Da Dante a Vannacci, la cultura latitante

di:

vannacci

Sulla vicenda del generale Vannacci e del suo ormai famoso libro Il mondo al contrario si sono creati molti equivoci, su cui vale la pena di soffermarsi perché, al di là della polemica contingente, è in gioco una questione più di fondo, che riguarda l’esistenza o meno di una cultura «di destra» e la sua capacità di sfidare quella, finora ampiamente egemone, «di sinistra».

È noto che, fin dai suoi esordi, l’attuale governo ha puntato su questa sfida per legittimare il proprio successo elettorale e trasformarlo in una svolta epocale. Lo ha fatto, per la verità, in modo maldestro, quando il ministro della Cultura Sangiuliano, ansioso di rivalutare la tradizione del pensiero di destra, – «la destra», ha affermato orgogliosamente, «ha cultura, deve solo affermarla» – si è spinto fino a sostenere arditamente che ne era stato Dante il fondatore, suscitando le divertite ironie dei competenti.

La frattura all’interno della destra

È in questo contesto che si colloca la pubblicazione del libro di Vannacci, che decisamente si pone su una linea alternativa a quella «di sinistra» e ne contesta puntualmente, una dopo l’altra, tutte le tesi. Un testo ambizioso – già per la mole: 354 pagine! –, che si propone di denunziare e ribaltare la visione del mondo oggi dominante e che perciò, più che «conservatore», va senz’altro definito, in senso proprio, «reazionario».

Ma qui è cominciato il gioco degli equivoci. Forse il generale, in questo attacco frontale, contava sulla tacita solidarietà del governo. E invece si è trovato davanti a una reazione durissima del ministro della Difesa Crosetto, che lo ha destituito dall’incarico di responsabile dell’Istituto Geografico Militare di Firenze e ha annunciato l’apertura di un’azione disciplinare nei suoi confronti, e ha parlato di «farneticazioni personali (…) che screditano l’Esercito, la Difesa e la Costituzione».

A questo punto si è scatenata, però, una serie di reazioni che hanno spaccato non solo il fronte dei partiti di destra, ma anche ciascuno di essi al proprio interno. La rottura di gran lunga più grave è venuta con l’intervento del vicepremier leghista Matteo Salvini, che, sconfessando pubblicamente la decisione di un ministro del suo stesso governo, ha espresso la propria solidarietà al generale, appellandosi alla libertà di espressione del pensiero, prevista dalla nostra Costituzione.

Ma non meno traumatica è stata la presa di posizione, nello stesso senso, di due importanti esponenti dello stesso partito di Crosetto, Giovanni Donzelli, responsabile dell’Organizzazione di FdI e vicepresidente del Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica, e Galeazzo Bignami, viceministro alle Infrastrutture. Tutti, anche prescindendo dal merito dei problemi affrontati nel libro, hanno evocato il pericolo di una censura imposta in nome del «politicamente corretto» a favore del pensiero unico dominante.

Le ragioni del ministro

Crosetto, da parte sua, si è difeso, negando che alla base del suo provvedimento vi sia stato l’intento di limitare la libertà di espressione. «Solo senso delle istituzioni e dello Stato», ha chiarito. Il ministro ha ricordato che «le Forze Armate e di polizia, cui è consentito per legge e Costituzione, l’uso della forza, devono operare prive di pregiudizi di ogni tipo (razziali, religiosi, sessuali)». «Perché tutti devono sentirsi sicuri».

Per certi versi, la risposta è senz’altro corretta. Il richiamo indiscriminato, da parte dei critici del ministro, alla libertà di pensiero e di espressione prevista dalla Costituzione nasconde un evidente equivoco. Essa non esclude, infatti, delle precise limitazioni legate al ruolo e alla funzione che il singolo è chiamato a svolgere. I rappresentanti delle istituzioni dello Stato, che sono al servizio di tutti i cittadini, non possono permettersi di assumere pubblicamente posizioni ideologiche che implicherebbero una discriminazione a favore di alcuni e a danno di altri.

Questo è particolarmente vero quando i membri di queste istituzioni godono di particolari prerogative, non concesse ad altri funzionari pubblici, come nel caso della magistratura e dell’esercito. Un giudice, a cui la comunità conferisce lo straordinario potere di decidere della libertà fisica di altre persone, non può dire, al di fuori delle rigide regole processuali, tutto ciò che sa e che pensa personalmente di un imputato, perché verrebbe immediatamente ricusato. E un alto ufficiale, a cui è affidato il monopolio dell’uso delle armi, non può permettersi di esprimere opinioni che possano gettare una qualsiasi ombra sulla assoluta imparzialità del suo operato.

Se uno vuole dire quello che pensa senza limiti, non entra nella magistratura e non fa la carriera militare. Il generale Vannacci è probabilmente un ottimo soldato – il suo curriculum lo attesta senza ombra di dubbio –, ma forse non ha sufficientemente meditato sulle regole della convivenza civile e sugli obblighi che il suo status gli imponeva. Altrimenti non avrebbe preso pubblicamente posizioni così nette e discriminanti – a torto o a ragione – nei confronti di particolari categorie di persone che dovrebbero poter contare sulla sua assoluta neutralità.

Le ragioni dei suoi critici

Eppure le proteste dei rappresentanti della destra hanno un fondamento. Perché Crosetto non si è limitato a condannare la presa di posizione del generale: ha parlato di «farneticazioni personali (…) che screditano l’Esercito, la Difesa e la Costituzione». Questo è un giudizio di merito e colpisce il contenuto specifico del libro di Vannacci.

