La visita al Musa di Milano, il primo museo delle scienze antropologiche e forensi dei diritti umani, è stata l’occasione per ricordare due significativi interventi scolastici. Nel Liceo in cui ho insegnato, nel 2019, furono invitati due importanti rappresentanti della società civile italiana: Cristina Cattaneo, docente ordinario di medicina legale e antropologo forense ed Enrico Calamai, agente diplomatico, già attivo nell’ambasciata italiana in Argentina e in Cile, durante il golpe di Pinochet (1973).
Incontri organizzati per gli studenti in momenti diversi e con differenti obiettivi didattici ma strettamente congiunti da un solido filo, che ha il bel nome della legalità e della difesa dei più fragili.
Il Museo milanese (lo si trova un po’ a fatica tra edifici dismessi, un tempo sedi della Facoltà di Veterinaria dell’Università degli Studi; ma è in fase di progettazione un ampliamento) nasce nel 2022, proprio dal lavoro della professoressa Cattaneo, nota al grande pubblico per perizie e indagini di delitti con ampia risonanza mediatica.
Pochi invece conoscono altri aspetti delle sue competenze scientifiche e umanistiche che lo spazio museale testimonia. Nelle sale – aperte al pubblico grazie ai volontari del Touring Club Italia, tra reperti ordinatamente suddivisi in semplici scaffalature, cartelloni illustrativi, e video, è possibile comprendere la profondità dello studio che da anni svolgono i ricercatori del LABANOF (Laboratorio di Antropologia e Odontologia Forense dell’Università Statale) e di cui una serie di podcast RAIRADIO3 riferisce ampiamente.
I morti e i loro nomi
La finalità è doppia: cogliere numerosi messaggi che i corpi umani hanno lasciato ai posteri, anche a distanza di secoli, e nel contempo denunciare violenze e discriminazioni. Passato, presente e futuro si affacciano nella lunga sezione rettangolare dello spazio espositivo. La parte storica, infatti, illustra le ricerche effettuate nel sottosuolo milanese, lombardo e di altre regioni italiane con la collaborazione di antropologi e archeologi.
Il ritrovamento e l’analisi di ossa umane e scheletri presso alcuni siti consentono datazioni precise dei cadaveri, le cause dei decessi e le abitudini di vita, tra cui i cibi che al tempo venivano consumati. IL CAL (collezione antropologica Labanof) conta più di 2.000 scheletri moderni e oltre 10.000 antichi ed è la più grande raccolta d’Europa.
Altre sale rivelano una profonda e attuale convinzione di Cristina Cattaneo che, nella sede scolastica, di fronte a un auditorium di giovani, aveva condensato in queste parole: “C’è un diritto all’identità e per questo a ogni persona morta va dato il suo nome”.
Si spiega così l’intervento promosso in più circostanze, con un team di medici legali, per identificare i corpi di deceduti in disastri di massa, tra cui quelli avvenuti e ancora in atto nel mar Mediterraneo. Un’operazione che tutela la dignità di chi è mancato e anche quella dei vivi che, senza la certezza della morte del proprio caro, faticherebbero a elaborare il lutto.
In accordo con la Convenzione di Ginevra e su iniziativa della Società Medico Legale, nel 2007, nasce in Italia un importante intervento di identificazione di corpi di persone decedute.
Nel Museo è ben documentato ciò che Cattaneo ampiamente racconta nel suo libro Naufraghi senza volto (Raffello Cortina 2018), testo scritto dopo il naufragio di migranti al largo della Sicilia nel 2016. In quella occasione furono infatti ritrovati i resti di un bambino che vestiva un giubbotto la cui cucitura interna nascondeva la pagella scolastica scritta in arabo e in francese. Pietosi segnali che portarono a restituire un nome a chi aveva perso la vita su barconi fatiscenti.
