Un coccodrillo nel battistero

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Nel santuario della Madonna delle lacrime a Ponte Nossa, in provincia di Bergamo, si può vedere un coccodrillo appeso al soffitto della chiesa, che resta fisso in questo suo punto di elevazione da più di 500 anni, salvo qualche temporaneo momento di rimozione nel 1594 (per via dei criteri disciplinari imposti da Carlo Borromeo in materia di reliquie, immagini e simulacri) e ancora nel Settecento.

Una delle tradizioni che accompagnano la “lucertola marina”, vuole che un certo Bonelli de’ Ferrari, mercante bergamasco originario di Premolo, imbattutosi nell’animale nei pressi di Rimini, lo abbia affrontato e ucciso dopo aver invocato l’aiuto della Madonna delle lacrime.

Mirabilia

La gente del luogo avrebbe provveduto a far sorgere la sapida e maliziosa leggenda secondo la quale il coccodrillo avrebbe nuotato dal mare profondo fino a scorrazzare nelle acque del fiume Serio in cerca di vergini di cui nutrirsi, ma, arrivato a Ponte Nossa, non trovandone alcuna, sarebbe morto di fame.

Più verosimilmente, si può immaginare un acquisto da parte del mercante, durante uno dei suoi viaggi in area mediterranea, per donarlo come stupefacente ex voto al santuario della sua patria seriana.

Quello di Ponte Nossa naturalmente non è l’unico caso di un coccodrillo in chiesa. In un libro pubblicato nel 2018, La vergine e il drago: lo strano caso dei coccodrilli nei santuari mariani, lo storico dell’arte Paolo Bertelli ha recensito la lunga teoria di casi che compone un fenomeno frequente e ordinario nei secoli di transizione tra medioevo e modernità.

Questo interesse per delle curiosità zoologiche ammantate di mistero e associate senza troppi problemi alla devozione popolare, deve essere del resto inquadrato in quella sensibilità per quei “naturalia” e “mirabilia” che, nelle collezioni pubbliche e private, ecclesiastiche e municipali, venivano trattati al pari delle reliquie, dalle quali, del resto, faticavano a essere distinte.

Nelle città medievali, come racconta Krzysztof Pomian con autorevole precisione, il possesso di cimeli, curiosità, reliquie, reperti, e quant’altro in grado di sembrare tracce di mondi fantastici e soprannaturali, era fonte di prestigio politico, ragione di orgoglio civico e fonte di protezione sociale.

Un attimo prima che il naturalismo e la scienza disincantasse questo sentimento e l’Arte arrivasse a distinguere i capolavori dalle curiosità, questi mantenevano ancora intatta la loro grande e radicata forza simbolica.

Queste storie di esseri enigmatici e mostruose meraviglie, come doveva apparire un coccodrillo nella Valseriana del Cinquecento, vengono in mente grazie a una curiosa istallazione di Maurizio Cattelan nel Battistero di Cremona, nel contesto di Cremona Contemporanea, Art Week (27 maggio-4 giugno), in cui opere d’arte contemporanea di artisti del massimo livello sono state disseminate nei luoghi più importanti della città.

L’iniziativa ha fatto particolarmente parlare di sé a proposito dell’opera di Cattelan che ha sospeso un coccodrillo nel centro esatto del Battistero, suscitando, come da copione, anche i soliti mugugni e anche qualche richiamo alla dissacrazione (la polemica e l’attrito oramai, come scrive Nathalie Heinich nel suo vecchio libro Il triplice gioco dell’arte contemporanea, fa parte integrante dell’operazione artistica contemporanea).

Maurizio Cattelan, indiziato dai detrattori di essere un superficiale e astuto piazzista di trovate sostanzialmente pubblicitarie, si è affermato negli ultimi trent’anni come uno dei più incisivi fornitori di icone del nostro immaginario collettivo.

L’io insaziabile e la grazia

Una delle sue opere più famose, che si intitola La nona ora e che raffigura Giovanni Paolo II scaraventato a terra da un meteorite, resta una delle immagini più icastiche del secolo che ci siamo lasciati alle spalle, e il fatto che in Polonia qualcuno abbia fisicamente cercato di fare violenza alla “scultura” dimostra che essa porta realmente con sé la forza di una icona, proprio come quelle che gli iconoclasti in molti momenti della storia cercavano di neutralizzare.

Nel Battistero di Cremona, in realtà, le intenzioni dell’artista non hanno nemmeno la natura provocatoria che molti gli vorrebbero assegnare, quanto piuttosto quella di una meditazione efficace e plastica sul tema della voracità dell’Ego che, come un animale dalle fauci insaziabili, ha bisogno di essere placato da una grazia che può venire solo dall’alto.

Lo spirito come museruola della brutta bestia che può diventare il desiderio incontrollato. In effetti, l’animale di Cattelan, anziché posto in orizzontale come i coccodrilli delle chiese medievali, pende dall’alto in posizione verticale. In asse con una situazione battesimale che anima questa istallazione che la storia ci aiuta a considerare nemmeno troppo inedita. Il clamore è nella maggior parte dei casi una mera reazione all’assenza di memoria.

Ammirazione invece va concessa all’impegno del Museo Diocesano di Cremona, diretto da Gianluca Gaiardi, che, senza farsi paralizzare da compartimenti stagni dell’ideologia e facendo quello che la chiesa ha sempre fatto, si mette cordialmente in compagnia della cultura artistica del nostro tempo, stando a pieno titolo tra le istituzioni della propria città, scommettendo sull’idea che non si può avere niente da dire se non si condivide una lingua comune.

Come tutto quello che non è scontato, e che quindi apre porte e finestre al pensiero, l’espressione contemporanea dell’arte arriva sempre anche coi suoi enigmi, con i suoi rebus, con le sue provocazioni, con tutto quello che faticheresti a incastrare col già visto di un’idea povera della tradizione.

Resta il fatto che il coccodrillo di Cattelan non ha solo suscitato discorsi (e ti pare poco?), ha anche fatto venire tantissima gente: ancora dubbi sul fatto che la forza di un segno non la decidono le astrazioni dei polemisti di apparato o i pregiudizi degli umorali da tastiera?

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