
Il volume di Elena Pulcini L’individuo senza passioni. Individualismo moderno e perdita del legame sociale mi permette di approfondire le riflessioni che provo a sviluppare da anni sul Polemos di Eraclito. L’autrice, infatti, sottolinea il nesso forte, presente nelle opere di Hobbes, tra il conflitto e l’alterità, a dispetto di coloro che scorgono nel suo pensiero l’inizio del ripiegamento narcisistico oggi così frequente e diffuso.
Poniamoci in ascolto di qualche passaggio: la passione della gloria perde «quel carattere assoluto e irrelato che, ancora in Descartes e nel neostoicismo, la legava prioritariamente al senso del proprio valore e della propria dignità, alla stima di sé e alla generosità; e diventa una passione prettamente relativa, che spinge l’individuo ad affermare se stesso solo attraverso il confronto-scontro con l’altro e lo costringe a una incessante lotta per il potere, per la soddisfazione della propria vanità» (p. 54). Subito congiungerei ciò alla considerazione conclusiva riportata nella pagina precedente, in nota: «la vanità implica infatti una relazione emotiva con l’altro che si perde invece nella soggettività narcisistica» (corsivo mio).
Accanto, poi, a quella che possiamo definire la passione dell’Io – «il desiderio di distinguersi dall’altro e di ottenerne il riconoscimento» (p. 12), comprendente dunque la gloria e l’onore – vi è forte, nel discorso hobbesiano, la passione dell’utile, in forma di “desiderio di potere”, «una sorta di grumo emotivo nucleare e universale – scrive Pulcini –, nel quale sembrano raccogliersi ed esprimersi tutte le passioni umane».
Per dirla con il Leviatano, «La competizione per le ricchezze, l’onore, il comando o per gli altri poteri inclina alla contesa, all’inimicizia e alla guerra, perché la via che porta un competitore al conseguimento del proprio desiderio è quella di uccidere, sottomettere, soppiantare o respingere l’altro». Il potere, così, si definisce come potere sugli altri. Come nel caso della passione della gloria, anche qui siamo dinanzi a un fattore che, nello stesso tempo, lega e disgrega.
La spinta all’autoconservazione accomuna gli umani, ma, proprio in quanto condivisa, «porta gli individui allo scontro reciproco diventando fonte di conflitto» (p. 52, corsivo mio). E il desiderio di potere è intimamente legato a tale spinta; è essenzialmente espressione dell’utile. O, se vogliamo, di una necessità; ancor meglio: di un bisogno.
Qui la riflessione hobbesiana tocca la distinzione tra bisogno e desiderio: a spingere i singoli ad associarsi sono il bisogno reciproco e il desiderio di gloria, di riconoscimenti; l’utile e la gloria. Bisogno e desiderio dell’altro, quindi, e, al tempo stesso, motivo di contrasto e conflitto.
Il desiderio di potere, comunque, resta legato soprattutto al bisogno di autoconservazione. Poniamoci di nuovo in ascolto del Leviatano: «La causa di questo non è sempre il fatto che un uomo spera in un diletto più intenso di quello che ha già conseguito, o che non può essere contento di un potere moderato, ma è perché non può assicurarsi il potere e i mezzi per vivere bene che ha al presente senza acquisirne di maggiori».
Detto altrimenti: non vi è, per Hobbes, una sorta di smania irrazionale e irragionevole volta ad acquisire sempre più potere (il potere per il potere, insomma); piuttosto, condizione per disporre anche domani dei beni necessari a vivere bene, oggi disponibili, è l’acquisizione di un potere crescente, proiettandosi nel futuro.
In ogni caso, Hobbes ha una concezione relazionale degli umani. Paradossalmente, la stessa celeberrima metafora dello “stato di natura” e della “guerra di tutti contro tutti” esprime una condizione che accomuna gli individui e li pone in relazione, pur se con esiti distruttivi.
Anzi; a mio avviso, proprio una metafora così forte avvalora l’idea eraclitea del “Conflitto” come padre di ogni cosa. Il conflitto da intendere come urto con l’alterità, come incontro-scontro con l’altro/a. Ecco il senso profondo, credo, dell’unità eraclitea degli opposti: l’amore e l’odio come due dei possibili esiti, forse i più estremi, di quell’urto.