Anche il futuro è in scena: medici, biologi e studiosi di scienze forensi favoriscono analisi che individuano e prevengono violenze, tutelando in particolare chi è vittima di abusi. Sono interventi che aiutano l’amministrazione della giustizia, poiché la ricostruzione del passato consente di individuare la traiettoria di fenomeni sociali deviati. Un impegno aperto alla speranza in un domani da vivere con dignità. Un modo tra i molti, tutti nobilissimi, di lotta contro il male.
Eccidi invisibili
Anche il dottor Calamai era atteso al Liceo per parlare di difesa dei diritti umani. È infatti noto quanto egli negli anni’70 si fosse prodigato come diplomatico sia nell’ambasciata italiana in Argentina che in quella cilena per favorire tutela ed espatrio di italiani perseguitati dalle dittature imperanti in quegli stati. Lo racconta con chiarezza nel suo libro. Niente asilo politico (Feltrinelli 2016).
Tuttavia, in quell’intervento a scuola datato 23 marzo 2019, egli scelse di parlare di altre dittature e di altre repressioni. Quelle che ancor oggi obbligano migrazioni di massa e favoriscono campi di detenzione dove sono noti abusi e torture su persone indifese.
Morti ed eccidi “invisibili” per molti. Così accadeva in Argentina, secondo il diplomatico, quando di notte, da automobili private di targhe scendevano paramilitari vestiti con abiti borghesi e prelevavano da casa dissidenti e sospetti.
Ricordo il suo invito ai ragazzi a non sentirsi impotenti di fronte a queste sopraffazioni che spesso vedono l’oscura complicità di organizzazioni statali e poteri forti. Inoltre, egli invitò tutti a informarsi, a discutere insieme, a smascherare subdole e diffuse forme di negazionismo.
Infine, ad ascoltare le voci accorate dei famigliari di perseguitati (come non pensare alle Madres dei desaparecidos e agli instancabili genitori di Giulio Regeni?). Il diritto a denunciare omissioni di soccorso è di tutti e altrettanto dovrebbe essere il coraggio di chi sa e non tace.
Per questo invitiamo a visitare spazi museali e tra gli altri segnaliamo quello della Croce Rossa a Ginevra e quello che ricorda la tragedia di Ustica qui presentato.
Quando i diritti umani toccano l’animo
Forse, a prima vista, queste sedi espositive possono apparire macabre, poco dilettevoli con immagini, installazioni e reperti scioccanti. Certo non soffrono di “overbooking”! Tuttavia si può uscire migliorati da queste visite dove la voce di chi accompagna è spesso di aiuto.
Così mi dice Maria Rosa Minozzi, volontaria Touring: “Il Musa è un’esposizione essenzialmente “umana” dove il protagonista è l’uomo non per ciò che sa fare ma per quello che è. Ciò che mi colpisce, in genere, è lo stupore delle persone, grandi e piccole (molte le scolaresche) che rimangono toccate sia a livello conoscitivo che emotivo. Non si può rimanere indifferenti di fronte al riconoscimento e rispetto della dignità umana e alla tutela di diritti che ogni uomo dovrebbe veder riconosciuti.”
Ci chiediamo quanto ci sia di “artistico” in questi musei. Pensiamo ai grandi maestri di fotografia che hanno immortalato tragedie umane selezionando scene e volti con un arbitrio a tratti discutibile. E insieme ricordiamo un’antica definizione attribuita a Gorgia, tra i primi pensatori greci: l’arte inganna ma chi inganna è più giusto di chi non inganna e chi è ingannato è più saggio di chi non si lascia ingannare.
Identificare un cadavere? Il diritto alla identita’ dopo morti. Mi chiedo per chi sia cosi importante. Al morto di certo non interessa vista la sua impossibilita’ a godere della sua identificazione. E allora a chi giova? A che serve? Dietro un morto per naufragio sugli scogli di Lampedusa ce ne sono migliaia lungo il cammino della speranza. E quelli chi li va a cercare e identificare?