Il dittatore e il nunzio

di:

mastro-laghi

Ho già parlato (qui) dei due volumi intitolati La verdad los hará libres, un’opera monumentale con accesso ad archivi finora riservati, che prende in esame l’azione della Chiesa cattolica in Argentina dal 1966 al 1983. Anni in cui c’è stata anche la dittatura militare con il colpo di stato del 1976 e la violenta repressione nei confronti degli oppositori politici, sfociata in una vera e propria epoca di arresti sommari, torture e uccisioni, come hanno documentato le associazioni di tutela dei diritti umani e, in maniera lampante, le Madres de Plaza de Mayo prima, poi seguite dalle Abuelas de Plaza de Mayo.

I due volumi finora usciti (il terzo e conclusivo è previsto entro il 2023), elaborati da un gruppo di lavoro coordinato dal teologo Carlos Galli, ci forniscono, per la prima volta, un accesso diretto a tutta la documentazione dell’archivio dell’episcopato argentino, degli archivi della Segreteria di stato e della Nunziatura apostolica.

Come si comportò il nunzio?

La vastità dei temi trattati, lo spessore dei due volumi (più di 1.600 pagine), rende necessariamente parziale qualsiasi articolo di sintesi.

Pertanto, dopo avere invitato le persone interessate a procurarsi i due volumi per una lettura diretta, è il caso – nel ritornare sul tema – di mettere a fuoco un aspetto specifico, cioè capire quale sia stato il ruolo del nunzio apostolico negli anni della dittatura militare.

Dal 1974 al 1980 il nunzio apostolico era mons. Pio Laghi e dalla lettura della documentazione emerge come abbia svolto un’opera di pressione verso il governo, diversa dall’immagine di un diplomatico compiacente o, addirittura, delatore.

In particolare, nel secondo volume, dove si esaminano le attività della Conferenza episcopale e della Santa Sede nei confronti della dittatura e del «terrorismo di stato», il nunzio appare come un diplomatico che sapeva quali erano i crimini che si stavano commettendo.

Da notare che il nunzio riferiva costantemente alla Santa Sede – al Consiglio per gli Affari pubblici della Chiesa, dunque al segretario di stato Villot e a mons. Casaroli – e anche il Vaticano sapeva, così come i vescovi argentini, tanto che, per facilitare i collegamenti con il governo, era stata costituita una commissione congiunta episcopato-Giunta militare.

Basta una citazione, tra le molte possibili in questo secondo volume, a chiarire la situazione. «Nei diversi fondi di archivio della Segreteria di stato – scrivono gli autori – abbiamo identificato 80 copie di liste (di persone scomparse, ndr) inviate periodicamente dalla Nunziatura al ministro dell’Interno tra luglio 1976 e il 30 aprile 1982. La prima è stata consegnata a mano al ministro dell’Interno da parte del nunzio Pio Laghi il 13 luglio 1976: “al ministro (qui si cita direttamente dal rapporto del nunzio, ndr) ho consegnato alcuni fogli nei quali avevo trascritto, secondo la categoria di appartenenza, i nomi dei detenuti, dei sequestrati, degli scomparsi, i cui familiari si erano rivolti in Nunziatura. Ho richiamato l’attenzione del ministro su alcuni casi, che mi sembravano di particolare urgenza o meritevoli di considerazione”» (p. 747-748).

La parola ai numeri

Di grande interesse – sempre considerando che il tema è vastissimo e per necessità di spazio si deve scegliere – il grafico riportato a pag. 755 del secondo volume che indica quanti casi siano stati portati all’attenzione delle autorità governative e quante risposte la Nunziatura abbia ottenuto. I numeri parlano da soli. Nel 1976, la Nunziatura ha riportato 302 casi di persone detenute, scomparse, sequestrate, e le risposte sono state 15; nel 1977 siamo a 156 contro 9 risposte; nel 1978 a 182 contro 22; nel 1979 a 115 contro 31; nel 1980 a 297 contro 57; nel 1981 a 297 contro 51 e nel 1982 a 205 contro 68.

