Africa: vescovi per la pace

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Pace e guerra sono due tra i concetti più utilizzati per far comprendere la teoria eraclitea dell’«armonia degli opposti». Non si può parlare dell’una senza l’altra; o meglio, si può parlare dell’una solo in assenza dell’altra: esiste una dinamica simile al diritto di cittadinanza tra queste due piccole parole.

Ovunque (o quasi) nel mondo, la gente vuole la pace: la pace del cuore e la pace nella città, che  sono intimamente legate perché, come ama ripetere mons. Sikuli Paluku Melchisedech (vescovo della diocesi di Butembo-Beni), la pace come la guerra cominciano nel cuore dell’uomo.

Sabato 27 gennaio, gli episcopati di Ruanda, Burundi e Repubblica Democratica del Congo si sono riuniti a Goma per un incontro intorno al tema: «Per il ritorno della pace». Dopo una lunga storia di guerra tra gli Stati dove questi vescovi esercitano il loro ministero − ovvero, il genocidio ruandese e le sue conseguenze nell’Est della Repubblica Democratica del Congo, e una certa xenofobia cresciuta tra i popoli e sfruttata da politici malintenzionati per limitare fortemente il dialogo − la situazione è precipitata nel caos.

Rischio genocidio

La guerra ha preso dimora nell’Est della Repubblica Democratica del Congo: da Beni, dove le ADF [Allied Democratic Forces, gruppo di ribelli ugandesi della galassia dell’ISIS − ndr] dilagano, fino alla periferia di Goma, dove da un anno i ribelli filo-ruandesi portano disordini, commettendo gravi violazioni contro i diritti umani fondamentali. Per non parlare di quanto accaduto pochi giorni fa a Mweso, dove i bombardamenti hanno preso di mira i civili in un inaccettabile attacco terroristico − tenuto conto che i civili non sono «soggetti di guerra» e non possono essere sottoposti a vili attacchi. Quello che sta accadendo a Beni è ancora più grave.

Senza entrare nei dettagli, va riconosciuto che la guerra in questa regione ha raggiunto un punto culminante. Ha toccato tutti, rendendo gli uni nemici degli altri in un contesto in cui, economicamente parlando, isolamento è sinonimo di soffocamento.

Eppure la gente si trova in questa situazione e i politici non sembrano interessati a farsene carico. Siamo arrivati a un punto in cui la convivenza pacifica tra i popoli è seriamente minacciata, con il rischio grave e reale di rivivere gli orrori del genocidio ruandese nella regione se non si farà nulla.

Per questo è importante chiedersi: che cosa può fare la Chiesa in un simile contesto? Ha i mezzi per cambiare la situazione? Non rischia di perdere la sua posizione «al centro del villaggio» interferendo nelle questioni politiche?

Il ruolo della Chiesa

Sono domande profonde sul ruolo della Chiesa nel nostro contesto di guerra. Ed è importante che se ne parli, perché un incontro di più di cinquanta vescovi attorno al tema della pace non è cosa da tutti i giorni. Ha il carattere di un vero e proprio evento, che speriamo possa avvicinare all’avvento della pace e della convivenza tra i popoli.

Insieme ai vescovi del Ruanda, del Burundi e del Paese di Lumumba, a Goma tutta la Chiesa del cielo e della terra ha esultato e cantato nella celebrazione eucaristica di domenica 28 gennaio, che si è tenuta nella parrocchia del Monte Carmelo. È tutta la Chiesa che ha manifestato la gioia e si è assunta il compito di essere artigiana di pace. Così si è espressa la dimensione sociale del ministero pastorale: «Il nostro ruolo di pastori è anche quello di incontrare i fedeli nelle loro situazioni e di lottare con e per loro contro la guerra e l’ingiustizia sociale».

Presieduta dal «primo tra i pari» dell’episcopato congolese, il cardinale Fridolin Ambongo, la celebrazione è stata per i fedeli un momento di esultanza e di meditazione, ed è stata anche occasione per il prelato cattolico di lanciare un messaggio politico: «Non si riesce a comprendere perché si continui a sparare, a lanciarsi bombe quando si contano già oltre sei milioni di sfollati nei villaggi? Sembra che abbiamo reso i nostri cuori delle pietre».