Ora, il paradosso è che questo contenuto esprime in larga misura proprio le posizioni culturali espresse dai partiti di destra nel loro programma elettorale e nelle loro prese di posizione pubbliche. Non a caso, la stragrande maggioranza della sinistra, coerentemente, è stata subito solidale con il ministro. Con l’eccezione significativa di Marco Rizzo, presidente onorario dei Comunisti italiani, che ha avanzato il sospetto che la rimozione di Vannacci sia piuttosto legata, in realtà (come il suo esilio da comandante della Folgore a direttore dell’Istituto Geografico Militare) ai due esposti presentati dal generale in cui denunziava l’uso di uranio impoverito durante le missioni all’estero a cui ha partecipato.

Quel che è certo è che gli italiani, che avevano votato in maggioranza per la destra alle elezioni politiche, hanno sancito il successo editoriale del libro. Il mondo al contrario, anche sospinto dal vento delle polemiche, è balzato al primo posto nella graduatoria delle vendite estive, mentre il suo autore è stato subissato di interviste e di inviti a trasmissioni televisive.

Niente di nuovo sul fronte della destra

Ma che cosa dice il libro? Esso costituisce una denunzia di quello che considera un vero e proprio assalto alla normalità e al buon senso, compiuto in questi anni in nome di minoranze che non vi si inquadrano e che vogliono la prevalenza del marginale sulla norma generale. Emblematico, secondo l’autore, il caso della cultura che oggi equipara i legami tra omosessuali e transgender a quelli «naturali» tra uomo e donna.

Vannacci non contesta la liceità delle pratiche omosessuali, non contesta il rispetto dovuto anche agli omosessuali e i diritti recentemente acquisiti – ivi incluse, lo dice esplicitamente, le unioni civili. Ciò che rifiuta è la pretesa di essere riconosciuti come «normalità», ossia in tutto e per tutto alla pari e intercambiabili con l’unione eterosessuale. «Cari omosessuali, normali non lo siete, fatevene una ragione!».

A dispetto delle tre lauree conseguite, il linguaggio del generale risente a volte pesantemente del clima della caserma. Come quando, proprio a proposito degli omosessuali, si lamenta di non poter più usare tanti bei vocaboli che andavano invece di moda una volta: «Pederasta, invertito, sodomita, finocchio, frocio, ricchione, femminiello, culattone sono ormai termini da tribunale, non ci resta che chiamarli gay importando un’altra parola straniera nel nostro lessico italiano». O come quando sottolinea che a differenziare uomo e donna è il «batacchio» che si trova fra le gambe del primo e di cui è sprovvista la seconda.

Niente di nuovo, insomma, rispetto a una mentalità diffusa in passato e ancora presente in molti ambienti, in cui ad essere dominante era soprattutto il disprezzo verso chi era diverso – le maledette minoranze, che ora invece hanno preso il sopravvento e schiacciano le persone «normali».

Tra queste minoranze non potevano mancare gli immigrati. «Ma non prendiamo la migrazione come una fatalità alla quale ci dobbiamo arrendere, è una balla madornale!». Sembrava inserirsi in questo contesto anche la battuta sul colore della pelle della pallavolista Paola Egonu, di origini nigeriane, ma a pieno titolo cittadina italiana, di cui Vannacci sottolinea nel libro che «i suoi tratti somatici non rappresentano l’italianità che si può invece scorgere in tutti gli affreschi, i quadri e le statue che dagli etruschi sono giunti ai giorni nostri». Anche se poi in un’intervista, ha precisato che la Egonu «non solo è bravissima, ma è anche molto intelligente perché non si è lamentata. È giustissimo che giochi con l’Italia».

Cercasi una vera cultura

Sulla stessa linea l’esaltazione indiscriminata della legittima difesa privata: «Come si può limitare il diritto alla difesa della propria abitazione e della propria famiglia? (…) Il danno (la morte del ladro) qualora ci fosse, e anche la perdita della vita, nei casi più estremi, sarebbe da considerarsi auto-procurato (…). Perché non dovrei essere autorizzato a sparargli, a trafiggerlo con un qualsiasi oggetto mi passi tra le mani o a catapultarlo giù dalle scale o dalla finestra dalla quale sta tentando di entrare e renderlo per sempre inoffensivo?».

Insomma, siamo davanti a un repertorio di luoghi comuni del pensiero e del linguaggio leghista. Non c’è da stupirsi che Salvini abbia offerto la propria piena solidarietà al generale, che, come possibile candidato della Lega alle prossime elezioni europee, potrebbe garantire al Carroccio un recupero di voti a destra.

Resta da chiedersi se, dopo la spontanea reazione negativa di Crosetto, la Meloni si ricorderà di aver finora in sostanza avallato questa linea e tornerà ad uniformarsi a essa, anche per non rischiare di perdere consensi, o se avrà il coraggio di cercare piste nuove, che vadano al di là di questa stanca rimasticatura di vecchi slogan.

Per il bene dell’Italia, che ha urgente bisogno di trovare finalmente una vera cultura «di destra» (così come ce ne vorrebbe una «di sinistra», anch’essa latitante), non possiamo che augurarci che si verifichi questa seconda ipotesi.

  • Dal sito della Pastorale della cultura della Diocesi di Palermo (tuttavia.eu), 25 agosto 2023.
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4 Commenti

  1. Pietro 4 settembre 2023
  2. Gian Piero 1 settembre 2023
    • Anima errante 2 settembre 2023
    • Duego 2 settembre 2023

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