specifico contesto politico-culturale in cui operavano.

Il mio intervento si propone di seguire, sia pure in maniera molto sommaria, i passaggi principali di questa vicenda. In particolare mi soffermo sul rapporto che, di volta in volta, è stato istituito tra la promozione del culto e la presenza dei credenti nella società coeva.

Le origini

Le origini della devozione si possono far risalire alle rivelazioni di Margherita Maria Alacoque, una mistica francese che entra nel 1671 nel monastero della visitazione di Paray-le-Monial. Dal 1673, fino alla morte, avvenuta nel 1690, dichiara di ricevere la grazia di visioni soprannaturali, in cui le viene chiesto di diffondere, anche attraverso peculiari pratiche pie, il culto al Sacro Cuore.

La venerazione per il Cuore di Gesù non è una novità. Già nel Medioevo diversi mistici ne avevano trattato. Ma nella proposta della visitandina tale forma di pietà religiosa assume nuove caratteristiche. Mi limito a ricordarne tre.

In primo luogo si registra un isolamento del cuore dalla persona di Cristo, che si accompagna ad una forte accentuazione della sua dimensione fisica. Questo aspetto è ben testimoniato sul piano iconografico. Secondo le indicazioni ricevute in visione dalla stessa Margherita Maria, la pratica pia si svolge davanti ad un’immagine. Vi si raffigura un cuore che, circondato da una corona di spine, sormontato da una croce e collocato tra fiamme, presenta una ferita da cui scaturisce sangue. Proprio l’enfasi posta sul cuore “carneo” di Gesù solleva le contestazioni che – a lungo, ma con scarsi esiti – hanno cercato di contenere il successo della pratica pia.

In secondo luogo i mistici medievali avevano mantenuto la devozione sul personale piano privato, mentre la visitandina ne sottolinea il carattere pubblico. Non solo perché richiede che il culto venga diffuso tra i fedeli, anzi all’intera comunità ecclesiale. Ma anche perché ne presenta una specifica connotazione politica.

Nel 1689 la superiora del monastero di Paray-le-Monial indirizza al re di Francia, allora Luigi XIV, due lettere in cui lo informa del contenuto di una rivelazione di Margherita Maria: il monarca otterrà una strepitosa vittoria su tutti i suoi nemici se, oltre ad erigere a Versailles una cappella in cui consacrare se stesso e la corte al Sacro Cuore, ne iscriverà l’immagine sulla bandiera e sulle insegne reali.

Un terzo aspetto da rilevare riguarda il carattere escatologico/apocalittico della devozione indicata da Margherita Maria. La visitandina ricorda infatti che essa è voluta dalla Provvidenza «per gli ultimi tempi». I peccati degli uomini hanno raggiunto ormai livelli intollerabili; ma la bontà divina, anziché punire l’umanità con il giusto castigo che ha meritato, ha ritenuto di offrire ad essa ancora un estremo e finale rimedio. Le forme della pietà per il Sacro Cuore costituiscono l’ultima risorsa cui gli uomini possono ricorrere per riparare le colpe commesse, evitando così che l’ira divina punisca con la fine del mondo i loro comportamenti devianti.

L’espansione

Nel corso del Settecento la nuova devozione ottiene un successo straordinario: in breve tempo l’Europa conta a centinaia le confraternite intitolate al Sacro Cuore. I loro membri lo assumono come referente centrale per le manifestazioni della vita religiosa sul piano personale come su quello pubblico.

Vettore fondamentale di questa espansione è la Compagnia di Gesù. Il direttore spirituale della visitandina per alcuni anni è stato un gesuita, Claude de la Colombière. Convinto dell’autenticità delle rivelazioni e della validità pastorale del culto, ha pubblicato opere che hanno permesso di diffonderne la conoscenza. Diversi confratelli ne propagano, sviluppandole e approfondendole, le considerazioni.

