La fede e l’imperativo della pace

di:

gumina

La guerra in Ucraina è il banco di prova per la politica globale all’indomani della sfida al terrorismo internazionale, della crisi dei mercati finanziari e della pandemia da Covid-19. Il mondo uscito dalla caduta del muro di Berlino non esiste più e un nuovo ordine si appresta a configurarsi. L’esito del conflitto nel cuore dell’Europa sarà uno snodo fondamentale per lo sviluppo della politica internazionale dei prossimi anni. In questo contesto di cambiamento d’epoca, papa Francesco sembra essere rimasto l’unico leader – sebbene religioso – in grado di chiedere con insistenza e forza la via della pace. Di questo tema discutiamo con Fernando Massimo Adonia. Giornalista, Adonia scrive per il quotidiano LiveSicilia e dirige il mensile Paesi Etnei Oggi. Autore di saggi di carattere storico, ha da poco pubblicato con Algra Editore il volume Il dramma di Caino e Abele. Papa Francesco e la guerra tra russi e ucraini.

  • Signor Adonia, nel suo ultimo volume (Il dramma di Caino e Abele. Papa Francesco e la guerra tra russi e ucraini, Algra Editore, 2023), lei ricostruisce l’impegno di papa Francesco a favore della risoluzione pacifica del conflitto fra russi e ucraini. Quali sono le caratteristiche emergenti dell’opera di Bergoglio a favore della pace?

Il santo padre, dal 2014, va predicando che è in corso la Terza Guerra Mondiale a pezzi. All’interno di tale narrazione, il conflitto esploso in Ucraina rappresenta la saldatura di una crisi ben più ampia che tocca gli equilibri di potere del modello globale. Lo scacchiere venuto fuori all’indomani della Seconda Guerra Mondiale, e poi dalla caduta del muro di Berlino, non sta garantendo più la stabilità internazionale. Stati Uniti, Russia e Cina sono alla ricerca di una nuova modalità per non annullarsi a vicenda. Un piano che, inevitabilmente, passa anche dall’uso dell’armi e dal terrore generalizzato.

Se l’analisi del papa è corretta, e lo è per tantissimi aspetti, la guerra in corso in Ucraina non è soltanto la drammatica contesa tra due nazioni un tempo sorelle, ma qualcosa di ben più ampio e pericoloso, dove l’utilizzo delle armi atomiche potrebbe risultare un’opzione non più virtuale. Uno scenario inquietante, davanti al quale il papa ha optato per la consacrazione al Cuore immacolato di Maria di Russia e Ucraina. Un atto clamoroso che ci trascina all’interno della tormentata storia del Novecento.

Bergoglio, insomma, non vuole chiudere alcun canale di comunicazione tra le forze in campo, mettendosi a disposizione per un’eventuale mediazione finalizzata alla pace e alla giustizia. Francesco, pur condannando la guerra come episodio «ripugnante» della Storia, ha deciso di non schierarsi con nessuno dei due governi in lotta e di approfondire le cause scatenanti del conflitto. Francesco ha deciso di stare al fianco, anche con aiuti concreti, delle popolazioni martoriate. Degli innocenti. Anche se questi sono di nazionalità russa: un’opzione paradossale, ma in linea con lo spirito cristiano.

  • La guerra scoppiata nel cuore dell’Europa è un’occasione per tornare a riflettere sulle questioni connesse alla guerra giusta e sulla promozione di una cultura e di una teologia della pace. Quali sono, a suo parere, le coordinate per intendere questo dibattito?

Questa guerra rappresenta l’ennesimo fallimento delle confessioni cristiane, incapaci di frenare i rancori nazionali. Quando il papa ha incontrato il patriarca di Mosca a L’Avana, ha sottoscritto una dichiarazione congiunta nella quale le due Chiese hanno espresso l’impegno per la pace in Ucraina. Qualcosa, evidentemente, non ha funzionato. E non soltanto perché Kirill II, in un certo qual modo, ha dato l’impressione di agire in combutta con Putin e benedire l’aggressione contro Kiev. Ma anche perché è in corso una disputa dolorosissima all’interno delle Chiese ucraine in nome dell’autonomia da Mosca.

Insomma, gli uomini di Dio non sono stati in grado di erigere ponti e frenare gli istinti. In fondo, non è la prima volta che nella storia del cristianesimo gli uomini di fede abbiano benedetto l’uso delle armi. La Chiesa, da sant’Agostino in poi, riconosce il diritto dei popoli alla difesa e stabilisce i criteri affinché si possa ricorrere alla violenza senza però scivolare entro spirali egemoniche.

