BRICS: la strada è in salita

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Foto di David Watkis su Unsplash

Dallo scorso 1° gennaio sono entrate a far parte del BRICS (che raggruppa dal 2009 le 5 economie mondiali emergenti incarnate da Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica) altre 5 nazioni: Iran, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Egitto ed Etiopia. Parliamo in soldoni di un blocco economico che raccoglie una popolazione complessiva di 3 miliardi e mezzo di persone, il 45% degli abitanti del pianeta. Può vantare uno zoccolo economico di 28,5 trilioni di dollari complessivi, che significa quasi il 28% del sistema mondiale. E se non bastasse, le 10 nazioni del BRICS producono il 44% del petrolio mondiale.

Portavoce del Sud del mondo

L’organismo economico accusa i Paesi occidentali di essere i più grandi creatori di debito estero delle nazioni povere (e meno povere) attraverso i prestiti erogati dalla Banca Mondiale e dal Fondo Monetario Internazionale. Per questo il BRICS chiede una maggior rappresentanza e più peso nelle decisioni.

Una prima risposta «all’invadenza occidentale» arrivò già 10 anni fa con l’apertura della Nuova banca per lo Sviluppo (NDB), uno strumento per sostenere lo sviluppo dei paesi emergenti attraverso la costruzione di infrastrutture e grandi opere.

Ma alle belle parole e intenzioni non sono corrisposti i fatti. Secondo gli analisti internazionali (in particolare francesi e inglesi), Pechino ha usato la NDB per far crescere, sviluppare e consolidare la sua presenza in Africa, tanto da alimentare una forte corrente di pensiero che denuncia il neocolonialismo attuato proprio attraverso una precisa e attenta strategia di creazione del debito pubblico per alimentare la dipendenza dallo yuan.

La Russia (alla luce del conflitto in Ucraina) individua invece nell’accresciuto BRICS un efficace strumento nella sua lotta contro l’Occidente per aggirare le sanzioni imposte dopo l’invasione. E l’adesione dell’Iran potrebbe servire ad accentuare proprio il carattere anti occidentale dell’organismo economico.

Il BRICS aspira programmaticamente a diventare il portavoce del Sud del mondo, nonostante l’importante defezione dell’Argentina dopo il cambio di rotta politica imposto dal neopresidente Javier Milei eletto a novembre.

La presidenza del BRICS è a rotazione e dura un anno. Nel 2024 il compito spetta alla Russia che utilizzerà questa importante funzione per uscire dall’isolamento politico imposto dall’occidente. Per il momento è stata scartata l’ipotesi della creazione di una valuta comune di scambio nel settore commerciale per contrastare il dominio del dollaro: le 10 economie del BRICS sono troppo differenti tra loro e molto difficoltosi sarebbero eventuali tentativi per un armonico riequilibrio.

Intanto Putin si è posto alcuni obiettivi per questo 2024: allargare la funzione del BRICS nel sistema finanziario internazionale, sviluppare la cooperazione tra le diverse banche centrali con l’obiettivo di promuovere l’uso di una valuta comune e implementare la collaborazione tra le autorità doganali e fiscali degli aderenti. Obiettivo quest’ultimo che potrebbe essere il volano per lo sviluppo.

L’Africa alla prova del BRICS

Come si presentano Sudafrica, Etiopia ed Egitto a questi appuntamenti? In Sudafrica nei prossimi mesi sono in programma elezioni presidenziali e parlamentari. Il presidente uscente Cyril Ramaphosa si candiderà per un secondo mandato che dovrebbe conseguire facilmente in mancanza di avversari credibili.

Ma l’African National Congress potrebbe non superare la soglia del 50% dei consensi che gli consente da 30 anni di governare solo al comando. Crisi economica, disoccupazione, crisi energetica e idrica, criminalità diffusa, corruzione endemica hanno fatto da brutta cornice al primo mandato di Ramaphosa, accusato di essere parte del sistema corruttivo e privo di volontà nel rompere con il passato.

In Etiopia la fine del conflitto nel Tigray non ha risolto i motivi che lo hanno innescato. I tigrini denunciano sofferenze della popolazione a cui vengono negati aiuti alimentari e violazione dei diritti umani. Ma sono in corso scontri anche tra esercito governativo e milizie nella regione Amhara, mentre è in ebollizione la popolazione oromo. Il Primo ministro e premio Nobel per la pace Abiy Ahmed Ali riconferma di essere una grande delusione.

Nello scorso dicembre il generale al-Sisi è stato riconfermato per il terzo mandato consecutivo presidente dell’Egitto con il solito consenso «bulgaro» grazie a candidati di facciata dell’opposizione scelti nel suo stesso entourage. Arresti, violenze, repressione sono parte di un sistema di potere consolidato. Al-Sisi dovrà gestire l’emergenza palestinese. Insomma la camminata è per tutti in salita ripida.

Enzo Nucci, giornalista. Già corrispondente della RAI per l’Africa subsahariana. Pubblicato nella rubrica «Diario africano» ospitata sulla rivista Confronti, 5 febbraio 2024.

 

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