Le ragioni dell’impegno della Compagnia in questa direzione sono molteplici. Ne indico due. In primo luogo essa ritiene che il nuovo culto costituisca una via efficace per combattere la diffusione del giansenismo.

La proposta di una spiritualità rigorista, pessimistica ed elitaria che proviene dai seguaci della teologia di Giansenio, in particolare nell’elaborazione teologica che ne compiono a Port-Royal, è giudicata un pericolo per mantenere il carattere popolare del cattolicesimo. Una devozione che fa leva sul Cuore di Gesù presenta una religiosità accostante e accogliente che consente di parlare alle masse.

Il notissimo quadro di Pompeo Batoni per la chiesa del Gesù a Roma ne rappresenta l’iconico emblema. I gesuiti – anche quando, dopo la soppressione dell’ordine nel 1773, sono costretti ad assumere una nuova collocazione ecclesiale e sociale – vedono un ulteriore motivo nella promozione del culto al Sacro Cuore.

La cultura illuminista si basa sull’affermazione di un razionalismo che, traducendosi spesso nell’assolutizzazione della ragione, si pone in antitesi con il cristianesimo. Il richiamo al Cuore di Gesù, imperniato sulla dolcezza dello scambio d’amore tra Dio e gli uomini, valorizza la dimensione sentimentale della vita. Viene così considerato un antidoto efficace alla penetrazione di un movimento che, puntando sull’intellettualismo, trascura un aspetto cruciale della natura umana.

La politicizzazione

Alla fine del Settecento avviene nella vicenda storica della devozione una svolta decisiva: la sua politicizzazione. Le lettere a Luigi XIV, rimaste manoscritte e pubblicate solo nella seconda metà del secolo decimonono, non erano del tutto sconosciute, ma erano circolate in pochi e ristrettissimi circoli. Non rientrava insomma nella comune percezione del culto il nesso tra Sacro Cuore e assolutismo monarchico che da esse emergeva.

Tuttavia con la Rivoluzione francese, pur senza fondarsi su un puntuale sostegno documentario, si stabilisce nell’opinione pubblica uno stretto rapporto tra l’opposizione cattolica all’ordinamento politico da essa nato e il richiamo al Cuore di Gesù. Ricordo, tra le tante esemplificazioni possibili, tre aspetti.

Come è noto, la più vivace resistenza interna alla vittoria del momento giacobino della Rivoluzione si manifesta nella guerra civile che dal 1793 al 1796 sconvolge la regione francese della Vandea. Una plastica raffigurazione dei contrapposti schieramenti viene dall’ostensione di un simbolo: i soldati repubblicani inalberano il tricolore francese, i guerriglieri vandeani esibiscono l’immagine del Sacro Cuore. Sotto il profilo simbolico il Sacro Cuore rappresenta l’unificante tratto identitario dell’opposizione monarchica e cattolica ai valori di libertà, uguaglianza e fraternità che la Repubblica proclama come il fondamento del nuovo Stato-nazione.

Un secondo aspetto conferma questa politicizzazione della devozione. Nel 1793, dopo l’esecuzione sulla ghigliottina di Luigi XVI, comincia a circolare un documento, da lui sottoscritto prima della morte. Il re vi pronuncia un voto: in caso di liberazione dalla prigionia, avrebbe consacrato se stesso e il paese al Sacro Cuore. Il testo, pubblicato a stampa solo nell’età della Restaurazione, sarà oggetto di un’analisi che suggerisce dubbi sulla sua autenticità.

Ma la questione, criticamente del tutto fondata, ha poca importanza in una storia delle mentalità collettive. La diffusione del voto del re – considerato martire della Rivoluzione – contribuisce infatti a consolidare in larghi strati dell’opinione pubblica il legame tra la devozione al Cuore di Gesù e il rifiuto degli ordinamenti politici a democrazia repubblicana. Ancora più significativo un terzo dato storico.

