«Papà, spiegami allora a che serve la storia». Erano gli anni Quaranta del Novecento quando, per rispondere alla domanda del figlio adolescente, Marc Bloch iniziò a dedicarsi alla stesura di quello che sarebbe diventato il suo libro più famoso, nonché un’opera fondamentale di metodologia storica, Apologia della storia o Mestiere di storico.
Già, a cosa serve la storia? A guardare quello che va accadendo nel mondo, verrebbe da rispondere senza esitazioni che la storia non serve proprio a un bel niente. Prendiamo l’anglismo regime change, che oggi tanto furoreggia nei dibattiti geopolitici. Ce lo aveva già spiegato Tucidide, più o meno duemilacinquecento anni fa, che cos’è e quali sono le conseguenze, di breve e lungo periodo, di un regime change. Ma è forse servito a qualcosa?
Il dialogo dei Melii
Anno 416 a.C. Dopo quindici anni di guerra fra Atene e Sparta, un abbozzo di pace presto disattesa e nuovi venti ostili che si profilano all’orizzonte, Atene invia un contingente militare e un’ambasceria agli abitanti dell’isola di Melo, per invitarli a recedere dalla loro posizione di neutralità e spingerli a diventare alleati degli Ateniesi contro gli Spartani. Melo, di fondazione spartana, era la più occidentale, quindi la più vicina al Peloponneso, fra le isole Cicladi e il suo ingresso nella Lega delio-attica, a guida ateniese, avrebbe rappresentato per Atene un punto di forza strategicamente molto significativo.
Le pagine che Tucidide dedica al dialogo dei Melii sono fra le più famose delle sue Storie. I Melii, che fin dall’inizio della guerra si erano opposti al pressante tentativo ateniese di costringerli ad aderire alla Lega delio-attica, ossia di diventare, a conti fatti, dei sudditi della potenza imperiale ateniese, argomentano la loro volontà di mantenersi neutrali, cioè liberi, appellandosi al diritto, alla giustizia e al principio del bene comune. Di contro gli Ateniesi oppongono il concetto di utile e la concreta pragmaticità della Realpolitik.
Nella prospettiva imperialista, a prevalere è la legge di natura, in base alla quale il forte può imporre al debole la propria volontà e diritto e morale sono solo belle parole, vacue ed ingenue. «L’oggetto in discussione è la salvezza – dicono gli ambasciatori ateniesi –, il che significa non opporsi a chi è di gran lunga più forte».
È la nota dialettica physis e nomos: natura e legge sono spesso in opposizione fra loro e, in base alla legge di natura, il forte ha il diritto di prevalere, di schiacciare, opprimere e reprimere il debole, sia che si tratti di singoli individui sia che si tratti di Stati.
Dopo alcune pagine potenti per tensione drammatica, l’epilogo è rapido e perentorio. Ai Melii che chiedono agli Ateniesi di ritirarsi dal loro territorio stipulando un trattato di pace che appaia conveniente ad entrambi, gli Ateniesi rispondono con minacce dal sapore apocalittico: «Perderete tutto».
Viene deciso l’attacco immediato. I Melii riescono a resistere per qualche tempo poi, sopraggiunti rinforzi da Atene, sono costretti alla resa. La laconica conclusione di Tucidide mette a nudo i meccanismi brutali, spogliati di qualsiasi idealità, di ogni imperialismo: «Gli Ateniesi uccisero quanti Melii in età militare riuscirono a catturare, fecero schiavi le donne e i bambini. Il territorio lo abitarono loro, inviando cinquecento coloni».
Ecco come ti esporto la democrazia, come metto in atto un bel regime change democratico: uccido, schiavizzo, colonizzo.
Postilla
Anno 404 a.C.: si conclude la quasi trentennale guerra del Peloponneso. Atene viene sconfitta dall’alleanza spartana, e da quella sconfitta non si riprenderà più.
Chi troppo vuole nulla stringe.
Buondì,
Inesatto quando sostenete che: “invitarli a recedere dalla loro posizione di neutralità”,
Melo ha defezionato dalla lega di Delo sottraendosi al pagamento del tributo.
Cordiali saluti.
Historia magistra vitae… Grazie!