Tutta da leggere anche la ricostruzione, documenti alla mano, dell’incontro tra mons. Pio Laghi e il generale Videla, presidente della Repubblica, avvenuto il 27 agosto 1976.

Il nunzio esprime le sue preoccupazioni per le denunce di scomparsi e arresti arbitrari e, dal canto suo, il generale in sostanza non risponde ma lo fa in modo tale che il nunzio esce dall’incontro scrivendo in Vaticano che «Videla mi ha dato l’impressione di essere ben intenzionato, che conosce i gravi problemi che è stato chiamato a risolvere, però non vuole usare la mano del despota, perché porterebbe l’effetto contrario».

La diplomazia all’opera

Continuando a leggere, si vedrà che l’apertura di credito verso il governo lentamente si modifica. Ad esempio, l’8 marzo 1977 il nunzio invia un rapporto in Segreteria di stato in merito ad un incontro confidenziale con l’ammiraglio Massera, capo di Stato maggiore della Marina e uno dei responsabili del colpo di stato.

Massera rivela al nunzio le divisioni interne alla Giunta militare, chi sta dalla parte di chi, con nomi e cognomi ma, alla fine del colloquio, il nunzio resta con il dubbio che l’ammiraglio sui casi degli scomparsi (in particolare in quel momento ci si concentrava sui due gesuiti Jalics e Yorio) sapesse più di quanto detto al diplomatico.

Il volume raccoglie anche i diversi atteggiamenti dei vescovi argentini, all’interno della Conferenza episcopale, tra una linea favorevole al governo, una prudente, una terza decisamente contraria.

Ma certamente c’è un aspetto da rilevare, cioè l’efficacia della politica persuasiva messa in atto dalla Giunta militare. Tra i vescovi, anche i più moderati come il card. Aramburu o il card. Primatesta – e in generale i vescovi facenti parte della Commissione permanente della Conferenza episcopale – erano convinti che la dittatura non aveva alternativa. Ovvero che, se il governo avesse fallito nel compito di normalizzare il paese, tutta l’Argentina sarebbe finita in mano ai comunisti.

E anche le comunicazioni inviate alla Santa Sede hanno risentito di questa impostazione, tanto da ricevere suggerimenti ispirati alla prudenza da parte del Vaticano. Prudenza che voleva dire: astenersi da dichiarazioni pubbliche di critica alla Giunta da parte dei vescovi, anche nei casi di ingerenza nella pastorale e nei casi di brutali uccisioni di sacerdoti (ad esempio, il 4 luglio 1976, vennero uccisi tre sacerdoti e due seminaristi pallottini al lavoro nella parrocchia di San Pricio a Buenos Aires). «Da una parte – scrive il Rapporto su questo aspetto –. i vescovi concordavano che era necessario combattere la guerriglia di sinistra, dunque la finalità perseguita dal governo, però non potevano accettare i metodi utilizzati per questo scopo e che conoscevano» (p. 175).

Nei due libri c’è ovviamente molto di più e, nel secondo volume, si entra nel dettaglio delle riunioni tra la commissione congiunta vescovi-governo per il rispetto dei diritti umani.

Si vede al lavoro la diplomazia vaticana di tre papi: Paolo VI, qualcosa di Giovanni Paolo I e poi con Giovanni Paolo II e il negoziato con il Cile per le questioni di frontiera e quindi la guerra delle Falkland-Malvinas che segna il destino della Giunta militare.

Secondo i documenti consultati, la Nunziatura con Pio Laghi prima e con il nunzio Calabresi dal 1981, ha portato all’attenzione del governo 3.115 casi di scomparsi. Certo erano molte e molte migliaia di più. E anche la recente scoperta di un fondo di Archivio per i Diritti Umani, nella sede della Conferenza episcopale, con diverse migliaia di documenti, quando verrà esaminato permetterà ulteriori valutazioni storiche ed ecclesiali.

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