L’organizzazione politico-culturale della lotta dei cattolici contro la Rivoluzione francese viene sviluppata da una rete europea di associazioni, chiamate “Amicizie cristiane”, in cui si è voluto vedere la prima manifestazione del futuro movimento cattolico ottocentesco. Fondata da un ex-gesuita, tale rete vede all’opera numerosi membri usciti dalla Compagnia, che si impegnano nella diffusione delle opere della cultura cattolica contro-rivoluzionaria.

Ma quel che qui importa notare è la spiritualità di queste associazioni: ne è tratto caratteristico la preghiera al Sacro Cuore. Inequivocabile vi appare la saldatura tra tale devozione e contro-rivoluzione.

La connessione con il regno sociale di Cristo   

Un rilevante mutamento nella politicizzazione della pietà per il Cuore di Gesù si verifica nella seconda metà dell’Ottocento. Ne è protagonista Henri Ramière, un gesuita della restaurata Compagnia, che opera nella provincia della Francia meridionale. Egli trasforma una modesta associazione devozionale degli allievi dello scolasticato di Vals, chiamata Apostolato della preghiera, in una rete internazionale di milioni di fedeli.

Ne è elemento di collegamento un bollettino mensile – il «Messager du Coeur de Jésus» – che le varie provincie della Compagnia, presenti in tutto il mondo, pubblicano nelle diverse lingue, rendendolo attraente mediante l’uso delle più moderne tecniche di stampa. In questi periodici si indicano le intenzioni cui i devoti al Sacro Cuore dedicano le loro pratiche pie. Possono riassumersi nell’instaurazione del regno sociale di Cristo.

La riflessione teologico-politica di Ramière è complessa. In questa sede non posso presentarla adeguatamente; ma, sia pure in maniera schematica, la si può cogliere attraverso due parole che ricorrono nei suoi scritti: «mondializzazione» e «secolarizzazione».

Il gesuita nota che la rivoluzione industriale, lo sviluppo dei commerci, la diffusione dei mezzi di trasporto e di comunicazione porta ad una progressiva unificazione del genere umano. Si tratta di un processo di mondializzazione – oggi lo chiameremmo globalizzazione – che è segnato dall’affermazione di un preciso modello di rapporto tra Chiesa e società. Il gesuita ne identifica l’elemento qualificante nella separazione delle istituzioni pubbliche dalla Chiesa.

È il fenomeno che chiama secolarizzazione. Per rimediare a questo processo, che, secondo gli schemi della cultura cattolica intransigente di cui è imbevuto, Ramière giudica in maniera fortemente negativa, egli ritiene che i cattolici debbano impegnarsi ad instaurare il regno sociale di Cristo. Senza entrare qui nei dettagli della sua argomentazione, basta ricordare che indica nella preghiera unitaria di tutti i fedeli al Sacro Cuore la via per ottenere questo risultato.

La devozione diventa insomma l’alimento spirituale – ma anche la garanzia della vittoria finale – per l’impegno dei cattolici ad affermare nel mondo la regalità di Cristo sulla società. Occorre qui tener presente che “regno sociale di Cristo” significa per Ramière un ordinamento in cui le regole fondamentali della vita collettiva sono dettate dall’autorità ecclesiastica. Si tratta dunque di un regime di cristianità.

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Ma ai suoi occhi un tale esito può ottenersi tanto in un regime monarchico che repubblicano. Il gesuita svincola insomma la politicizzazione del culto dalla contro-rivoluzione cattolica che lo aveva a lungo legato alla restaurazione della monarchia assoluta. Non a caso la repubblica dell’Ecuador, dove nel 1874 il presidente García Moreno consacra il paese al Sacro Cuore, viene celebrata come un esemplare paradigma politico dal «Messager du Coeur de Jésus», come dagli altri bollettini dell’Apostolato della preghiera.

Si tratta di uno snodo significativo che avvia una serie di ulteriori revisioni, in cui, pur restando fermo il nesso tra devozione e regno sociale di Cristo, mutano notevolmente le concrete strutture politiche che lo caratterizzano. Il caso più rilevante è l’argomentazione svolta da Leone Dehon, il fondatore della Congregazione dei padri del Sacro Cuore.

