Congo: quando la musica identifica un popolo

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Due anni fa, la rumba congolese è stata dichiarata patrimonio dell’umanità dall’UNESCO. Che onore per il popolo congolese, che oggi più che mai si identifica con questo stile musicale.

D’ora in poi, i congolesi potranno partecipare con orgoglio all’incontro tra il dare e il ricevere, come auspicava Léopold Sédar Senghor, offrendo la loro cultura musicale ad altri popoli, come modo per contribuire alla cultura del mondo. Oggi non sorprende sentire frasi come: “Sei congolese, quindi balli la rumba”.

Ballare la rumba in Africa o altrove significa ballare al ritmo della RDC. Ma cosa possiamo dire quando la musica identifica un intero popolo? Se è vero, come diceva Platone, che per conoscere un popolo bisogna ascoltare la sua musica, in che modo la rumba congolese esprime l’anima e la psicologia dei congolesi? È ovvio: la rumba fa parte della cultura congolese ed è motivo di orgoglio.

Questa musica ha accompagnato il popolo congolese nel corso della sua storia. Già nel giorno sacro dell’indipendenza politica, il 30 giugno 1960, la gioia fu espressa al ritmo di una canzone di rumba: “Indépendance Tcha-Tcha”. Questa musica è stata usata per cantare le lodi del temibile Mobutu e ha cantato la “liberazione” sotto Désiré Kabila. In breve, è piena di ricordi di tutti i momenti salienti della nazione.

La rumba ha svolto un ruolo catartico, psicologico, politico e culturale nella storia del Congo. Svolge un ruolo importante nella coesione nazionale e riunisce le masse. Se si vogliono mobilitare migliaia di congolesi, basta invitare un Fally Ipupa o un Ferre Gola! Il ricordo è ancora fresco: quando Macron viene a Kinshasa con Fally Ipupa nell’ambito di una campagna di propaganda francese, non è un caso.Aveva ragione Platone quando diceva: “Se vuoi controllare un popolo, controlla la sua musica”.

Da est a ovest, da nord a sud passando per il centro, la rumba fa ballare i congolesi. Se c’è una cosa che mobilita le masse in Congo, è la rumba. “Ballerini di rumba congolesi”: uno stereotipo?

Data la precaria situazione socio-economica e di sicurezza del Congo, è legittimo chiedersi se la passione dei congolesi per la musica non sia un modo popolare per cercare di dimenticare la loro miseria, una sorta di fuga o di ricerca di alibi. Passare il tempo a ballare lo “ndombolo” mentre la capanna del vicino brucia è una distrazione pericolosa.

Musica di lotta e resilienza

Se il jazz e il blues negli Stati Uniti, al di là del loro ruolo di intrattenimento, sono stati fondamentali nella lotta per i diritti civili degli schiavi neri, che dire della rumba in Congo? Non c’è dubbio sul successo culturale ed economico della rumba. Tuttavia, visti i temi delle canzoni, si è tentati di pensare alla rumba come a una “musica disancorata” dalla realtà sociale del Congo e limitata all’aspetto dell’intrattenimento.

Eppure ha tutte le potenzialità per essere un buon veicolo per la rivoluzione che i congolesi sognano oggi. Un artista è per natura qualcuno che si preoccupa di costruire un mondo più umano e che porta con sé le grida del suo popolo. Se non è così, allora si è imborghesito per avidità, ambizione ed egoismo.

E la rumba dovrebbe cercare di diventare anche questo tipo di arte. In effetti, la musica popolare ha un effetto più diretto sul popolo. Come dice Dom Helder Camara, “ciò che canta il popolo penetra nell’intelligenza e nell’immaginazione di chi canta e di chi ascolta”.

La rumba è una musica di resilienza? Cantare canzoni che evocano la bellezza della vita, l’amore sensuale e ballare in un Paese in crisi multipla (miseria sociale, guerra, saccheggio delle risorse, malgoverno) non è un rifiuto della fatalità. La rumba potrebbe esprimere la resilienza del popolo congolese, che non vuole lasciarsi abbattere dagli eventi.

  • Louange Kahasi collabora con la rivista africana J’écris, je crie.