Tuttavia, all’interno dell’enciclica Fratelli tutti, in una delle pagine meno frequentate dai giornalisti, Bergoglio ha sollevato l’interrogativo se è il momento o no di superare tale dottrina. Un’esigenza nata dalla constatazione che le proiezioni secolari della guerra giusta (guerre umanitarie, guerre preventive ecc.) siano state utilizzate non per ristabilire la pace, ma per far incendiare le polveri dei conflitti. Bergoglio ritiene che gli uomini di fede, anche non cristiani, abbiano l’obbligo di difendere l’ideale della pace. Non fosse altro che la pace, sotto il profilo dello spirito, è la cartina di tornasole della presenza divina.

Tutto il pontificato bergogliano, ovviamente in continuità con il magistero pontificio del Novecento, si muove in questa direzione. Una posizione spesso derubricata a banalità, ma che è fondata sul quel discernimento a cui tutti i cristiani sono chiamati a confrontarsi da duemila anni a questa parte.

  • L’impegno del vescovo di Roma a favore della pace si colloca in continuità con l’insegnamento bergogliano contraddistinto dalla sottolineatura della rilevanza sociale dell’annuncio evangelico volto a promuovere spazi di fraternità, giustizia, dialogo e libertà. Su questi temi, come valuta il pontificato di Francesco?

Ci vorrà del tempo per offrire una valutazione esaustiva di questo pontificato. Lungo questi dieci anni, molti hanno tentato o di tirare Francesco dalla propria parte o di strattonarlo per farlo cadere. Da destra a sinistra. In larga parte, i tentativi mediatici di incasellare il suo insegnamento entro narrazioni politiche predefinite hanno tarpato le ali alla piena comprensione delle sue parole.

Nell’ultimo anno, poi, proprio sui temi della guerra, la voce del pontefice è stata di fatto silenziata, soprattutto quando ha condannato la politica di riarmo varata da paesi come l’Italia e la Germania. Bergoglio è un gesuita, è un missionario. È un religioso con l’ansia positiva di far conoscere il Vangelo a chiunque metta l’orecchio a disposizione. Il Vangelo è però esigente e pretende cambiamento: dove proclamato, infatti, violenza, diseguaglianze e sfruttamento non hanno più diritto di cittadinanza.

Bergoglio non è un uomo formale, è uno che bada alla sostanza delle cose e alla lealtà dei comportamenti. Anche quando sembra parlare a braccio, ha alle spalle una dottrina dove i frutti del Vaticano II vanno di pari passo con la sana spiritualità popolare del continente sudamericano. Il suo pontificato è costellato di documenti di grande importanza, pregni di un cattolicesimo semplice, chiaro e intriso di realismo antropologico.

La vicenda della guerra ci sta offrendo l’opportunità di ricapitolare i suoi insegnamenti e rileggere i gesti e le parole di questo pontificato con spirito propositivo. Un pontificato decisamente complesso, incasellato in un’epoca di grandissimi cambiamenti sia per l’umanità tutta che per la Chiesa in particolare.

  • L’esortazione apostolica Evangelii gaudium del 2013 rappresenta una sorta di manifesto del pensiero e del programma bergogliano circa la presenza dei cristiani nel mondo. In quel testo, Francesco presenta quattro principi fondamentali volti ad orientare l’azione dei credenti nel mondo verso una convivenza sociale fraterna e pacifica. È così?

Sebbene il pontificato di Francesco porrà delle grosse difficoltà agli storici del futuro, non si può leggere il suo magistero se non dall’Evangelii gaudium. Un testo enorme, carico di spunti. Sebbene, rispolverando un vecchio adagio del cattolicesimo, sia difficile sapere cosa pensino i gesuiti, è vero pure che, nell’esortazione del 2013, sono fissate le coordinate sul come pensa papa Bergoglio, coordinate peraltro esplicite.

Nel quarto capitolo, quello dedicato alla dimensione sociale dell’evangelizzazione, Francesco mette a disposizione quattro principi affinché possa essere eretto quel popolo di Dio chiamato a cavalcare la storia. 1) Il tempo è superiore allo spazio; 2) L’unità prevale sul conflitto; 2) La realtà è più importante dell’idea; 4) Il tutto è superiore alla parte. Principi di saggezza, che ricapitolano duemila anni di tradizione cristiana, e che fanno i conti anche con l’opera di Romano Guardini, il filosofo italo-tedesco, maestro sia di Bergoglio che di Ratzinger, che ha trovato la formula per superare le contrapposizioni del reale per armonizzarle all’interno di quell’opposizione polare destinata a creare sintesi e non cesure.

In Evangelii gaudium fa capolino anche un’altra immagine che sintetizza e chiarisce la sua idea di fratellanza. Un’unità che non ammette conformismi e livellamento. A chi immagina un mondo uguale a una sfera che non conosce sfumature e ha tutti i punti della superficie in perfetta equidistanza dal centro, Bergoglio contrappone il modello del prisma, una figura che mantiene l’identità di ogni singola faccia all’interno però di un blocco geometrico unitario.

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