Questi presenta il culto come il fondamentale alimento spirituale in grado di sostenere l’intervento dei cattolici nella vita pubblica per la realizzazione di quella forma di regno sociale di Cristo che egli qualifica democrazia cristiana. Si tratta di un assetto della vita collettiva che, pur ancorato al disegno di cristianità, si conforma alle raccomandazioni per la giustizia sociale presenti nell’enciclica Rerum Novarum (1891) di Leone XIII. Anzi il religioso le sviluppa sul piano politico fino al punto di prevedere una repubblica rappresentativa a suffragio popolare.

Il riconoscimento pontificio

Un altro passaggio importante nel percorso storico fin qui delineato avviene alla fine dell’Ottocento, allorché l’elaborazione culturale compiuta nel mondo cattolico in ordine al collegamento della pietà al Sacro Cuore con il regno sociale di Cristo viene riconosciuta nell’ufficiale magistero pontificio. La Santa sede si era da tempo occupata della devozione; ma aveva riservato gli interventi al piano della disciplina liturgica.

Leone XIII va oltre. Nel 1899 pubblica infatti l’enciclica Annum sacrum, in cui presenta le pratiche pie da svolgersi nelle chiese di tutto il mondo in occasione del giubileo per l’inizio del nuovo secolo. Si incentrano su un triduo di preghiere al Sacro Cuore che sono dirette ad impetrare l’avvento di ordinamenti pubblici di cui Cristo sia il sovrano.

Nella prospettiva di papa Pecci il diciannovesimo secolo aveva visto il trionfo della separazione tra Chiesa e Stato. Invece il Novecento, grazie alla devozione al Cuore di Gesù, sarebbe stato segnato dall’affermazione del regno sociale di Cristo. Questa prospettiva è ben rappresentata da un passo della sua enciclica in cui si stabilisce un paragone significativo.

All’inizio del quarto secolo un giovane imperatore romano, Costantino, aveva visto apparire in cielo una croce. Assumendo quel simbolo a guida della sua azione politica, aveva avviato l’epoca gloriosa della cristianità. Era stata interrotta dal moderno separatismo. In vista del ventesimo secolo tocca ai cattolici inalberare un nuovo simbolo, il Sacro Cuore, in grado di orientare il loro impegno nella società al ritorno dell’età costantiniana nei rapporti tra potere spirituale e potere civile.

Non bisogna però dimenticare che la ricezione della politicizzazione del culto nell’insegnamento pontificio implica anche l’avvio di un approfondimento che ne articola il rapporto con il regno sociale di Cristo. Protagonista di questa stagione è Benedetto XV, il papa che deve fare i conti con la Grade Guerra.

In questo conflitto si profilano forti tendenze ad una nazionalizzazione della devozione al Sacro Cuore. Ne è un esempio significativo il tentativo di fare apporre al centro del tricolore francese l’immagine del Cuore di Gesù, come sicura garanzia del trionfo militare del paese. Il pontefice sconfessa ogni operazione diretta a collegare la devozione con la vittoria militare di un paese o di una coalizione (come vorrebbe padre Gemelli con la consacrazione al Sacro Cuore degli eserciti dell’Intesa).

Senza dubbio Benedetto XV incoraggia fortemente la pratica pia. Non a caso sotto il suo governo giunge a conclusione il processo di canonizzazione di Margherita Maria. Ma la presenta come la via attraverso la quale restaurare quel regno sociale di Cristo, che è l’unico assetto in grado di garantire una pace effettiva fra i popoli.

Tuttavia proprio su questo punto egli introduce un elemento di novità che avvia un primo ripensamento di quel nesso tra la devozione e la costruzione di un regime di cristianità che, pur con diverse declinazioni politiche, ne aveva caratterizzato la vicenda storica a partire dalla Rivoluzione francese.