Il y a deux ans, la rumba congolaise a été inscrite au patrimoine immatériel de l’UNESCO. Quel honneur pour le peuple congolais qui aujourd’hui plus qu’hier s’identifie à ce style musical ! Désormais, les congolais peuvent se présenter avec fierté au rendez-vous du donner et du recevoir, comme le souhaitait Léopold Sédar Senghor, en proposant aux autres peuples sa culture musicale, une manière de contribuer à la civilisation de l’Universel.

Aujourd’hui, il n’est pas étonnant d’entendre les phrases du genre : “Tu es congolais ?, Donc tu danse la rumba !”. Danser la rumba en Afrique ou ailleurs, c’est danser au rythme de la RDC.

Mais alors, que dire quand la musique identifie tout un peuple ?  S’il est vrai, comme le disait Platon, que pour connaître un peuple, il faut écouter sa musique, en quoi la rumba congolaise traduit-elle l’âme et la psychologie du congolais ? C’est évident : la rumba fait partie de la culture congolaise et en est même un motif de fierté.

Cette musique accompagne le peuple congolais dans son histoire. Déjà le jour sacré de son accession à l’indépendance politique, le 30 Juin 1960, c’est au rythme d’une chanson rumba “Indépendance Tcha-Tcha”qu’ est exprimée la joie. Cette musique a servi à chanter les louanges du redoutable Mobutu, elle a chanté la “libération” sous Désiré Kabila. Bref, elle est pleine de souvenirs de tous les moments forts de la nation.

La rumba accompagne ainsi l’histoire du Congo dans son rôle cathartique, psychologique, politique et culturel. Elle joue un rôle important dans la cohésion nationale et rassemble des masses. Pour réussir à mobiliser des milliers des congolais, il suffit d’inviter un Fally Ipupa ou un Ferre Gola ! La mémoire est encore fraîche : Quand Macron vient à Kinshasa avec Fally Ipupa dans une campagne de la propagande de la France, cela n’est pas fortuit. Platon avocat raison de dire : ” si tu veux contrôler un peuple, contrôle sa musique”.

De l’Est à l’Ouest, du Nord au Sud en passant par le centre, la rumba fait danser les congolais. S’il y a quelque chose qui mobilise les grandes masses au Congo, la rumba est la première.

“Les Congolais, ces danseurs de la rumba”: un stéréotype ? Connaissant la précarité de situation socio-économique et sécuritaire du Congo, il est légitime de se demander si la passion des congolais pour la musique n’est pas une oppium populaire pour essayer d’oublier la misère, une sorte de fuite ou de recherche des alibis. Penser son temps à danser le “ndombolo” alors que la case du voisin brûle à côté, n’est-ce pas une distraction dangereuse. Si les Jazz et les Blues, aux USA, au-delà de leur rôle divertissant,  ont été l’instrument de la lutte pour les droits civiques des esclaves noirs, qu’en est-il de la rumba au Congo!

Le succès culturel et économique de la rumba ne font l’ombre d’aucun doute. Cependant, au vu des thèmes des chansons, on est tenté de penser à une “musique desengagée” de la réalité sociale du Congo et bornée à l’aspect ludique. Pourtant, elle a tout le potentiel pour être un bon véhicule de la révolution dont rêvent aujourd’hui les congolais.  Un artiste est par nature celui qui se soucie de la construction d’un monde plus humain et qui porte sur lui les cris de son peuple. S’il n’en est pas ainsi, ce qu’il s’est embourgeoisé par l’avarice, l’ambition et l’égoïsme.

Et la rumba devrait essayer de devenir aussi ce genre d’art. En fait, la musique populaire a un effet plus direct sur le peuple. Et s’il faut reprendre les mots de Dom Helder Camara, “Ce que chante le peuple pénètre dans l’intelligence et dans l’imagination et de celui qui chante et de celui qui écoute”.

La rumba, une musique de résilience ? Scander des chansons évoquant la beauté de la vie, l’amour sensuel et danser au nombril dans un pays en multiples crises (misère sociale, guerre, pillage des ressources, mauvaise gouvernance) n’est-ce pas un refus de la fatalité. La rumba pourrait exprimer la résilience du peuple congolais qui ne veut pas se laisser abattre par les évènements.

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