Version française

“Paix” et  “guerre” sont deux concepts parmi les plus prononcés susceptibles de faire comprendre au monde la théorie héraclitéenne de “l’harmonie des contraires”. On ne peut pas parler de l’un sans l’autre,  mieux on ne parle de l’un qu’en l’absence de l’autre, une véritable dynamique de droit de cité pour ces deux petits mots.

Partout ( ou presque ) à travers le monde, on veut la paix : paix du coeur et dans la cité si déjà les deux ne sont pas intrinsèquement liées puisqu’en fait, aime le répéter Monseigneur Sikuli Paluku Melchisedech ( évêque du Diocèse de Butembo-Beni ), la paix comme la guerre commence dans le coeur de l’homme.

Depuis samedi dernier, les épiscopats du Rwanda, du Burundi et de la République Démocratique du Congo se sont rencontrés à Goma autour du thème : “POUR LE RETOUR DE LA PAIX”. Il faut noter que ceci intervient dans un contexte plus que jamais particulier où malgré une longue histoire de guerre entre les Etats où oeuvrent ces évêques − génocide rwandais et ses conséquences à l’Est de la RDCongo, une certaine xénophobie entre des peuples souvent instrumentalisés par des politiques mal intentionnés limitant gravement le dialogue − la situation est chaotique.

La guerre a élu domicile à l’Est de la République Démocratique du Congo, de Beni où sévissent les ADF aux portes de Goma où depuis un an, les rebelles pro-Rwanda cassent tout commettant de graves violations contre l’humanité. Taisons ce qui s’est passé il y a quelques jours à Mweso où inopinément des bombardements ont visé des civils dans une attaque terroriste inacceptable entendu que les civils ne sont pas “sujets de guerre ” et ne sauraient en être objets à travers des frappes lâchement visées, tournées vers des civils sans défense. Ce qui se passe à Beni est encore plus grave. Sans entrer dans ces descriptions, il faut reconnaître que la guerre dans la sous-region a atteint son point culminant.

Elle a affecté la sensibilité de tous, rendant les peuples ennemis dans un contexte où économiquement, l’enfermement sur soi est synonyme d’asphyxie. Pourtant, les peuples sont dans cette situation à côté des politiques qui semblent ne pas en être vraiment dérangés. L’on a atteint un stade où la cohabitation pacifique entre les peuples est vraiment menacée au grand et réel risque de revivre les affres du génocide rwandais dans la sous-region si rien n’est fait.

Néanmoins,  il y a lieu de se demander : Que peut faire l’Eglise dans pareil contexte ? A-t-elle des armes susceptibles de bouger les lignes ? Ne risque-t-elle pas de perdre sa position “au milieu du village ” en s’ingérant dans les affaires politiciennes ?

Il y a là de profondes interrogations quant au rôle de l’Eglise en ce contexte de guerre.   Et il est légitime d’en parler puisque réunir plus de cinquante évêques autour d’un thème ne se vit pas chaque jour. Il y a un événement ici. Et nous esperons que de cet événement viendra l’avènement de la paix, de la cohabitation entre les peuples…

Des évêques du Rwanda, du Burundi et ceux du pays de Lumumba réunis à Goma c’est toute l’Eglise du ciel et de la terre qui vibrait et chantait lors de la célébration eucharistique de ce dimanche 28 janvier 2024 à la paroisse “Mont Carmel ” à Goma ; c’est toute l’Eglise qui assumait la joie et le défi d’être artisane de paix ; c’est la pastorale sociale de l’Eglise qui disait: ” Notre rôle en tant que pasteurs est aussi de rencontrer nos fidèles dans leurs situations et de nous battre avec et pour eux contre la guerre, contre l’injustice sociale “.

Présidée par le ” premier parmi les égaux” de l’épiscopat congolais, le Cardinal Fridolin Ambongo, la célébration a été une liesse méditative pour les fidèles et un coup de message politique lancé par ce prélat catholique : “Comment comprendre qu’on continue à se tirer dessus, à se jetter des bombes pendant qu’il y a déjà plus de six millions des déplacés dans les villages. On dirait que nous avons fait nos coeurs pierres “.

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