Papa Della Chiesa asserisce infatti che il raggiungimento del regno sociale di Cristo – l’assetto in grado di garantire la pace – dipende anche dalla capacità dei fedeli di assumere pienamente, traducendolo in concreti comportamenti nelle reciproche relazioni, quello scambio d’amore tra Dio e gli uomini che è alla base del culto al Sacro Cuore. Le sue pratiche dovrebbero infatti costituire la proiezione esteriore di un profondo mutamento interiore.

Ai suoi occhi, se presa seriamente, la devozione comporta l’intima acquisizione delle virtù della mitezza, della carità e della riconciliazione verso tutti gli uomini, in particolare i nemici. In quest’ottica la pacifica convivenza garantita dalla costruzione del regno sociale di Cristo non passa solo per la riconfessionalizzazione delle istituzioni pubbliche, ma per un profondo cambiamento d’animo del fedele che lo dispone ad un incontro fraterno con il prossimo, anche con chi si fosse mostrato a lui ostile.

Verso lo svincolo dalla cristianità

Nell’insegnamento di Benedetto XV i due aspetti del nesso stabilito tra Sacro Cuore e regno sociale di Cristo – la restaurazione del regime di cristianità e il mutamento dell’animo del credente verso l’acquisizione di valori autenticamente evangelici – si intrecciano. Anzi dopo la fine della Grande Guerra il primo sembra prevalere sul secondo, pur senza che quest’ultimo venga completamente cancellato. Sarà il successore, Pio XI, a riportare il culto nel solco della tradizione intransigente.

Il suo programma di governo è sintetizzato nella formula «la pace di Cristo nel regno di Cristo». Fin dalla prima enciclica papa Ratti chiarisce che Cristo regna in una società, quando tutti poteri dello Stato – esecutivo, legislativo, giudiziario – sono subordinati all’autorità ecclesiastica. In questo quadro l’enciclica che dedica al Sacro Cuore – Miserantissimus redemptor (1928) – presenta il culto come la via con cui i cattolici preparano sul piano spirituale il loro impegno a organizzare il ritorno ad un ordine cristiano delle istituzioni pubbliche.

Nei decenni successivi – al di là di approfondimenti che avvengono nel mondo cattolico, come quelli di Charles de Foucauld, richiamati nell’enciclica di papa Francesco – questa linea prosegue nel magistero fino al Concilio Vaticano II. Qui nei dibattiti assembleari, come in elementi emergenti anche dai documenti approvati, si comincia a mettere in questione il riferimento alla costruzione di un ordinamento cristiano della vita pubblica come il criterio ordinatore della presenza dei credenti nella storia.

Ne deriva una prima apertura alla disgiunzione del legame tra Sacro Cuore e cristianità che apre alla risemantizzazione del culto proposta nella Dilexit nos. Se ne trova traccia nell’insegnamento di Paolo VI, che verso la fine del pontificato, abbandona i precedenti richiami all’ammodernata cristianità profana di stampo maritainiano per individuare nella “civiltà dell’amore” l’obiettivo dell’impegno temporale dei cattolici.

Non c’è dubbio che in Montini manca un esplicito collegamento tra questo disegno e la devozione al Cuore di Gesù. Tuttavia è evidente la sua preoccupazione per un rinnovamento della pietà popolare che, ripulendola dalle incrostazioni che il tempo aveva su di essa depositato, la rendesse veicolo di trasmissione del messaggio evangelico.

Pur senza stabilire un nesso della devozione al Cuore di Gesù con l’affermazione di una fraterna e pacifica convivenza tra gli uomini, dal magistero di Paolo VI emerge insomma una indiretta corrispondenza tra la nuova “civiltà dell’amore” che i cristiani sono chiamati a costruire e un culto che fa perno sullo scambio di amore tra Dio e il fedele. Mezzo secolo dopo Bergoglio l’avrebbe resa esplicita.

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2 Commenti

  1. Giuseppe Risi 9 aprile 2025
  2. Giuseppe Guglielmi 9 aprile 2025

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